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giovedì 15 maggio 2014

L'obbedienza nella Chiesa e la coscienza ecclesiastica. Dov'è la Chiesa cattolica.

Icona russa di san Massimo il Confessore
Apro questo post perché a molte persone non è chiaro cosa significhi l'obbedienza nella Chiesa (confondendola con una sorta di obbedienza militare) e non è neppure chiaro cosa sia la coscienza ecclesiastica (poiché possono confonderla con la coscienza individuale che si è imposta dalla Riforma luterana in poi). Quando questi due punti sono chiari, allora si sa dov'è la Chiesa cattolica. Il testo proposto è la traduzione di un capitolo tratto dal libro di Jean-Claude Larchet, Maxime le Confesseur médiateur entre l'Orient et l'Occident.


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Il ritorno a Costantinopoli e il primo processo.

Sembra che [san] Massimo, approfittando d’una campagna dell’imperatore Costante in Armenia, sia ritornato a Costantinopoli nel 651 o 652 per tentare di convincere personalmente un certo numero di personalità della capitale, tra cui il patriarca Paolo, ad abbandonare l’eresia [del monotelitismo] (1). Sarebbe stato alloggiato nel palazzo di Placidia, residenza degli apocrisari romani (2), e avrebbe beneficiato del sostegno di parecchi amici rimasti nella capitale. Tuttavia l’imperatore, tornato a Costantinopoli, si sarebbe inquietato per l’attività di Massimo e, dopo aver fatto riunire un sinodo che l’avrebbe condannato per nestorianesimo, l’avrebbe fatto chiudere in un monastero femminile (3).
L’imperatore decise di vincere definitivamente ogni resistenza al Typos [documento imperiale che ribadiva il monotelitismo, ossia riteneva esistere, in Cristo, un'unica volontà]
Fece arrestare papa Martino a Roma il 17 giugno 653 dal suo esarca di Ravenna. Probabilmente allo stesso momento fece arrestare Massimo. Quest’ultimo fu messo in prigione prima d’essere giudicato nel palazzo imperiale, nel 655 (4), davanti al senato e ai patriarchi Pietro di Costantinopoli (5) e Macedonio d’Antiochia.

La Relatio motionis, che riporta questo primo processo di Massimo, offre parecchie interessanti considerazioni sull’ecclesiologia del Confessore. A coloro che lo interrogarono (il patrizio Troilo e Sergio Eucratas), Massimo rispose:

“- Io non ho un particolare dogma, ma quant’è comune alla Chiesa cattolica
- Non sei in comunione con la sede di Costantinopoli? 
- Non sono in comunione con questa [sede]! 
- Per quale ragione non sei in comunione con questa [sede]? 
- Perché essi hanno rifiutato i quattro santi concili per i Nove capitoli che sono stati redatti ad Alessandria, per l’Ectesi redatta in questa città da Sergio e per il Typos che in seguito è stato promulgato nella sesta indizione [647]. Perché i dogmi che erano stati definiti nei Capitoli, li condannarono nell’Ectesi e quanto avevano definito nell’ Ectesi, lo hanno abolito nel Typos. Si sono giudicati da soli altrettante volte. Coloro, dunque, che sono stati condannati da loro stessi, dai Romani e dal concilio che ebbe luogo dopo l’ottava indizione [649], che genere di mistagogia possono celebrare e che genere di Spirito può assistere gli atti compiuti da tali uomini?” (6).

La prima affermazione va nel senso di quanto abbiamo visto precedentemente, sapendo che, per Massimo, la Chiesa cattolica è quella che confessa la fede ortodossa e che la sua unità è ottenuta dalla confessione dell’unica e vera fede.
Il seguito ci mostra che, per Massimo, la comunione si fonda sulla confessione della fede ortodossa. Quando una Chiesa cessa di confessare la fede ortodossa, la vera comunione (intesa assai concretamente, non solo come comunione della fede, ma come comunione eucaristica) non può più esistere in essa, poiché lo Spirito Santo cessa di agirvi, l’epiclesi eucaristica non trova risposta, i santi doni non sono consacrati e, in maniera generale, i sacramenti restano senza valore. Massimo considera anche che, all’occorrenza, è la Chiesa di Costantinopoli che, in quanto non confessa la fede ortodossa, si trova privata della comunione con Dio e separata dalla Chiesa cattolica in comunione con la quale sono coloro che confessano la vera fede.
Il fatto che il solo abbandono della fede ortodossa gli giustifichi la rottura della comunione, si trova riaffermato in un’ulteriore frase dell’interrogatorio:

“- Tu sei in comunione con la Chiesa di qui o non sei in comunione con lei? 

- Io non sono in comunione con lei, rispose Massimo. 
- Perché? 
- Perché essa ha rifiutato i concili. 
- Se essa ha rifiutato i concili, com’è che sono citati nei dittici? 
Quale utilità sono i nomi se si rigettano i dogmi?” (7).

Il seguito ci fa apparire che l’attaccamento di Massimo alla Chiesa di Roma proviene essenzialmente dal fatto che essa allora confessa la fede ortodossa:

“Nel silenzio generale il sacellario gli disse: 
- Perché tu ami i Romani e odi i Greci?’ 
Il servitore di Dio rispose: 
- Abbiamo ricevuto il precetto di non odiare nessuno. Io amo i Romani in quanto abbiamo la stessa fede, e i Greci in quanto parliamo la stessa lingua ” (8).

Se Massimo riconosce, come abbiamo visto, alcune prerogative alla Chiesa di Roma, non le riconosce, contrariamente a quanto affermano alcuni commentatori (9), il privilegio di non potersi smarrire. Nella questione del monoenergismo e del monotelismo, la Chiesa di Roma ha, fino a quel punto, confessato la vera fede (10); ma non è impossibile che essa se ne sottragga; allora, anche lei si troverebbe priva di comunione ed esclusa dalla Chiesa cattolica.
Così, coloro che interrogarono Massimo gli domandarono: “Che farai se i Romani faranno l’unione con i Bizantini? Effettivamente, ecco che ieri sono giunti gli apocrisari da Roma (11) e domani, domenica, comunicheranno con il patriarca (12)”. La risposta di san Massimo è senz’ambiguità:

Lo Spirito Santo, per la bocca dell’Apostolo, anatematizza pure gli angeli che prescrivono qualche cosa contraria al kerigma (Gal 1,8)” (13).

In questo passo non si vede per nulla quello che afferma un commentatore e che, cioè, “per Massimo la confessione petrina di Roma è la più alta garanzia ecclesiale della fede”, “il criterio ultimo della regola di fede ecclesiale”, o che “la confessione di fede di Roma è la più alta assistenza ecclesiale per l’atto di fede teologale” di ciascun credente (14). Al contrario, Massimo prospetta assai bene che pure la Chiesa di Roma possa, a seguito delle Chiese di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, confessare un’altra fede da quella della Chiesa cattolica e incorrere nell’anatema dello Spirito Santo (poiché, allora, non ci sarebbe più alcuna autorità ecclesiastica sulla terra a definirlo) (15).
Davanti a quest’eventualità, presentata da chi lo interrogava, come una quasi certezza, che pure la Chiesa di Roma cessi a sua volta di confessare la fede ortodossa (16), e che, conseguentemente, nessuna delle cinque Chiese della pentarchia la confessi, Massimo rinvia alla coscienza personale del credente, come criterio ultimo della fede.
All’obiezione avanzata dai suoi accusatori – “Tu solo sei salvato e tutti gli altri si perdono?” – Massimo risponde:

“Nessuno è stato condannato dai tre giovani che non avevano adorato l’idolo da tutti gli altri adorato. Effettivamente, essi non si preoccupavano di quello che facevano gli altri, ma si preoccupavano della vera pietà (Dn 3, 18). Ugualmente Daniele, gettato nella fossa dei leoni, non condannò alcuno di coloro che non adoravano Dio e si conformavano all’ordine di Dario, ma si preoccupò di quanto lo riguardava e preferì morire piuttosto che offendere Dio e subire i tormenti della propria coscienza per aver trasgredito delle leggi naturali (Dn 6, 16). Quanto a me, che Dio mi doni di non condannare alcuno e di non dire d’essere il solo a essere salvato! Pertanto, scelgo di morire piuttosto di gettare lo scompiglio nella mia coscienza per aver, in qualche modo, fatto deviare qualunque cosa sia della fede nell’unico Dio” (17).

Un po’ oltre, Massimo precisa:

Non esiste nulla di più violento che il biasimo della coscienza, niente di più franco che seguire la sua opinione” (18).

È qui esaminato l’estremo caso in cui la Chiesa cattolica non avrebbe altra esistenza terrena che nella coscienza dei credenti rimasti fedeli alla fede ortodossa. Bisogna comunque notare che tale coscienza non è la coscienza individuale, che decreta in modo totalmente indipendente in materia di fede, ma una coscienza associata alla Tradizione della Chiesa e ispirata dallo Spirito Santo (19).

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Note

1) Vedi S. Brock, “An Early Syriac Life of Maximus the Confessor”, pp. 319, 329.
2) Ibid.
3) Vedi ibid., p. 330, 339.
4) Vedi B. Neil, “The Lives of Pope Martin I and Maximus the Confessor: Some Reconsiderations of Dating the Provenance”, Byzantion, 68, 1998, p. 94; P. Allen e B. Neil, Scripta saeculi VII Vitam Maximi Confessoris illustrantia una cum latina interpretatione Anastasii Bibliothecarii iuxta posita ediderunt P. Allen et B. Neil, CCSG 39, Turnhout e Lovanio, 1999, p. XV; Maximus the Confessor and his Companions – Documents from Exile, Oxford, 2003, p. 35.
5) Il Patriarca Paolo morì nel dicembre 653, durante il processo di Martino. Pirro, che gli succedette, morì il 3 giugno 654.
6) Rel. mot., VI, PG 90, 120CD.
7) Ibid., XIII, PG 90, 128B.
8) Ibid., 128C.
9) Come J.-M. Garrigues, “Le Sens de la primauté romaine chez saint Maxime le Confesseur”, pp. 12, 18-19; “Le Martyre de saint Maxime le Confesseur”, p. 420 n. 20.
10) Il caso d’Onorio è discutibile, ma non per Massimo che, l’abbiamo visto, considera ortodossa la sua posizione.
11) Questi apocrisari stavano probabilmente per sostituire quelli espulsi nel 647 o 648 a causa del loro rifiuto del Typos (vedi P. Allen e B. Neil, Scripta saeculi VII Vitam Maximi Confessoris illustrantia una cum latina interpretatione Anastasii Bibliothecarii iuxta posita ediderunt P. Allen et B. Neil, CCSG 39, Turnhout e Lovanio, 1999, p. XIX).
12) L’imminente comunione degli apocrisari con il patriarca di Costantinopoli è l’espressione d’una comunione di fede. Significa l’accordo dogmatico del papa con il patriarca di Costantinopoli Pietro, eletto nuovamente, egli stesso aderente al Typos. Non è una pura ipotesi, come afferma J.-M. Garrigues, poiché tale comunione ebbe effettivamente luogo. Nel seguito di questo passo, Massimo considera che il papa stesso non era coinvolto dai suoi rappresentanti anche se portavano una lettera scritta da lui per il patriarca e menzionavano esplicitamente il suo accordo dogmatico. Tale argomento puramente formale, poco abituale in Massimo, mostra che qui fu colto di sorpresa.
13) Rel. mot., VII, 121BC.
14) J.-M. Garrigues, “Le Sens de la primauté romaine chez saint Maxime le Confesseur”, p. 12; cfr. p. 19.
15) A differenza di J.-M. Garrigues (vedi la nota seguente), V. Croce osa chiedere se l’ultima risposta di Massimo “esprime [la sua] convinzione ragionata che pure la Chiesa di Roma può decadere dalla verità evangelica e, conseguentemente, essere condannata dallo Spirito Santo”. Ma, a questa domanda ben posta, riporta una risposta molto imbarazzata (Tradizione e ricerca. Il metodo teologico di san Massimo il Confessore, pp. 127-128). Pertanto, tale questione fu sentenziata dalla Chiesa stessa che, qualche decennio più tardi, durante il VI concilio ecumenico (Costantinopoli III), condannò papa Onorio per eresia. Il papa di Roma, che partecipò a tale condanna, e i papi ulteriori, che l’hanno reiterata (vedi supra, note 19-21, p. 142), ammisero essi stessi che un papa poteva cadere nell’eresia (vedi K. Schatz, La Primauté du pape. Son histoire des origines à nos jours, p. 90). Questo punto di vista era, ben inteso, condiviso dagli Orientali che parteciparono a tale condanna e che, prima di questa, avevano scomunicato papa Vigilio (537-555) al concilio di Costantinopoli II (553).
16) Non è una “falsa ipotesi” come pensa J.-M. Garrigues, mostrandosi rispettoso del dogma dell’infallibilità pontificia (“Le Sens de la primauté romaine chez saint Maxime le Confesseur”, p. 18). In effetti, il sucessore di papa Eugenio, Vitaliano, finì per cadere accordandosi con l’eretico patriarca di Costantinopoli Pietro (vedi infra).
17) Rel. mot., VI, PG 90, 121A.
18) Ibid., XI, PG 90, 124D.
19) Come scrive G. Benevitch: “Parlando della propria coscienza, Massimo non vuole dire che la nostra fede è una questione propria. Non sostiene il relativismo né il pluralismo, come se non ci fosse alcuna verità obiettiva e come se ogni persona avesse una sua propria verità. Massimo stesso cerca, più fermamente che può, d’essere fedele alla tradizione ortodossa. Senza questa fedeltà e Tradizione dei Padri e dei concili, non sarebbe possibile compredere il concetto di coscienza in Massimo. Egli proclamò che la sua fede non era solo propria ma quella della Chiesa e dei santi Padri. Accusò la Chiesa bizantina di tale epoca di tradire tale fede e di rompere con la Tradizione. Al momento della sua confessione, lui stesso rappresentava la continuità della Tradizione della Chiesa, il suo passato, il suo presente e il suo avvenire” (“Una sancta. San Massimo e il movimento ecumenico moderno”, San Pietroburgo 1997 [conferenza dattilografata]). Per giustificare che, secondo Massimo, la Chiesa può ridursi alla coscienza di qualche fedele, l’autore si riferisce a questo versetto di san Paolo: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Cor 3, 16). Egli accosta l’elevata idea che Massimo si fa della coscienza con tale passo delle Costituzioni apostoliche (VII, 33, 3): “[Sei benedetto], tu che mostri a ciascun uomo, con la conoscenza innata e il discernimento naturale come con l’incoraggiamento della Legge, [...] che resta solo la coscienza d’una fede integra che sale con verità attraverso i cieli e riceve l’assicurazione della felicità futura”. Riprenderemo tale punto nel terzo capitoletto della seconda parte di questo studio.

5 commenti:

  1. Vorrei che si notassero due cose estremamente attuali.

    1) Nel primo interrogatorio subito da san Massimo, gli si rimprovera di "sentirsi l'unico ad essere salvato" rispetto a tutti gli altri. Un argomento ab hominem spesso utilizzato davanti a chi sottolinea la dottrina retta davanti alle devianze del mondo attuale. San Massimo risponde che a lui non interessa condannare gli altri ma salvare se stesso, un atteggiamento decisamente agli antipodi rispetto a quello che notiamo in alcunii blog o siti "super cattolici" dove si arriva pure ad insultare o ridicolizzare coloro che si allontanano dall'ortodossia della fede.
    2) "Tu ami i romani e odii i greci?" gli si chiede ad un certo momento. Vediamo qui lo stesso atteggiamento di chi, anche oggi, sposta i discorsi dal piano dogmatico al piano personalistico. Oggi si direbbe: "Tu odi il papa o il tal vescovo o il tal prete, mentre ami te stesso egoisticamente....". Come si vede sono gli stessi meccanismi psicologici di 14 secoli fa'....D'altronde chi non riesce a vedere oltre il proprio naso esisteva allora come esiste oggi!

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  2. Quale utilità sono i nomi se si rigettano i dogmi?

    Questa frase di san Massimo è assolutamente attuale oggi in cui, formalmente, si accetta l'insegnamento tradizionale e si professa il Credo Niceno Costantinopolitano durante la liturgia. Praticamente si concepisce il Cristianesimo come nel secondo schema da me commentato nel post precedente.

    Se san Massimo il Confessore fosse vivo oggi, avrebbe moltissime cose da dire ma troverebbe, come allora, gente che farebbe di tutto per farlo star zitto adducendo, magari, che lui odia gli altri e che è un "orgoglioso", come dicono ancor oggi i "pusilli" davanti a chi ricorda lo stato pietoso del Cristianesimo odierno...

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  3. Faccio presente che il disobbedire all'eresia è prettamente ortodossia , come il disobbedire all'ingiunzione di un crimine è prettamente ortoprassi.
    Se un Vescovo intimasse di abortire , quindi parliamo di un crimine , non si tratta di dottrina ma di prassi, e gli si và e deve andare contro comunque sia.

    Riflettevo sul fatto che il tramite fra l'ortoprassi e l'ortodossia è la liturghia. Può essere inerente a quel che si dice sulla disobbedienza?

    daouda

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  4. Hai nominato il Credo Niceno Costantinopolitano, è proprio questo se non ricordo male a causa di un suo passo uno dei motivi di discordia tra le due Chiese. Sapresti dirmi di più?

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    1. Il prossimo post le offre, in modo evidentemente sintetico ma chiaro, quando lei mi chiede.

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