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domenica 23 febbraio 2020

L'assenza di sacro


Il mondo tradizionalista cattolico ha notato più volte l'invasione del secolarismo all'interno della Cattolicità. Quest'invasione si è concretizzata in opposizioni più o meno evidenti alle forme tradizionali del culto antico, all'adorazione e, di conseguenza, agli antichi ordini religiosi che fondavano la loro identità su una solida vita liturgica e contemplativa.

Il Cattolicesimo, invaso nel suo interno da forze a lui eterogenee, si è trasformato in qualcosa di molto distante da quanto potevano immaginare le stesse generazioni dei cattolici praticanti di soli settantanni fa.

Oggi, con un pontificato romano a dir poco strano, gli è stata data una più forte accelerazione in direzione secolaristica.

In tal modo, si sta finendo di compiere l'aspirazione di quel seminarista da me conosciuto che, negli anni ottanta, desiderava una Chiesa più vicina al mondo, seminarista che oggi insegna nei seminari cattolici in qualità di docente e sacerdote in Friuli. Si può solo immaginare che tipo di insegnamento e “formazione” darà ai suoi poveri alunni!

In realtà, il Cattolicesimo che oggi si sta confezionando non è un adattamento della sua perenne identità ad un nuovo mondo ma una realtà totalmente nuova e quindi in rottura, più o meno profonda, con il suo passato.

Questo, dal punto di vista religioso, rappresenta un suicidio poiché con la Rivelazione, il Cristianesimo ha ricevuto per sempre anche il modo di intenderla, il senso di se stesso e della sua missione.

Oggi, quanto si sta perdendo, è proprio il modo di intendere la Rivelazione (ossia il contenuto della tradizione) e, di conseguenza, il senso e la missione del Cristianesimo.

Una delle conseguenze fatali di tutto ciò è esattamente la perdita del sacro, più volte denunciata dal mondo tradizionalista cattolico.

Molte volte abbiamo detto che il sacro non dev'essere inteso banalmente, come lo intendono certi “progressisti” cattolici che, perciò, lo combattono. Il sacro è il senso del trascendente, la sensazione dell'Alterità in un determinato contesto poiché, se Dio regge tutto il mondo, non ovunque l'uomo lo può intuire anche perché ci troviamo in una realtà ferita dalla cosiddetta disobbedienza adamitica.

La perdita del sacro comporta un'infinità di aspetti che i nostri amici “tradizionalisti” non sempre notano a causa dei loro presupposti religiosi di carattere prevalentemente razionale.

Se nella coscienza religiosa prevale l'aspetto razionale, determinato non di rado dall'ambito culturale moderno, si oscurano senza saperlo altri aspetti tutt'altro che secondari. Si tende a dimenticare, ad esempio, che il Cristianesimo antico non pone la semplice razionalità al centro di tutto ma ha un concetto di uomo molto più ampio e profondo, un concetto che oggi facciamo difficoltà a comprendere perfino nello stesso ambito ecclesiale e che si definisce “spirituale”.

L'ambito della spiritualità, ossia quello di una dimensione più profonda e dimenticata ma insita da sempre nell'uomo è connesso con la tradizione e, in un certo qual modo, con il cuore della stessa successione apostolica che, così, non è una semplice trasmissione del potere di ordine dal vescovo ordinante al vescovo ordinato ma della giusta dimensione spirituale nella quale si colloca quel sacramento e quel potere stesso.

In tal modo, se avviene una consacrazione episcopale, anche con corretti presupposti dogmatici e con una liturgia ortodossa, ma non è più chiara la corretta dimensione spirituale con la quale si esercita il sacramento dell'Ordine sacro, possiamo trovarci dinnanzi ad un'ordinazione valida ma di fatto inefficace.

È come dare ad un medico l'abilitazione di esercitare la sua professione, dopo corretti studi teorici, ma nella totale ignoranza di come si applica tale professione. Non a caso, nel caso del medico, si può esercitare la professione solo dopo un adeguato tirocinio poiché la sola formazione intellettuale non basta affatto.

Cosa succede nei seminari cattolici odierni, mi riferisco a quelli che hanno in orrore la loro stessa antica tradizione (e sono la stragrande maggioranza)? Non è solo progressivamente deformata la formazione intellettuale ma pure la corretta dimensione spirituale con la quale si dovrebbe esercitare il sacramento dell'Ordine sacro.

Il laico non può rimanere indifferente. Infatti quanto qui inizia ad essere messa a repentaglio è esattamente la successione apostolica, ciò che fa in modo che quel vescovo sia un reale vescovo, quel sacerdote un reale sacerdote.

Già da tempo abbiamo compreso che la gran maggioranza del clero cattolico sembra esprimersi sempre più come dei laici che “fanno” i preti, non come degli uomini che “sono” preti. La differenza non è da poco poiché qui è semplicemente stato svuotato il sacerdozio del Nuovo Testamento.

Il frutto che genera questa nuova comprensione di Chiesa e di sacerdozio, infatti, non è quello evangelico che infonde una sana inquietudine dinnanzi a Dio per la nostra personale indegnità. Il frutto è un orgoglio per essere ciò che si è per cui non ha senso alcuna conversione. L'unica conversione possibile è, allora, quella compresa dal mondo, tipo quella ecologica, quella sociale, quella semplicemente filantropica, ecc.

Si tratta, qui, di una spiritualità invertita che rimanda, a sua volta, ad una formazione invertita e ad un sacerdozio invertito o, in una sola definizione, ad una assenza di successione apostolica.

L'assenza del cosiddetto “sacro” nelle nuove liturgie cattoliche e il modo essenzialmente mondano o nevrotico di vivere il tempo, la razionalizzazione o banalizzazione del mistero, non sono che semplici conseguenze di un'assenza o inoperatività della successione apostolica.

Quando la dimensione spirituale è incompresa o combattuta siamo dinnanzi alla cecità spirituale o, detto diversamente, al dominio e allo schiacciamento dell'intuizione da parte del razionale.

L'intuizione presente nell'uomo ci è testimoniata dalle stesse Sacre Scritture in modalità differenti (vedi, ad esempio, At 8, 26 oppure Lc 24, 32). Si tratta di una sfera dell'umano sensibile a realtà di tipo spirituale che la mente è impotente ad afferrare. È quello che i padri greci chiamano “nous”, ossia l'occhio spirituale, l'intelletto spirituale, cosa ben distinta e diversificata dalla razionalità.

Quanto, nella Rivelazione o nel dono di grazia, appare al “nous” può, in un certo senso, essere espresso razionalmente ma solo limitatamente. L'intuizione riesce ad attraversare il tempo e a trovare in un suo solo istante la dimensione dell'eterno, è quanto trasforma l'uomo in un contemplativo, in un essere che comunica con l'Altro mondo o ne è toccato coscientemente. Il vero veggente è l'uomo nel quale l'intuizione lavora. Perciò la Scrittura riporta: “Io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”(Gioe 3,1).

Gesù Cristo comanderà ai suoi discepoli di “farsi come bambini” proprio perché nell'infante non domina la sfera del razionale ma, piuttosto, quella dell'intuizione, seppur ancora ad un livello iniziale. Se ciò non avviene, “non entrerete nel Regno dei Cieli”, ossia non sarete toccati dall'Eternità fin da quaggiù.

Se tutto questo è oscurato, incompreso, dimenticato, combattuto, per un certo tempo rimane l'interpretazione razionale della Rivelazione. Poi si finisce per considerarla inutile e contraddittoria e si sposano categorie sempre più mondane: la religione viene compresa nei limiti dell'umana ragione! Da quel punto in poi, si trasformano la Chiesa, la liturgia i sacramenti i dogmi. L'uomo si nevrotizza e non sopporta più pregare o assistere a lunghe liturgie. Di conseguenza queste vengono abbreviate o semplicemente soppresse.

Ed eccoci ai giorni nostri dove tutta questa preparazione ha generato agnostici e atei. Non illudiamoci: nelle strutture ecclesiastiche mondanizzate odierne è perfettamente logica la presenza di preti e vescovi agnostici e atei!

L'assenza di sacro, dunque, non è che il frutto finale e più maturo di un percorso dove tutto è stato invertito e l'uomo è stato rinchiuso nella sua unica razionalità, una razionalità per giunta non più illuminata dalla più elevata facoltà intuitiva.

Le strutture ecclesiastiche, a quel punto, non servono più poiché non sono più in grado di compiere il lavoro che dovrebbero, per loro natura, fare.

Mi impressiona non poco osservare che alcune realtà della Chiesa ortodossa, un tempo gelose custodi di tale prospettiva antropologica e spirituale, si stiano “modernizzando” e iniziano a produrre quello stesso vuoto di senso che vediamo nella maggioranza delle strutture ecclesiastiche attorno a noi. Esse sono oramai pronte ad unirsi con un certo mondo “cristiano” occidentale poiché hanno la sua stessa e identica atmosfera interiore!


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