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venerdì 17 aprile 2020

Il cristiano in rapporto a Cristo....

Il forzato isolamento di questi giorni è fonte d'insegnamento per chi lo sa intendere, poiché nel deserto è Dio che parla. Cosa si può imparare? 

Prima di tutto che il rapporto tra le persone ha bisogno d'essere instaurato con maggior profondità: i rapporti veloci e funzionali all'ottenimento di risultati pratici sono la base della nostra civiltà consumistica ma, in uno stato d'isolamento, fanno vedere tutta la loro inconsistenza. 

I cristiani hanno un modo differente d'intendere i rapporti umani, almeno quelli che vivono immersi in una tradizione antica e la praticano. Per essi il rapporto umano non è mai diretto ma mediato attraverso Cristo. Mi spiego: quando Paolo incontra Pietro, non considera Pietro in quanto tale o un suo aspetto che gli può far piacere; lo considera sempre nel mistero di Cristo e ravvisa Cristo in lui, pur nelle caratteristiche proprie a Pietro. Non è un approccio ideologico, dove si considera Pietro in Cristo se pensa in un certo modo. È un approccio con gli occhi del cuore, mistico, dove comunque si ravvisa Cristo in Pietro. Cristo è dunque sempre presente, non è confinato in un ambito o un tempo specifico.

In tal modo, l'eremita che non ha una vita sociale, dal momento che vive nel mistero di Cristo, finisce, in Cristo, per incontrare tutto il mondo. Non si tratta, qui, di un'ideologia consolatoria ma di un fondamento sul quale si costruisce la propria fede. Di conseguenza, neppure l'eremita può dire di essere mai solo! 

Lo stesso rapporto che possiamo avere con il mondo animale cambia perché ravvisiamo nelle creature il dono e l'immensa fantasia del Creatore il che fa scaturire un profondo rispetto verso di esse. 

Chi si è staccato, consapevolmente o meno, da questa tradizione ha un modo differente d'intendere il rapporto umano, anche se si ritiene ancora cristiano. 

Prima di tutto è succube dell'ideologia consumistica per cui, anche per lui, il prossimo può divenire un oggetto di consumo o un mezzo per ottenere questo o quel fine. 

Secondariamente, l'assenza di incontri sociali, come avviene in questo periodo d'isolamento, gli fa credere di non aver più rapporto con il mondo. Ed è qui, su questo secondo punto, che scorgiamo, in filigrana l'atteggiamento di molti chierici cattolici. Essi, iniziando dal papa [*] che lo avrebbe affermato ieri, 17 aprile, pensano che la messa senza popolo è "meno messa", è una "condizione alterata" che minerebbe l'espressione stessa della Chiesa, farebbe in modo che la Chiesa, in qualche modo, venga quasi meno nel suo essere, come, d'altronde, la messa stessa. 

Allora un monastero di clausura, proprio perché tale, è un'espressione sminuita di Chiesa, è una caricatura di Chiesa! Ecco perché alcuni di loro non capisco e disprezzano il monachesimo! 

Questo stesso pensiero è condiviso addirittura dal metropolita ortodosso Zizioulas, non a caso esaltato da gran parte del mondo cattolico. Purtroppo per tutti questi, è un pensiero eretico. 

Eretico, perché l'azione cultuale eucaristica, pur essendo finalizzata a donare la grazia divina al popolo, non è fondata sulla presenza o il volere del popolo ma sul volere di Cristo. Da Cristo trae la sua grazia e mette in comunione, attraverso di Lui, vivi (presenti e assenti) e defunti. Non evoca, dunque, una comunione sociale, ma una comunione mistica, non si basa su un'evidenza oculare ma su un'evidenza di fede. 

È vero che in Oriente si tende a non celebrare l'eucarestia nel caso di mancanza di popolo ma non perché la messa non avrebbe valore, bensì perché non ci sono presenti sui quali riversare la sua grazia. Sarebbe come tenere una farmacia aperta in mezzo ad un deserto. Resta pur sempre vero, anche lì, che l'Eucarestia diffonde la sua grazia sugli assenti e sui defunti. 

La società ecclesiastica è particolare, non è quella che si può secolaristicamente immaginare. Non si tratta, infatti, di contare presenze fisiche ma di rapportarsi considerando che si passa sempre attraverso Cristo. Così, se il Cristianesimo si riducesse talmente da far esistere solo due veri cristiani, uno in Europa e uno in Australia, anche lì esisterebbe la pienezza della Chiesa precisamente perché la comunità cristiana si farebbe comunque, attraverso Cristo. 

Per lo stesso motivo alcuni uomini spiritualizzati avevano il carisma di poter farsi intendere a lontananza, come il caso di san Paisios l'Atonita che riuscì a fermare l'insano gesto di un uomo che voleva suicidarsi, ordinandogli di non farlo. Tra i due esistevano centinaia di chilometri di distanza! 

Purtroppo questa prospettiva sembra persa per sempre nel mondo Cattolico, pure in quello tradizionalista che, nonostante ciò, presume di poter salvare la Chiesa! Che tipo di risposte è in grado di dare quest'ultimo ai suoi chierici, soprattutto a quelli secolarizzati, che pensano che “la messa è meno messa quando non è visibile la comunità?”. 

Le uniche risposte da me rilevate si basano tutte sul valore della messa in se stessa, il che è vero, sì, ma non è affatto completo perché non tiene conto che il rapporto umano si basa tutto sempre attraverso Cristo. Che si dovrebbe dire, dal momento che Cristo non si vede con gli occhi del corpo? Che, allora, non esiste alcun rapporto con lui e, di conseguenza, con tutto il mondo? Sarebbe negare la propria fede! 

Ebbene, lo è pure quando si è sottomessi ad una visione puramente sociologica di Chiesa e quando non si dà una risposta perfettamente esauriente a questa limitandosi a semplici considerazioni sul valore della messa in se stessa. È ovvio che un ambiente così ha una concezione almeno potenzialmente negativa della mistica cristiana, mistica che è stata condannata nelle sue manifestazioni fuorvianti nel XVII secolo ma che, di fatto, è stata marginalizzata dalla vita della stessa Chiesa moderna, in Occidente [**]. 

Certi tradizionalisti non sono in grado di comprendere fino in fondo il limite nel quale si pongono come non sono in grado di comprendere che questo loro atteggiamento apre, alla fine, le porte all'ateismo proprio perché non rappresenta una risposta efficace. Non sono in grado di comprendere perché, in misura più o meno consistente, sono pure loro vittime del secolarismo che ha totalmente eroso i loro fratelli modernisti. Che siano in grado o meno d'intenderlo, il loro sforzo di porre un argine al modernismo potrebbe essere minato in partenza perché è come andare in guerra con delle armi giocattolo. 

Non si tratta, qui, d'imparare i principi accennati intellettualmente per "aggiustare il tiro", perché, se non è veramente vissuto, o prima o poi l'errore salterà ancora fuori e sarà comunque segno che non si vive nella vera tradizione. È come continuare a fare armi giocattolo, solo un po' più verosimili, giusto per ingannare se stessi.

Il silenzio dell'isolamento per il Coronavirus è veramente sorgente d'insegnamento per tutti! 

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[*] (ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 17 APR - Celebrare la messa senza popolo "è un pericolo", queste modalità a distanza sono legate "al momento difficile" ma "la Chiesa è con il popolo, con i sacramenti". Non si può "viralizzare la Chiesa, i sacramenti, il popolo". "È vero che in questo momento" occorre celebrare a distanza ma "per uscire dal tunnel, non per rimanere così" perché la Chiesa "è familiarità concreta con il popolo". "Questa non è la Chiesa, è una Chiesa in una situazione difficile". Lo ha detto Papa Francesco nell'omelia della messa a Santa Marta. 
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Se non fosse una pura perdita di tempo, sarebbe da chiedere a questo strano papa: "Quando mai la Chiesa non è stata in una condizione difficile? E perciò non è, forse, stata meno Chiesa?". Il modo di articolare i ragionamenti in Bergoglio è veramente sconnesso. Egli afferma un'eresia e, allo stesso tempo, per non aver contestazioni cerca di limitare tale sua precedente affermazione. Intanto, però, ha fatto intendere ciò che voleva a chi lo doveva capire. Si deve inoltre dire che questo suo modo di ragionare deriva da una profonda mancanza di solida formazione e da una prassi che sembra avere inquietanti aspetti machiavellici. 

[**] Per quanto ci si possa distinguere dalle sue scelte, non si può non dire che Mons. Marcel Levebre non fosse rispettabilissimo per la sua sincerità. Egli aveva un'alta considerazione della vita contemplativa dal momento che, diceva, "aiuta le missioni". Ma nel suo caso e in quello di chi si ritrova nel suo pensiero, temo che i contemplativi non siano tanto il modello della Chiesa per le ragioni da me sopra esposte, ma delle creature che si sacrificano e nel loro personale sacrificio ottengono grazie anche per le missioni. E' una concezione di tipo sacrificale, cara al concilio di Trento, ma che non riprende e valorizza in toto la tradizione antica quella in cui, cristificandosi, il monaco diviene specchio della Chiesa e luogo d'incontro spirituale, in Cristo, con il prossimo. Questo senza dubbio è dato anche dall'aver messo in ombra la vita mistica nella Chiesa. Oggi, dall'ombra in cui era, la vita mistica è stata estromessa dalla prassi e dal pensiero religioso in moltissimi ambiti ecclesiastici e sostituita da una visione sociale: la Chiesa ha senso se ha un immediato impatto benefico materiale. Prova ne sia che pure i monasteri di clausura cattolici sono chiamati, nell'ottica bergogliana, a divenire asilo per i cosiddetti rifugiati.
 

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