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martedì 7 novembre 2017

La Chiesa: una questione di grazia

Se si seguono i dibattiti all'interno delle Chiese nel nostro tempo, si rimane esterrefatti: tutto il mondo cristiano è disperso in mille problematiche e cerca, con ciò, di dare un senso alla propria esistenza.

Non c'è tema attuale nel quale, in un modo o in un altro, le Chiese non siano implicate: temi etici, sociali, economici, ludici, psicologici, psicanalitici, economici, politici ...

Risuonano ancora alle mie orecchie le contestazioni sociali di qualche seminarista cattolico quando gli veniva fatto presente il primato delle realtà spirituali nella Chiesa: “Che se ne fa dei sacramenti un africano che ha fame? Prima bisogna dargli da mangiare!”. Questo tipo di contestazioni hanno uno speciale agnosticismo neppure tanto nascosto: quello che conta, in realtà, è l'immediatezza materiale. Il resto si può fare ma non è così importante come la materialità. Oltretutto qui è rovesciato il primato dello spirituale sul materiale, dell'anima sul corpo, quel primato che Cristo evidenziava con questa domanda retorica: Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8, 36).

Da allora questi seminaristi sono divenuti sacerdoti e alcuni tra loro vescovi. Non fa alcuna meraviglia, quindi, se oggi in molte chiese cattoliche non si respira alcuna aria soprannaturale e, anzi, questa è ritenuta una pura affermazione verbale, quando non è semplicemente disprezzata.

Come oramai spesso sottolineo, siamo dinnanzi ad un arianesimo ecclesiale. Quando si crede nella divinità di Cristo si deve essere ben coscienti che, nella pratica, la Chiesa essendo il Suo prolungamento nel tempo, ha caratteristiche umane ma pure divine. Se nella Chiesa non s'intuisce nulla di divino ma è tutto troppo umano, la si è staccata da Cristo e non ci si può confortare con alcuna promessa divina applicata magicamente. Non ho alcun dubbio su tutto ciò!

Nella Chiesa tutto è collegato a tutto: non si può continuare a porre mano su quanto ricevuto per tradizione, cambiarlo e stravolgerlo senza pensare di non subirne qualche contraccolpo. E il primo contraccolpo che si sperimenta è proprio quello di vivere in un'atmosfera troppo umana, “logica”, autoreferenziale. Dio, anche se talora viene nominato, dov'è? Non c'è! Ecco spiegato il dilemma di molte nostre chiese occidentali “vuote di Dio”.

La Chiesa, in realtà, è una questione di grazia e null'altro! Ma cos'è la grazia? Credo che se poniamo questa domanda al clero odierno otterremo ogni volta una risposta diversa: tot capita, tot sententiae!

Andremo dalla definizione intellettuale che ne diede Martin Lutero (la grazia è la giustificazione che Dio ci dona in Cristo, rendendoci giusti anche se rimaniamo peccatori), a definizioni sempre più imprecise. Forse qualcuno non risponderebbe affatto. Rari sarebbero coloro che si rifarebbero alle definizioni dei catechismi di un tempo.

Il fatto è che gran parte di queste risposte non solo non è precisa ma è fuorviante, segno che tutte queste persone non sanno, in realtà, cosa sia la grazia. È un paradosso se pensiamo che questa vacuità ce la trasmettono molti sacerdoti! 
È come essere davanti da un meccanico che ci dicesse che il cacciavite è fatto a U mentre un altro ritenesse che ha una forma circolare e un terzo negasse addirittura l'esistenza dei cacciaviti. 
Che idea ci faremo di costoro? Che non hanno mai visto un cacciavite ma che in qualche modo ne devono parlare perché devono presentarsi come meccanici! 
Così è gran parte del clero attuale perché quello di ieri, fosse anche stato ignorante a livello esperienziale sulla grazia, almeno ripeteva meccanicamente il catechismo e salvava le apparenze.
Tuttavia mentre nessuno farebbe riparare il motore della propria auto ad un meccanico ignorante di cacciaviti, un prete che straparla sulla grazia o che la nega trova sempre qualcuno che gli da credito! Un laico che si affida a tali preti ne uscirà seriamente danneggiato nel “motore della sua anima ma probabilmente non ha la possibilità di esserne cosciente.

Volendo fare un paragone somatico, come fece l'Apostolo, la grazia è nella Chiesa come il sangue è nel corpo. Ma siccome la Chiesa ha caratteristiche anche divine, non solo credute per fede ma sperimentate nella realtà, la grazia è divina tout-court

So benissimo che nel periodo in cui il tomismo dominava la teologia cattolica si è architettato un escamotage con il quale, pur salvando il carattere soprannaturale della grazia, la si dichiarava di natura creata (quindi appartenente al nostro mondo peribile). Quest'affermazione nasceva dall'idea filosofica che Dio non si può mescolare con il mondo altrimenti viene meno come Dio. Una preoccupazione filosofica ha finito, in qualche modo e sicuramente senza volerlo, per appannare il carattere totalmente trascendente della grazia e anche questo ha aiutato ad inclinare il piano con il quale si è scivolati nell'attuale situazione secolarizzata.

Invece, la grazia è divina perché attraverso la forza della grazia è stata guarita l'emorroissa e il Vangelo lo evidenzia nella frase sfuggita a Cristo in quell'occasione: «Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me» (Lc 8, 46). Da questo passo, è evidente che la grazia è qualcosa che proviene da Cristo in quanto Dio poiché, come uomo, non potrebbe fare cose del genere, e tale grazia ha effetti pure sul corpo. Il vangelo ci mostra che è qualcosa di estremamente concreto: è una forza (dynamis, in greco) che determina una guarigione. Ma è altrettanto ovvio che se questi passi evangelici sono ritenuti delle invenzioni, delle pie storielle, pure l'idea della grazia ne esce distorta.

Oltre alla grazia in senso generico (come abbiamo appena visto), un tempo si parlava di “grazia sacramentale”: i sacramenti ricevuti nella fede in Cristo sono veicoli di grazia. Questo in effetti è vero ma non in senso puramente ideale, come spesso si ritiene. La grazia è una forza, accende delle potenzialità normalmente dormienti nell'interiorità umana, abilità la persona a riconoscere o meno la volontà divina senza bisogno di intermediari umani (di qui il terribile sospetto e paura istituzionale davanti ai mistici nell'Occidente cristiano!). 

È qualcosa di molto sperimentale e di sperimentabile al punto che gli antichi padri, penso a san Simeone il Nuovo Teologo (XI sec.), non pensavano possibile esserci se la persona non sentiva alcun suo intervento. La grazia è un'arma, una protezione, una bussola, determina a vedere le cose con degli occhi divini, da la sensazione di una catarsi, di un'elevazione, spinge all'umiltà, al nascondimento, alla custodia della propria interiorità, accende l'intelligenza e scalda il cuore.
Per questo la vera comunione delle persone all'interno della Chiesa si fa nell'unica esperienza di questa grazia (questo è l'unico e autentico significato della frase: Cristo porta all'unità), non con escamotage umani, imposizioni, politiche ecumeniche, ecc. La stessa comunione formale con un gerarca (ad es. con il papa nel Cattolicesimo) non vuole dire assolutamente nulla se non è preceduta ed accompagnata dalla comunione nella grazia perché nella Chiesa non si può prescindere mai da Cristo.

Nei primi tempi del Cristianesimo si pensava che abiurare Cristo fosse possibile solo nel caso in cui la grazia non avesse funzionato e ciò significava che il battesimo ricevuto dovesse essere stato per qualche ragione invalido. Oggi, con questo metro e dinnanzi alla pavidità e alla freddezza di molti cristiani, quanti battesimi sarebbero invalidi?

La grazia è così importante per la Chiesa che in essa se ne dovrebbe sempre parlare. Dovrebbe essere veramente una “sacra ossessione”. Invece non se ne parla affatto e questo vuoto di parola indica benissimo il vuoto di una realtà, per di più di una realtà fondamentale. Al più si parla di etica, non si parla di grazia. Per questo i drammi viscerali che emergono da molti siti internet cattolici sulle questioni morali mi infastidiscono (nonostante sia anch'io preoccupato del libertinismo attuale presente nei chierici e nei laici). 

Infatti, ci muoviamo in una prospettiva sempre secolare, orizzontale, troppo umana, seppur animata dalle migliori intenzioni cristiane.

Una spiegazione c'è: la grazia per poter agire in modo anche sperimentale chiede che una persona lavori molto su se stessa. Questo è uno dei significati della parabola del seme nella terra (Lc 8, 4-15). Ci vuole una terra buona, quindi continuamente lavorata e preparata con il sudore della propria fronte, perché il seme gettato da Dio possa fruttificare. Senza questo lavoro che tradizionalmente si concretizza in lunghe veglie di preghiera, nell'astinenza, nel digiuno e in una vita ascetica nella quale si praticano i comandamenti, il seme cade o sulle spine o sui sassi e in quest'ultimo frequentissimo caso non produce nulla. Senza gli effetti reali della grazia tutto è visto umanamente e di conseguenza al più in modo meramente etico.

Se molti in una Chiesa sono in questo stato è la stessa assemblea ecclesiale che è priva di grazia! Che traditio può esserci in un'assemblea in gran parte dis-graziata? Una traditio puramente formale e, alla lunga, una rielaborazione puramente umana della traditio stessa! La mancanza della grazia nella maggioranza porta alla formalità religiosa (ad un ossequio puramente esteriore) e, alla lunga, al cambiamento radicale di una Chiesa. Mi sembra di vedere, in tutto ciò, il travaglio cattolico dell'immediato preconcilio e del postconcilio, tra gli anni '50 e gli anni '70 ma possiamo tranquillamente vederci la Germania prima e dopo la Riforma luterana. Inoltre, per pars condicio, ci vedrei pure qualche ambiente ortodosso dove la tradizione è vissuta in modo puramente formale e la liturgia diventa solo un pretesto per ritrovare la propria Nazione quando si vive nella diaspora. Qui non si sa o non si vuole sapere che si è già nell'anticamera verso la rovina della Chiesa ...


Giustificare le persone, senza imprimere in esse una sana inquietudine spirituale, significa allontanarle da Cristo, rendere inefficace la grazia (anche se si difende lo strano pseudo-diritto alla comunione eucaristica), trasformare la Chiesa in un'associazione di diritti umani, equivocare la rivelazione, in una parola: arianizzare la Chiesa stessa. 

Il Cristianesimo, quello autentico, sta da un'altra parte ed esattamente dove Chiesa e grazia sono intimamente unite e vive, come il corpo e il suo sangue. Ciò chiederà anche fatica, è vero, ma è Cristo stesso che parla di “porta stretta” per il Regno dei Cieli, non di cammini semplici e larghi ma vuoti di grazia.


© Traditio Liturgica

3 commenti:

  1. Gentile Sig. Pietro,
    anzitutto grazie per questo bellissimo post e per tutti i precedenti (sono un suo lettore da qualche tempo). Sono completamente d'accordo sul fatto che presso i cattolici, e non solo presso di loro, la grazia divina sia poco esperita e conseguentemente poco compresa. Mi pare che si possa riconoscere, sia negli innovatori che nei cosiddetti "tradizionalisti", una fondamentale mancanza di umiltà: gli uni non ritengono necessario implorare il Signore di conferirci la sua grazia perché troppo impegnati, nella migliore delle ipotesi, in battaglie puramente etiche e mondane; gli altri perché si accontentano di osservanze puramente formali e, sentendosi giustificati da tali osservanze, nemmeno sentono la necessità dell'azione trasformativa della grazia. Ciò che gli uni e gli altri non sembrano intenzionati a domandare, mediante la preghiera e il digiuno, è la conversione, ossia quell'azione della grazia nel cuore del fedele che lo rende sempre più somigliante al suo Signore.
    Non sono completamente d'accordo con lei nell'attribuire la responsabilità di questa eclissi del tema della grazia nei discorsi e nelle vite dei fedeli al carattere marcatamente speculativo che ha la teologia di San Tommaso d'Aquino e seguaci. Se la grazia è intesa come uno stato in cui il fedele si trova, allora essa è il risultato di un atto divino e come tale può legittimamente considerarsi una cosa creata. Tuttavia Tommaso accetta anche l'esistenza di una grazia increata che è Dio stesso. L'inabitazione di Cristo nel cuore di un fedele ("non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me") è la grazia più grande ed è certamente increata, essendo essa Dio stesso. Non credo che su questo punto Tommaso diverga fortemente da quanto esplicitamente sostenuto dai padri orientali. Certamente egli fu lungi dal trattare la grazia increata come qualche cosa di altro dall'essenza divina. Ma questo non mi pare che lo facesse per evitare un'indebita mescolanza fra creatore e creatura, ma soltanto per salvaguardare la semplicità divina. Semplicità che, secondo Tommaso, comporta che essenza divina e atti divini siano una sola cosa.
    Se dovessi indicare io un responsabile di questa eclissi del divino tenderei ad indicare il monachesimo occidentale e, in generale, tutti i fedeli che ambiscono ad una vita contemplativa. Nel corso della storia occidentale del secondo millennio, essi hanno, pur con varie eccezioni, messo fra parentesi la necessità di "attirare" la grazia divina con la propria umiltà e di lasciarsene trasformare. A tale divina impresa è stato talvolta sostituito il tentativo di perfezionamento morale che, se separato dal suo fondamento spirituale, tende a diventare sterile. Si tratta naturalmente di valutazioni che faccio solo in prima approssimazione e su cui forse, almeno in parte, è d'accordo anche lei.
    Sono molto colpito dal ciò che San Simeone sosteneva riguardo al fatto che la grazia debba essere sperimentata dal fedele, e, in assenza di tale esperienza, se ne debba sospettarne l'assenza. Certamente è un monito sul quale tutti dobbiamo seriamente riflettere e chiederci se un serio cammino di conversione lo abbiamo davvero cominciato o no.
    Ancora grazie per aver portato la mia attenzione su tutte queste cose. Continuerò a seguirla
    Michele

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  2. Caro Michele,
    grazie per la sua attenzione.
    Scrivere un post non è cosa facile perché si deve condensare in una sola frase quello che a suo tempo ha trovato spazio in moltissime pagine.
    La questione della "grazia creata" illustrata da Tommaso d'Aquino è argomento conosciuto. Tempo fa ci fu una monografia dedicata solo a questo argomento per le editrici domenicane di Bologna. Sì, è vero che c'è la questione della semplicità divina, come lei dice, argomento per altro assai filosofico, ma c'è anche la questione da me ricordata. La "grazia increata" per Tommaso è la sostanza divina, il "Dio in sé" al quale noi qui non possiamo accedere. La "grazia creata" è quella sacramentale, "creata", si badi bene, per quanto soprannaturale. E qui, ovviamente da quanto ha capito, io non concordo affatto perché mi sembra un ragionamento architettato per bisogni filosofici, mentre la descrizione di una realtà divina, per quanto simbolica, dovrebbe rispettare la stessa. Perciò la grazia è detta increaturale, increata, essendo "operazione divina", per usare un linguaggio di Ambrogio di Milano. Le operazioni divine hanno il marchio della divinità, il loro contrassegno, non il marchio della creaturalità e ciò è testificato anche dagli effetti che creano: una realtà creata può solo dare effetti creati, non increati.
    Questo è il motivo per cui da noi, in Occidente, non si capisce bene cosa sia la Pentecoste: la discesa dello Spirito Santo ma... lo Spirito come Persona?, come attività divina? Non si sa e le confido che fintanto che giravo in certi ambienti neppure io lo avrei mai potuto intuire. Che poi lo Spirito Santo, come la grazia, sia ritenuto un "modo di dire" oramai è sempre più evidente nel clero al punto che un giorno un chierico se ne uscì dicendo che, in fondo, lo Spirito Santo è... la coscienza umana!
    Per carità non do la "colpa" a Tommaso per tutto questo ma a volte in Tommaso mi pare di vedere una preoccupazione più filosofica che teologica il che, alla fine, porterà a trasformare, la teologia stessa in antropologia. Sa, all'inizio un piccolo scartamento di un binario rispetto ad un altro è cosa da niente. Dopo dieci chilometri, però, voglio vedere se i due binari sembrano ancora paralleli!

    Il monachesimo occidentale è purtroppo eclissato da troppo tempo. Forse esiste ancora qualche comunità che non è così ma in quelle da me visitate (e le assicuro che erano assolutamente le migliori) ci sono atteggiamenti troppo psicologizzanti.
    Il problema nel nostro contesto cristiano nasce da una storia travagliata che, volente o no, ha separato dogma da spiritualità, liturgia da morale facendo divenire intellettuale e puramente speculativo quello che per i santi Padri non doveva assolutamente esserlo. Che queste cose siano disarticolate tra loro lo capisce anche da solo e lo capii benissimo pure io quando studiavo teologia, data la mia incapacità di vedere connessioni tra il dogma e la spiritualità!
    Ovvio che i frutti che si raccolgono sono pochi e stopposi.

    Però siccome la Chiesa è affare di Dio o prima o poi saprà lui suscitare persone, piene di grazia, a risollevarla. Nel frattempo chi sta nel suo "inferno" non disperi!

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    1. Solo una breve considerazione per quanto riguarda il monachesimo oggi, in occidente: non tutto è perduto, ci sono ordini come quello Certosino, Trappista e qualche monastero Benedettino dove l'autentica Tradizione vive, e con essa l'esperienza vera di Dio.

      nikolaus

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