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lunedì 27 agosto 2012

Le campane



Le campane sono un mezzo utilizzato dalle chiese cristiane per richiamare l'attenzione a momenti particolari della giornata.
Indicano, innanzitutto, un fatto evidente: il Cristianesimo, come ogni altra religione, non è un fatto individualistico e privato ma sociale. Il fatto che il suono delle campane si diffonda in tutto lo spazio circostante, richiama ogni realtà a qualcosa di ben preciso che appartiene all'universo religioso, un universo non confinato, dunque, nel solo spazio della coscienza individuale.

Nei paesi in cui si confessa la laicità dello Stato e che, parallelamente, confessano la religione come fatto privato, la presenza del suono delle campane è un po' una "contraddizione", un segno che testimonia tutto un diverso ordine di cose, dal momento che non esiste luogo in cui questo suono non possa penetrare.

In conseguenza di ciò, oggi si nota il tentativo di alcuni d'imporre un limitato scampanio mentre, nella grande campagna francese, molti crescono senza avere mai sentito il suono frequente d'una campana od essere entrati in una chiesa.

Oltre ad annunciare la presenza o l'imminenza di una funzione liturgica, le campane ne marcano i momenti salienti. Succedeva, così, che le campane suonassero in corrispondenza dell'elevazione dell'ostia e del calice (nel rito latino) e che continuino a suonare all'inizio della grande Dossologia e del grande Ingresso (nel rito greco-bizantino) quando il pane e il vino sono portati in processione; che suonino nella grande dossologia al sabato santo nel rito latino (gloria in excelsis Deo) e che, parallelamente, suonino all'inizio di ogni grande dossologia verso la fine del mattutino nel rito bizantino.

Il suono delle campane annuncia, altresì, la Resurrezione di Cristo. 

Nei monasteri latini tradizionali, le campane segnano l'inizio del canto del breviario nelle varie ore liturgiche poiché la preghiera santifica lo scorrere del tempo e le campane stanno a ricordarlo particolarmente.

Nel famoso quadro l' "Angelus", si ritrova tale aspetto: una coppia di contadini, al suono delle campane, ferma il suo lavoro e recita la preghiera mariana. L'annuncio del tempo, prima ancora che indicare un'ora, indicava la santificazione della stessa. Certamente l'angelus non era come la preghiera liturgica delle ore, essendo solo un esercizio di pietà, ma voleva, in qualche modo, conservare ancora la santificazione di una particolare ora presso chi non era né chierico né monaco. Una pratica oramai totalmente dimenticata dalla massa della società.



A proposito di questo tema è stato scritto: 
"Le campane oltre il normale incarico di segnalare l'ora dei servizi religiosi, ebbero anche altri uffici congeneri, tuttora vivi nelle chiese [l'autore scriveva decenni fa' e questa pratica oramai è morta]; come quello di avvertire dell'agonia e morte di un fedele, perché si preghi per l'anima sua, costume di provenienza monastica; di scongiurare i temporali o meglio gli spiriti maligni che, secondo la credenza medioevale, ne sarebbero i suscitatori; di preannunciare la sera precedente il digiuno del dì successivo; di segnare l'ora del coprifuoco; di imprimere una nota di gioia nelle circostanze solenni della chiesa; ed altri ancora di carattere civile (l'orologio), ma sempre per un interesse collettivo". (Cfr. Mario Righetti, Storia Liturgica, I, Marietti, p. 484).

Le campane, come ogni altro elemento della chiesa, sono benedette e consacrate con una funzione particolare presieduta dal vescovo. In questo modo il loro suono non è considerato come ogni altro ma, in qualche modo, gli viene attribuito il valore di una "benedizione" che si diffonde su ovunque lo ascolti e lo accolga con animo ben disposto.

Il rito tradizionale latino di consacrazione delle campane (che in qualche modo ha elementi simili a quello bizantino) è stato descritto da Mario Righetti come segue:

"Il rituale della cerimonia, che di regola è demandato al vescovo, si trova già sostanzialmente abbozzato nel [rituale] gelasiano del secolo VIII, e poi meglio rifinito nel Pontificale romano-germanico, dal titolo Ordo ad signum ecclesiae benedicendum. Esso comporta tre elementi principali:

1) La lustrazione della campana con acqua miscelata di sale ed olio. 
L'olio più tardi (XIII secolo) venne omesso. La prima delle due formule relative enuncia in dettaglio gli scopi della benedizione, che non sono frutto di magia, ma effetto della virtù dello Spirito Santo:

Benedic, Domine, hanc aquam benedictione caelesti et assistat super eam virtus Spiritus sancti, ut cum hoc vasculum ad invitandos filios eclesiae preparatum, in ea fuerit tinctum, ubicumque sonnuerit ejus tintinnabulum, longe recedat virtus inimicorum... incursio turbinum... calamitas tempestatum... et credscat in eis devotionis augmentum ut festinanter ad piae matris Ecclesiae gremium, cantent tibi canticum novum in eclesia sanctorum, deferentes in sono praeconium tubae, modulationem psalterii...

Il pensiero della nota festiva che desta il suono della campana in chi ne ascolta la voce simbolica, ha suggerito a questo punto il canto dei sei salmi di Laudes: ps. 145-150. Nel frattempo il vescovo coll'acqua benedetta che ha confezionato, lava la campana entro e fuori, concludendo la lustrazione con una orazione a Dio, affinché al suono di quello strumento

... fideles invitentur ad praemium...; crescat in eis devotio fidei, procul pellantur omnes insidiae inimici... ventorum flabra fiant salubriter ac moderate suspensa, prosternat aereas potestas dextera tuae virtutis. Per.

2) Le unzioni sacre. 
Astersa la campana, viene consacrata col Crisma. Il rito è d'origine gallicana, e, dato l'oggetto, non si presenta certamente ben indovinato; ma ci voleva per completare l'analogia col battesimo. Il vescovo pratica undici unzioni; sette sulla superficie esterna della campana, quattro all'interno. Negli Ordines più antichi, come nel Gellonense, le ultime unzioni soltanto sono compiute col Crisma; le prime con altro olio sacro senza distinguere fra quello dei catecumeni o degli infermi. Attualmente è prescritto quest'ultimo. Il Pontificale romano al secolo XIII dà la formula dell'unzione: Consecretur ut sanctificetur, Domine, signum istud in honorem S. Mariae Matris Christi, vel sancti illius, in nomine P. et F. et S.S. Amen.

La formula accenna ad una intitolazione della campana; l'uso infatti di darle un nome sacro in occasione del suo battesimo, è già attestato nel sec. X. Il Baronio riferisce che pp Giovanni XIII, nel 961, fu il primo a imporre un nome ad una campana, quella di s. Giovanni in Laterano, facendovi iscrivere il nome Joannes.

Anche le unzioni hanno carattere apotropaico. Risulta dal sal. 28 Afferte Domino filii Dei..., prescritto durante la cerimonia, che afferma la potenza sovrana della voce di Dio su tutti gli elementi, ripetendone l'alto concetto in sette versetti successivi. Per questo, il Pontificale romano-germanico portava in rubrica: Quot vicibus in psalmis dicit: Vox Domini... totidem (episcopus) signa faciat cum chrismate...

3) Le fumigazioni d'incenso.
Unta la campana, il vescovo le sottopone un incensiere fumante, thimiamate, thure et myrra, in modo che i vapori profumati si raccolgano e tutto riempiano l'imbuto campanario. L'incenso vuol essere innanzitutto un atto in onore allo strumento, divenuto res sacra; ma in pari tempo continua la linea esorcistica che compenetra tutto il rito. La Schola, infatti, durante la fumigazione, esegue gli ultimi sette versetti del sal. 76 Voce mea ad Dominum clamavi... nei quali si riafferma l'idea della onnipotenza di Dio sugli elementi. Dal canto suo il vescovo nella colletta che segue, dopo aver richiamato la forza taumaturga di Gesù nel sedare la tempesta sul lago di Cafarnao, prega il Signore che dum huius vasculi sonitus transit per nubila, Ecclesiae tuae conventum manus servet angelica, fruges credentium, mentes et corpora, salvet protectione sempiterna.

La pericope evangelica circa la visita di Cristo alla casa di Marta e Maria in Betania, la cui lettura chiude tutto il rito, fu un'aggiunta di Durando; ma non se ne intende bene il significato. Al suo posto il Pontificale romano del secolo XIII metteva la recita delle Litanie dei Santi". (Crf. Ibid, V, pp. 523-525). 

Da quanto detto, risulta che la campana non è considerata come un oggetto funzionale ma, quasi, come una realtà vivente, come, d'altronde, l'intero tempio. Essa ha un nome, un rito simile a quello battesimale (ora inesistente in ambito latino) e le si attribuisce una forza che deriva dalla grazia divina.
E' esattamente questo che spiega l'atteggiamento devozionale nella liturgia bizantina di consacrazione delle campane di cui alleghiamo eloquente documentazione fotografica (patriarcato di Mosca). Un atteggiamento che l'Occidente cristiano ha praticamente dimenticato in seguito ad un vero e proprio rinsecchimento, in molti suoi ambiti, della sua stessa fede.