Che rapporto esiste tra clero e Chiesa? È vero che uno stile di Chiesa può determinare un relativo stile nel clero?
Per rispondere a queste domande, proviamo ad analizzare, per sommi capi, alcuni fenomeni emergenti.
Sappiamo che la funzione del clero è indispensabile, e in questo blog nessuno vuole metterla in discussione o negarla. È una funzione legata all’insegnamento, alla trasmissione della tradizione e alla cosiddetta “santificazione”, ossia al conferimento dei sacramenti. Per questo ruolo-guida, la consuetudine prevede che al clero venga attribuito il rispetto che gli si deve, nonostante sia soggetto, come tutti, a fragilità e debolezze.
L’attuale mondo secolarizzato ha spinto il clero cattolico a divaricarsi sempre più a forbice tra due prevalenti prospettive: quella “istituzionale” (1) e quella “anti-istituzionale” (2).
1) Una parte di chierici, sentendosi minacciati dal mondo presente, si rifugiano in un idealismo piuttosto astratto serrando i ranghi dell’istituzione: il clero deve incarnare i principi cristiani e morali e non dev’essere contestato perché è l’autorità costituita nella Chiesa a cui si deve obbedire senza esitazione alcuna. Questa parte è molto funzionale all’organizzazione della struttura ecclesiastica.
2) Un’altra parte di chierici, al contrario, tende a seguire il mondo presente in modo pure pedissequo ritenendo, quindi, d’essere a modo suo realista: deve partecipare ad ogni situazione umana, mettersi in discussione e mettere in discussione gli stessi principi sui quali si basa il Cristianesimo. Solo così sente d’essere autorevole. Questa parte tende ad essere di suo anti-istituzionale.
Al primo schieramento appartengono, grosso modo, i cosiddetti sacerdoti “conservatori” o “tradizionalisti”, al secondo i cosiddetti “progressisti”.
Da sempre ho sentito questi due stili strani, forse perché entrambi ideologici: non di rado più che servire il vangelo se ne servono per portar acqua al proprio mulino.
Il primo chiude il clero in una gabbia dorata rendendolo intoccabile. In questo modo, senza avvedersene, pone i chierici al di sopra della Chiesa, non nella Chiesa nella quale tutti, dall’ultimo dei fedeli al primo dei sacerdoti, hanno bisogno di confronto e di conversione. Chi si pone nel primo schieramento finisce, o prima o poi, per divenire opprimente al corpo ecclesiale determinando il cosiddetto clericalismo che le nostre società europee hanno a lungo sperimentato.
Il secondo stile nasce da una reazione al primo e, alla fine, genera un clero che è tale solo nel nome. Pur facendo i preti costoro dimostrano di non esserlo mai stati, dal momento che preferiscono abbandonare il santuario e il ruolo sacro – entro il quale nominalmente si trincerano i primi – ed assumere di fatto un ruolo laico prediligendo la piazza e i suoi umori.
Il principio che il clero debba confrontarsi è positivo e lo assumo totalmente ma il confronto non deve mai andare a detrimento della propria identità né dell’identità fondamentale della Chiesa della quale i chierici sono costituiti maestri, non inventori o improvvisatori.
L’Oriente cristiano da tempo mi ha fornito utili riferimenti e confronti perché, in molti suoi aspetti, si pone prima di alcuni cambiamenti ed accentuazioni avvenute in Occidente, soprattutto dall’epoca moderna in poi.
Ad esempio, in Occidente si ha progressivamente elevato l’autorità clericale ponendola praticamente sulla Chiesa e, soprattutto nel XIX sec., il fenomeno si è molto accentuato pur di contrastare lo scientismo laicista che aggrediva la religione e le sue fondamenta. “È la Chiesa a dirlo (ossia il suo clero)!”. Questa risposta era ritenuta sufficiente a chiudere ogni discussione e a sedare ogni dubbio. C’è ancora chi lo crede e non si avvede del rischio insito in questa risposta, ossia quello di una pericolosa tautologia (= è così perché è così), che non regge assolutamente il confronto con la cultura attuale …
L’Oriente cristiano, al contrario, ha mantenuto l’orientamento antico per cui una verità cristiana, prima di affermarsi, ha bisogno d’essere verificata da tutto il corpo ecclesiale. Così, un concilio non può dirsi realmente accettato fintanto che non è fatto proprio da tutta la Chiesa. La verifica avviene in capite et in membris ed è di tipo spirituale o carismatico: se una risoluzione conciliare – come una semplice disposizione clericale – conferma quanto la Chiesa è sempre stata, se conferma il suo orientamento spirituale e la rende più efficace, va bene, al contrario viene rifiutata. In questo contesto, il chierico non ha ragione per il fatto d’essere tale e non rappresenta automaticamente l’autorità se non è spiritualmente autorevole. I fedeli gli presenteranno ossequio ma non lo seguiranno qualora si ponesse, con le sue azioni e i suoi pensieri, al di fuori della tradizione, ossia del comune cammino da sempre seguito.
Questo genere di cose è vigente ancora oggi, nonostante alcuni chierici ortodossi sentano un forte fascino per il “sistema romano”, ossia per il clericalismo che da loro l’illusione di un maggior efficientismo e di una più stretta obbedienza e collaborazione intraecclesiale. Sappiamo però che questo “sistema” a lungo andare offre più svantaggi che vantaggi poiché tende a chiedere un’obbedienza cieca e impedisce di verificare con sufficiente anticipo se determinate risoluzioni sono a favore o contro la Chiesa. Nel Cattolicesimo un tempo si diceva che chi sta in “alto” ha la “grazia di stato”, ossia viene divinamente assistito e quindi non lo si può mettere in dubbio poiché l’assistenza celeste garantita è una garanzia più che sufficiente. Alla prova dei fatti non nascondo che tale concezione, almeno nel modo in cui viene espressa, mi sembra “magica”. In altri termini, è come se dicesse: “il capo ha sempre ragione”. Dio solo lo sa quanti di tali “capi” lungo la storia si sono sbagliati pure tragicamente!
Per passare dai “massimi sistemi” alla realtà concreta, uno stile che punta molto sull’autorità, che sottolinea molto il ruolo dell’istituzione e chiede una pronta e cieca obbedienza non può che elevare il sacerdote al di sopra della Chiesa, anche se a parole si dice il contrario.
A livello personale un sacerdote è, quindi, spinto a credere che nessuno ha diritto di contestarlo o di chiedergli ragione delle sue scelte poiché è in una specie di “sfera intoccabile”. Il diritto ecclesiastico latino, d’altronde, lo conforta in ciò. Questo stile creerà, per reazione di soffocamento, un sistema diametralmente opposto, come abbiamo sopra osservato e come la storia non ha mancato di mostrare.
È quindi logico pensare che il pandemonio nel Cattolicesimo dopo il Concilio vaticano II è in parte stato generato da un sistema precedente troppo chiuso e autoritario.
Al contrario, uno stile nel quale si ha bisogno dell’autorevolezza per confermare l’autorità, comporta un continuo confronto intraecclesiale, un confronto nel quale si verifica se la conduzione di una parrocchia, di una diocesi o di un monastero – sotto questo o quel chierico – obbedisce o meno al comune cammino da sempre seguito. In questo sistema il sacerdote non ha rifugi in “sfere intoccabili” e ciò crea una maggiore permeabilità tra i vari livelli della Chiesa.
Nessun sistema è perfetto, bene inteso, visto che anche questo secondo sistema potrebbe offrire occasione a non poca caoticità e da l’idea di un certo anarchismo.
Detto ciò, direi che alla prova della storia la situazione appare chiara: meglio una certa caoticità per un certo tempo che la produzione, in nome dell’autorità, di una situazione che scivola verso un’alterazione permanente e irreversibile.
In definitiva si può concludere come segue:
- il clero di primo tipo, tutto preso dall’istituzione e forse pure dalla carriera è convinto che la propria autorità sia intoccabile, ma le persone non trovano in esso alcun genere di riposo spirituale e ne vengono inquietate.
- Il secondo tipo di clero, per quanto avvicinabile e “umano”, disorienta profondamente quegli spiriti provvisti di una buona formazione cristiana.
Entrambi non sono veridica espressione della Chiesa che, nella sua antica tradizione, vuole un clero integerrimo, non mescolato al sæculum, che non si serve del vangelo ma lo serve, capace d’interagire con tutti nel modo conveniente ed ecclesiastico, ossia nel modo spirituale.