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venerdì 11 gennaio 2019

Tempo liturgico, tempo cosmico.

Il fluire del tempo è un’esperienza che si accompagna all’intera nostra esistenza. Il tempo, assieme allo spazio, sono le prime due realtà di cui facciamo esperienza già dalla nostra più tenera infanzia. Tuttavia, riguardo alla coscienza del tempo, non tutti sono in grado di fare delle basilari distinzioni.
Possiamo distinguere il tempo in oggettivo, ossia strumentalmente misurabile, e in soggettivo, ossia percepito dal singolo. Non sempre i due coincidono: un’ora di orologio può sembrare un’eternità ad alcuni e un tempo rapidissimo ad altri. Queste differenze dipendono dalle condizioni psicologiche del soggetto, dalla sua età (ordinariamente quando si è molto giovani il tempo sembra essere sempre molto lento, a differenza di chi è anziano) e da altri fattori.
Nel Cristianesimo esiste un’ulteriore fondamentale differenza per cui il tempo si divide in liturgico (o sacro) e cosmico (o profano). Iniziamo a considerare quest’ultimo.

Il tempo cosmico è quello soggetto alle incombenze e alle ansie quotidiane; è il tempo in cui si sperimenta la caducità delle realtà e di se stessi. Il salmista è più che esplicito quando dice: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa” (sl 144, 3-4).
Il tempo cosmico, o profano, è soggetto all’ansia, alla fretta, all’inquietudine al punto che perdere una corsa alla metropolitana (pur sapendo di averne una cinque minuti dopo) fa irritare alcuni. Perciò, per la Chiesa, il tempo cosmico è espressione dell’uomo ferito dalle conseguenze del peccato adamitico, dell’uomo che ha perso il centro di se stesso e si è disperso in mille contingenze, il che può portare in casi estremi all’alienazione. Certamente la civiltà agricola, che conosce ritmi più rilassati, in un certo senso aiuta l’uomo ma non si deve dimenticare che la civiltà industriale e quella postindustriale hanno solo accelerato certi fenomeni di deterioramento sempre esistenti al mondo. Il tempo stressante delle metropoli attuali è sicuramente l’esempio più eclatante di tempo cosmico e di conseguente modo innaturale di vivere.

Il tempo liturgico, o sacro, è quello che accompagna un rito simbolico. Prima di tutto si deve osservare che, in tal condizione, pure il tempo diviene un simbolo. Quando nelle antifone latine o negli apolytichia bizantini si canta la parola “oggi” (hodie, symeron) s’intende “in questo preciso istante” anche se l’istante commemorato è accaduto molto tempo fa. Questo, perché esiste una connessione tra il momento celebrativo e l’avvenimento celebrato, connessione misteriosa ma reale; una riattualizzazione che è alla base del cosiddetto “memoriale” della liturgia ebraica da cui quella cristiana ha preso spunto. Il “memoriale eucaristico”, ad esempio, non è la semplice memoria di un evento accaduto nel passato (la crocefissione, morte, sepoltura e resurrezione di Cristo) ma la riattualizzazione odierna di quell’unico passato avvenimento.
Perciò la tradizione ecclesiastica crede che ogni elemento nel rito simbolico cristiano si trasfigura dal momento che tale rito è posto in un limes, in una zona di confine tra il mondo creato (soggetto alla decadenza e alla morte) e quello increato (il mondo divino o trascendente) [1]. Il pane eucaristico diviene sacramento di vita immortale per la volontà di Cristo e perché è realizzato in tale rito sotto certe condizioni.
Questo è, in qualche maniera, più o meno noto. Quello che, invece, pare disconosciuto è che pure la percezione del tempo, nello svolgimento del rito, subisce un cambiamento e non potrebbe che essere così se la liturgia si mantiene nei canoni tradizionali. La coscienza di ciò spiega perché le liturgie antiche erano stabilite per durare anche molto, dal momento che, con dei fedeli preparati, il cumularsi del tempo non avrebbe più esercitato loro una tediante tirannia. L’esortazione del Cherubikòn bizantino è, in tal senso, molto eloquente: “Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini, e alla Trinità vivificante cantiamo l'inno trisagio, deponiamo ogni mondana preoccupazione […]”.
Deporre ogni preoccupazione mondana, ossia legata al tempo cosmico, è essenziale per poter entrare nel mistero celebrato e dimorarvi iconizzando addirittura i cherubini. Con una preparazione psicologica e spirituale di tal tipo, il fedele fa della chiesa l’intimo della propria casa, entra nel suo cuore, e la percezione soggettiva del tempo cambia anche se, oggettivamente, il tempo scorre come sempre. Il fedele sa che agli occhi di Dio “mille anni sono come il giorno di ieri che è passato” (sl 89, 4) ma sa pure che, vissuta nel proprio cuore, la liturgia, anche se lunga, scorre come l’attimo appena trascorso.

Nel mondo cattolico fino al recente Concilio vaticano II, le liturgie avevano consuetudinariamente mantenuto la loro tradizionale lunghezza, soprattutto se si trattava di liturgie pontificali o di celebrazioni per determinate circostanze. Le liturgie latino-cattoliche erano quanto di più patristico era rimasto al Cattolicesimo, nonostante diversi loro inevitabili rimaneggiamenti lungo i secoli. Mi riferisco, ad esempio, al rito di benedizione dell’acqua da farsi alla vigilia dell’epifania nella consuetudine moldava attorno al 1850 in cui, tra letture, processioni, canti, esorcismi e benedizioni, si stava in chiesa per due ore [2].
D’altronde, i riti della Settimana santa, oltre ad essere particolarmente suggestivi, erano caratterizzati per la loro grande durata.
Ciò che ha rovinato la liturgia cattolica tradizionale è stato un diffuso formalismo con il quale veniva eseguita, formalismo non di rado privo di profonda spiritualità. Oltre a questo dato, c’era una sorta di dovere morale molto rigido al quale i fedeli dovevano senza dubbio obbedire.
Un’impalcatura sorretta dalla rigida norma o prima o poi non poteva che crollare e perché ciò si verificasse è bastato solo allentare la norma stessa. Le prime vittime di tale rovina sono stati i chierici i quali, spiritualmente anemici, hanno immediatamente fatto entrare il tempo cosmico nella Chiesa. D’ora in poi tutto doveva essere regolato dalla sopportabilità dell’uomo della strada [3]: se delle persone comuni non erano in grado di tollerare una Messa per più di quaranta minuti, era severamente deprecato sforare tale termine. Perché questo cambiamento fosse accettato gli è stato dato l’appellativo di “pastorale”. Con la definizione di “esigenza pastorale” è stata dunque diffusa ogni innovazione, anche la più assurda e antitradizionale. A nessuno è venuto in mente che, se nell’antica tradizione non era così, forse esisteva un motivo non banale. Si sono poi cercate delle spiegazioni sociologiche: “Un tempo la società era più lenta ed è perciò che la Chiesa rifletteva tale caratteristica nella liturgia. Oggi che la società è così veloce la Chiesa non può rimanere ancorata ad un tempo passato” [4].
A nessuno è venuto in mente che la velocità del tempo presente ha il pregio di sottolineare la differenza tra il tempo cosmico e quello liturgico o sacro e che tale differenza, proprio perché essenziale, non dev’essere soppressa ma motivata seriamente.
L’ignoranza reale dell’ethos patristico e l’indifferentismo nei riguardi della vita mistica e monastica hanno contribuito a far irrompere il tempo cosmico nel santuario per cui le celebrazioni cattoliche sono divenute sempre più scandite dall’orologio che ha iniziato a fare bella mostra di sé su qualche pilastro o muro della chiesa.
Questa mentalità modernista (è giusto definirla con il loro nome!) è così forte che perfino nel milieu tradizionalista cattolico alcuni sono particolarmente afflitti quando si trovano di fronte ad una celebrazione che dura qualche minuto in più del tempo previsto: il mondo con le sue impellenze non può aspettare!
Se il tempo cosmico inizia a invadere il momento liturgico è inevitabile che questo decada e divenga come ogni evento mondano, privo di valenza simbolica, incapace di legare il fedele alla dimensione trascendente, come di fatto accade. La spettacolarità di alcune liturgie moderniste in campo cattolico non è che una conseguenza perfettamente logica di tutto un modo d’intendere e vedere prettamente secolarizzato.

Nell’Oriente cristiano le situazioni sono più o meno diversificate: esistono luoghi in cui la liturgia è vissuta piuttosto formalmente, un po’ come prima del crollo del mondo cattolico, negli anni cinquanta, e luoghi in cui la liturgia ha un vero rimando al mondo dello spirito. In alcuni siti russi s’incoraggia i fedeli a resistere anche cinque o sei ore in chiesa e in piedi con precise motivazioni:
“Stare in piedi rimane la regola e la posizione standard dei credenti che pregano nelle chiese russe è quella retta. ‘Come candele accese’, dicono le mamme russe ai loro figli […]. Stare in piedi durante la preghiera era quindi regola consuetudinaria tra gli ebrei, com’è dimostrato nei loro scritti. Alla maniera della Chiesa celeste e dell’Antico Testamento, i cristiani ortodossi hanno mantenuto l'usanza, fin dai tempi apostolici, di stare in piedi durante le divine funzioni. La correttezza di tale pratica è evidente dalle scritture del Nuovo Testamento […]. Stare in piedi durante le funzioni in chiesa ci mostra d’essere umili servi, pronti, attenti e disposti a servire Dio” [5].
Tutto ciò non è obbligatorio per coloro che, per ragioni di età o di malattia non sono in grado di farlo ma è un dovere per tutti gli altri.

Impressiona vedere come il decadimento liturgico nell’Occidente cristiano sia iniziato lentamente per gradi e abbia impiegato vari secoli: ciò ha inizialmente comportato la postura, con la comparsa di panche e banchi per rendere più agevole la presenza in chiesa, ha poi comportato la scomparsa progressiva di diversi atti (prostrazione, inchini di capo, inchini di busto) [6] con il mantenimento sostanzialmente di sole tre posizioni; in piedi, in ginocchio e seduti. Recentemente, oltre ad aver di fatto abolito la posizione in ginocchio, il tempo cosmico ha fatto irruzione nella chiesa infrangendo non di rado la simbolicità del culto cristiano e quindi la sua efficacia.

In Oriente le cose si sono mantenute com’erano anticamente ma ci sono aree che manifestano già la possibilità di un futuro decadimento mentre altre paiono ancora vive e resistenti. Laddove è possibile si deve insistere, con opportuna catechesi o mistagogia, che il tempo liturgico o sacro ha il suo senso nella vita del fedele, senso legato all’interiorizzazione della preghiera e alla sua cristificazione. Se ciò non è fatto, non ci si meravigli se poi il Cristianesimo scompare.

P.C.
© 2019

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Abstract

In the tradition of the ancient Church the concept of liturgical or sacred time – the time dedicated to prayer –, had to be clear. It is no longer so at present because the time lived in the secular world ends up also marking the liturgical prayer. The harmful consequences are not slow to arrive.

Nella tradizione della Chiesa antica doveva essere chiaro il concetto di tempo liturgico o sacro, ossia il tempo dedicato alla preghiera. Non è più così attualmente poiché il tempo vissuto nel mondo secolare finisce per scandire anche la preghiera liturgica. Le conseguenze dannose non tardano ad arrivare.

NOTE

[1] È particolarmente importante avere coscienza che la realtà nella quale viviamo è il costante incontro tra realtà creata e realtà increata, come specifica la teologia cristiano-orientale. In caso contrario, esiste un effettivo isolamento di Dio nella sua sfera “soprannaturale” e un'indipendenza totale della realtà creaturale. Di qui, non è possibile credere ad alcuna trasfigurazione del mondo naturale e di tutti i suoi elementi creati.
[2] Non dispongo di riferimenti bibliografici precisi riguardo a questo rito, recentemente celebrato a Mariano del Friuli, in diocesi cattolica di Gorizia. Posso, però, riferire un link in cui è possibile reperirne il testo.
[3] L'idea stessa di “sopportabilità” attribuita al culto cristiano denuncia un reale distacco tra questo e la vita delle persone. Non parliamo mai, infatti, di “sopportabilità” per tutte le funzioni o attività che ci mantengono in vita: non “sopportiamo” il battito del cuore, la respirazione, l'amore dato e ricevuto, ecc. Se “sopportiamo” la liturgia, vuol dire che la preghiera della Chiesa non ha nulla a che fare con la nostra esistenza.
[4] Questo tipo di spiegazione viene diffusa negli istituti teologici e di formazione per laici e clero cattolici. Ognuno può vedere che qui la Chiesa e quanto la contraddistingue è spiegata con riferimenti praticamente mondani il che stride non poco se si considera la natura e la finalità della stessa.
[5] Vedi QUI.
[6] Cfr. Jean-Claude Schmitt, Il gesto nel medioevo, Laterza editrice, 1999.