Il fluire
del tempo è un’esperienza che si accompagna all’intera nostra
esistenza. Il tempo, assieme allo spazio, sono le
prime due realtà di cui
facciamo esperienza già dalla nostra più tenera infanzia.
Tuttavia, riguardo alla coscienza del tempo, non tutti sono in grado
di fare delle basilari distinzioni.
Possiamo
distinguere il tempo in oggettivo, ossia strumentalmente misurabile,
e in soggettivo, ossia percepito dal singolo. Non sempre i due
coincidono: un’ora di orologio può sembrare un’eternità ad
alcuni e un tempo rapidissimo ad altri. Queste differenze dipendono
dalle condizioni psicologiche del soggetto, dalla sua età
(ordinariamente quando si è molto giovani il tempo sembra essere
sempre molto lento, a differenza di chi è anziano) e da altri
fattori.
Nel
Cristianesimo esiste un’ulteriore fondamentale differenza per cui
il tempo si divide in liturgico (o sacro) e cosmico (o profano).
Iniziamo a considerare quest’ultimo.
Il
tempo cosmico è quello soggetto alle incombenze e alle ansie
quotidiane; è il tempo in cui si sperimenta la caducità delle
realtà e di se stessi. Il salmista è più che esplicito quando
dice: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?
Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come
un soffio, i suoi giorni come ombra che passa” (sl 144, 3-4).
Il
tempo cosmico, o profano, è soggetto all’ansia, alla fretta,
all’inquietudine al punto che perdere una corsa alla metropolitana
(pur sapendo di averne una cinque minuti dopo) fa irritare alcuni.
Perciò, per la Chiesa, il tempo cosmico è espressione dell’uomo
ferito dalle conseguenze del peccato adamitico, dell’uomo che ha
perso il centro di se stesso e si è disperso in mille contingenze,
il che può portare in casi estremi all’alienazione. Certamente la
civiltà agricola, che conosce ritmi più rilassati, in un certo
senso aiuta l’uomo ma non si deve dimenticare che la civiltà
industriale e quella postindustriale hanno solo accelerato certi
fenomeni di deterioramento sempre esistenti
al mondo. Il tempo stressante delle metropoli attuali è sicuramente
l’esempio più eclatante di tempo cosmico e di conseguente
modo innaturale di vivere.
Il
tempo liturgico, o sacro, è quello che accompagna
un rito simbolico. Prima di tutto si deve osservare che, in
tal condizione, pure il tempo diviene un simbolo. Quando nelle
antifone latine o negli apolytichia bizantini si canta la
parola “oggi” (hodie,
symeron) s’intende “in
questo preciso istante” anche se l’istante commemorato è
accaduto molto tempo fa. Questo, perché esiste una connessione tra
il momento celebrativo e l’avvenimento celebrato, connessione
misteriosa ma reale; una riattualizzazione che è alla base del
cosiddetto “memoriale” della liturgia ebraica da cui quella
cristiana ha preso spunto. Il “memoriale eucaristico”, ad
esempio, non è la semplice memoria di un evento accaduto nel passato
(la crocefissione, morte, sepoltura e resurrezione di Cristo) ma la
riattualizzazione odierna di quell’unico passato avvenimento.
Perciò
la tradizione ecclesiastica crede che ogni elemento nel rito
simbolico cristiano si trasfigura dal momento che tale rito è posto
in un limes, in una zona di confine tra il mondo creato
(soggetto alla decadenza e alla morte) e quello increato (il mondo
divino o trascendente) [1].
Il pane eucaristico diviene sacramento di vita immortale per la
volontà di Cristo e perché è realizzato in tale rito sotto
certe condizioni.
Questo
è, in qualche maniera, più o meno noto. Quello che, invece, pare
disconosciuto è che pure la percezione del tempo, nello svolgimento
del rito, subisce un cambiamento e non potrebbe che essere così se
la liturgia si mantiene nei canoni tradizionali.
La coscienza di ciò spiega perché le liturgie antiche erano
stabilite per durare anche molto, dal momento che, con dei fedeli
preparati, il cumularsi del tempo non avrebbe più esercitato loro
una tediante tirannia. L’esortazione del Cherubikòn
bizantino è, in tal senso, molto eloquente: “Noi che misticamente
raffiguriamo i cherubini, e alla Trinità vivificante cantiamo l'inno
trisagio, deponiamo ogni mondana preoccupazione […]”.
Deporre
ogni preoccupazione mondana, ossia legata al tempo cosmico, è
essenziale per poter entrare nel mistero celebrato e dimorarvi
iconizzando addirittura i cherubini. Con una preparazione psicologica
e spirituale di tal tipo, il fedele fa della chiesa l’intimo della
propria casa, entra nel suo cuore, e la percezione soggettiva del
tempo cambia anche se, oggettivamente, il tempo scorre come sempre.
Il fedele sa che agli occhi di Dio “mille anni sono come il giorno
di ieri che è passato” (sl 89, 4) ma sa pure che, vissuta nel
proprio cuore, la liturgia, anche se lunga, scorre come l’attimo
appena trascorso.
Nel
mondo cattolico fino al recente Concilio vaticano II, le liturgie
avevano consuetudinariamente mantenuto la loro tradizionale
lunghezza, soprattutto se si trattava di liturgie pontificali o di
celebrazioni per determinate circostanze. Le liturgie
latino-cattoliche erano quanto di più patristico era rimasto al
Cattolicesimo, nonostante diversi loro inevitabili rimaneggiamenti
lungo i secoli. Mi riferisco, ad esempio, al rito di benedizione
dell’acqua da farsi alla vigilia dell’epifania nella consuetudine
moldava attorno al 1850 in cui, tra letture, processioni, canti,
esorcismi e benedizioni, si stava in chiesa per due ore [2].
D’altronde,
i riti della Settimana santa, oltre ad essere particolarmente
suggestivi, erano caratterizzati per la loro grande durata.
Ciò
che ha rovinato la liturgia cattolica tradizionale è stato un
diffuso formalismo con il quale veniva eseguita, formalismo non di
rado privo di profonda spiritualità. Oltre a questo dato, c’era
una sorta di dovere morale molto rigido al quale i fedeli dovevano
senza dubbio obbedire.
Un’impalcatura
sorretta dalla rigida norma o prima o poi non poteva che crollare
e perché ciò si verificasse è bastato solo allentare la norma
stessa. Le prime vittime di tale rovina sono stati i chierici i
quali, spiritualmente anemici, hanno immediatamente fatto entrare il
tempo cosmico nella Chiesa. D’ora in poi tutto doveva essere
regolato dalla sopportabilità dell’uomo della strada [3]:
se delle persone comuni non erano in grado di tollerare
una Messa per più di quaranta minuti, era severamente deprecato
sforare tale termine. Perché questo cambiamento fosse accettato gli
è stato dato l’appellativo di “pastorale”. Con la definizione
di “esigenza pastorale” è stata dunque diffusa ogni innovazione,
anche la più assurda e antitradizionale. A nessuno è venuto in
mente che, se nell’antica tradizione non era così, forse esisteva
un motivo non banale. Si sono poi cercate delle spiegazioni
sociologiche: “Un tempo la società era più lenta ed è perciò
che la Chiesa rifletteva tale caratteristica nella liturgia. Oggi che
la società è così veloce la Chiesa non può rimanere ancorata ad
un tempo passato” [4].
A
nessuno è venuto in mente che la velocità del tempo presente ha il
pregio di sottolineare la differenza tra il tempo cosmico e quello
liturgico o sacro e che tale differenza, proprio perché essenziale,
non dev’essere soppressa ma motivata seriamente.
L’ignoranza
reale dell’ethos patristico e l’indifferentismo nei
riguardi della vita mistica e monastica hanno contribuito a far
irrompere il tempo cosmico nel santuario per cui le celebrazioni
cattoliche sono divenute sempre più scandite
dall’orologio che ha iniziato a
fare bella mostra di sé su qualche pilastro o muro della chiesa.
Questa
mentalità modernista (è giusto definirla
con il loro nome!) è così forte che perfino nel milieu
tradizionalista cattolico alcuni sono particolarmente afflitti quando
si trovano di fronte ad una celebrazione che dura qualche minuto in
più del tempo previsto: il mondo con le sue impellenze non può
aspettare!
Se
il tempo cosmico inizia a invadere il
momento liturgico è inevitabile che questo decada e divenga come
ogni evento mondano, privo di valenza simbolica, incapace di legare
il fedele alla dimensione trascendente, come di fatto accade. La
spettacolarità di alcune liturgie moderniste in campo cattolico non
è che una conseguenza perfettamente logica di tutto un modo
d’intendere e vedere prettamente secolarizzato.
Nell’Oriente
cristiano le situazioni sono più o meno diversificate: esistono
luoghi in cui la liturgia è vissuta piuttosto formalmente, un po’
come prima del crollo del mondo cattolico, negli anni cinquanta, e
luoghi in cui la liturgia ha un vero rimando al mondo dello spirito.
In alcuni siti russi s’incoraggia i fedeli a resistere anche cinque
o sei ore in chiesa e in piedi con precise motivazioni:
“Stare
in piedi rimane la regola e la posizione standard dei credenti che
pregano nelle chiese russe è quella retta. ‘Come candele accese’,
dicono le mamme russe ai loro figli […]. Stare in piedi durante la
preghiera era quindi regola consuetudinaria tra gli ebrei, com’è
dimostrato nei loro scritti. Alla maniera della Chiesa celeste e
dell’Antico Testamento, i cristiani ortodossi hanno mantenuto
l'usanza, fin dai tempi apostolici, di stare in piedi durante le
divine funzioni. La correttezza di tale pratica è evidente dalle
scritture del Nuovo Testamento […]. Stare in piedi durante le
funzioni in chiesa ci mostra d’essere umili servi, pronti, attenti
e disposti a servire Dio” [5].
Tutto
ciò non è obbligatorio per coloro che, per ragioni di età o di
malattia non sono in grado di farlo ma è un dovere per tutti gli
altri.
Impressiona
vedere come il decadimento liturgico nell’Occidente cristiano sia
iniziato lentamente per gradi e abbia impiegato vari secoli: ciò ha
inizialmente comportato la postura, con la comparsa di panche e
banchi per rendere più agevole la presenza in chiesa, ha poi
comportato la scomparsa progressiva di diversi atti (prostrazione,
inchini di capo, inchini di busto) [6] con il mantenimento sostanzialmente di sole
tre posizioni; in piedi, in ginocchio e seduti. Recentemente, oltre
ad aver di fatto abolito la posizione in ginocchio, il tempo cosmico
ha fatto irruzione nella chiesa infrangendo non di rado la
simbolicità del culto cristiano e quindi la sua efficacia.
In
Oriente le cose si sono mantenute com’erano anticamente ma ci sono
aree che manifestano già la possibilità di un futuro decadimento
mentre altre paiono ancora vive e resistenti. Laddove è possibile si
deve insistere, con opportuna catechesi o mistagogia, che il tempo
liturgico o sacro ha il suo senso nella vita del fedele, senso legato
all’interiorizzazione della preghiera e alla sua cristificazione.
Se ciò non è fatto, non ci si meravigli se poi il Cristianesimo
scompare.
P.C.
©
2019
________________________________
Abstract
In the tradition of the
ancient Church the concept of liturgical or sacred time – the time
dedicated to prayer –, had to be clear. It is no longer so at
present because the time lived in the secular world ends up also
marking the liturgical prayer. The harmful consequences are not slow
to arrive.
Nella tradizione della Chiesa
antica doveva essere chiaro il concetto di tempo liturgico o sacro,
ossia il tempo dedicato alla preghiera. Non è più così attualmente
poiché il tempo vissuto nel mondo secolare finisce per scandire
anche la preghiera liturgica. Le conseguenze dannose non tardano ad
arrivare.
NOTE
[1] È
particolarmente importante avere coscienza che la realtà nella
quale viviamo è il costante incontro tra realtà creata e realtà
increata, come specifica la teologia cristiano-orientale. In caso
contrario, esiste un effettivo isolamento di Dio nella sua sfera
“soprannaturale” e un'indipendenza totale della realtà
creaturale. Di qui, non è possibile credere ad alcuna
trasfigurazione del mondo naturale e di tutti i suoi elementi
creati.
[2] Non
dispongo di riferimenti bibliografici precisi riguardo a questo
rito, recentemente celebrato a Mariano del Friuli, in diocesi
cattolica di Gorizia. Posso, però, riferire un link in cui è possibile reperirne il testo.
[3] L'idea
stessa di “sopportabilità” attribuita al culto cristiano
denuncia un reale distacco tra questo e la vita delle persone. Non
parliamo mai, infatti, di “sopportabilità” per tutte le
funzioni o attività che ci mantengono in vita: non “sopportiamo”
il battito del cuore, la respirazione, l'amore dato e ricevuto, ecc.
Se “sopportiamo” la liturgia, vuol dire che la preghiera della
Chiesa non ha nulla a che fare con la nostra esistenza.
[4] Questo
tipo di spiegazione viene diffusa negli
istituti teologici e di formazione per laici e clero cattolici.
Ognuno può vedere che qui la Chiesa e quanto la
contraddistingue è spiegata con riferimenti praticamente
mondani il che stride non poco se si considera la natura e la
finalità della stessa.
[5] Vedi QUI.
[6] Cfr.
Jean-Claude Schmitt, Il gesto
nel medioevo, Laterza editrice, 1999.
[1] È
particolarmente importante avere coscienza che la realtà nella
quale viviamo è il costante incontro tra realtà creata e realtà
increata, come specifica la teologia cristiano-orientale. In caso
contrario, esiste un effettivo isolamento di Dio nella sua sfera
“soprannaturale” e un'indipendenza totale della realtà
creaturale. Di qui, non è possibile credere ad alcuna
trasfigurazione del mondo naturale e di tutti i suoi elementi
creati.
[2] Non
dispongo di riferimenti bibliografici precisi riguardo a questo
rito, recentemente celebrato a Mariano del Friuli, in diocesi
cattolica di Gorizia. Posso, però, riferire un link in cui è possibile reperirne il testo.
[3] L'idea
stessa di “sopportabilità” attribuita al culto cristiano
denuncia un reale distacco tra questo e la vita delle persone. Non
parliamo mai, infatti, di “sopportabilità” per tutte le
funzioni o attività che ci mantengono in vita: non “sopportiamo”
il battito del cuore, la respirazione, l'amore dato e ricevuto, ecc.
Se “sopportiamo” la liturgia, vuol dire che la preghiera della
Chiesa non ha nulla a che fare con la nostra esistenza.
[4] Questo
tipo di spiegazione viene diffusa negli
istituti teologici e di formazione per laici e clero cattolici.
Ognuno può vedere che qui la Chiesa e quanto la
contraddistingue è spiegata con riferimenti praticamente
mondani il che stride non poco se si considera la natura e la
finalità della stessa.
[5] Vedi QUI.
[6] Cfr.
Jean-Claude Schmitt, Il gesto
nel medioevo, Laterza editrice, 1999.
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