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domenica 5 gennaio 2014

La Tradizione: qualcosa d'essenziale!

Iconografia del Cristo-Dio giudice. 
Perdere la prospettiva soprannaturale, nel Cristianesimo, significa averlo completamente travisato.
Disprezzare la tradizione porta esattamente a questo!

Il messaggio che mi ha spedito la signora Trifletti (vedi post precedente) è indice d'una tendenza ampiamente vigente tra i cristiani odierni: la tradizione è cosa da vecchi, qualcosa che - come pare sostenere lo stesso papa Bergoglio - bloccherebbe il soffio dello Spirito santo. In questo tipo di pensiero, Dio non può che esprimersi in una sorta di spontaneismo umano, libero dai gravami della "legge" e da doveri che fino a ieri "obbligavano" i credenti.

Il fatto che questo pensiero paia essere sostenuto dallo stesso papa (o che costui permetta di farsi intendere così, mietendo gli osanna del mondo attuale) apre un vulnus d'incredibile profondità e rende ancor più difficile mostrare che la realtà cristiana si trova, invece, da tutta un'altra parte.

Andiamo, come al solito, al fondo delle cose, pur nei limiti stabiliti da questo blog.

Tradizione deriva dal verbo “tradere” ossia trasmettere. È quel termine che in greco si esprime con Παράδοσις (Paràdosis). Trasmettere cosa? Ora vediamo!

L'esperienza che i discepoli hanno avuto di Cristo (fatti e parole) non è stata immediatamente redatta in forma scritta. Per un breve periodo si è tramandata da bocca ad orecchio: ecco il primo nucleo della Tradizione dalla quale, in seguito, sono iniziate le prime redazioni evangeliche.

La "mamma" dei Vangeli, dunque, è stata la stessa Tradizione. Ma la Tradizione (e le diverse accentuazioni della stessa) non poteva stare tutta nei Vangeli, tant'è vero che questi ultimi non di rado sono stringati, limitandosi ai fatti essenziali e agli eventi fondamentali della vita di Cristo. La “mamma” dei Vangeli ha dunque continuato la sua opera a fianco degli stessi giungendo fino a noi.

I Vangeli esprimono la rivelazione neotestamentaria che si chiude con la morte dell'ultimo apostolo (come si dice a volte). Ma se la rivelazione si è espressa una volta per sempre, la tradizione ha continuato sempre ad operare nella storia ed è quella che raccorda il vangelo con ogni epoca.

La Tradizione si è trasmessa nelle prime generazioni anche come una sorta di orientamento di spirito con il quale poter leggere le stesse sacre Scritture e interpretare - soprattutto - l'antico Testamento alla luce di Cristo. 

Se si scorrono le epistole paoline si nota che san Paolo legge l'antico Testamento alla luce del Nuovo (soprattutto nella lettera agli Ebrei), contrariamente a quanto avviene oggi in cui l'antico viene letto solo alla luce di se stesso (e questo è ovviamente antitradizionale per quanto corrisponda a regole filologiche intratestuali).

Ma c'è di più: quest'attività non è mai stata una semplice speculazione intellettuale tant'è vero che l'ordine dato da Cristo di "andare ed evangelizzare" non si limitava alla semplice comunicazione di un messaggio (come si crede e si pratica oggi). 

Significava mostrare qualcosa che sta effettivamente operando (vite trasfigurate, malati guariti, eventi inspiegabili). Gli apostoli, predicando, operano miracoli. È questo il “Regno di Dio” 
di evangelica memoria, quel Regno che opera tra gli uomini: "E li mandò ad annunciare il Regno di Dio e a guarire gli infermi" (Lc 9, 2). Esso come dice san Paolo "Non consiste in parole ma in potenza" (1 Cor 4, 20).

La Tradizione, dunque, non è un semplice messaggio (come oggi pensiamo, umiliandola addirittura a norma opprimente, contraria all'espansione della vita) ma si esprime nel trasmettere un evento (che il vangelo definisce Regno di Dio), evento irradiato da chi ne è stato toccato per primo.
L'apostolo (ossia etimologicamente l' "inviato") è colui che espande questo Regno di Dio.

In un commento al post precedente è stato ricordato  Serafino di Sarov, un asceta russo santo per il mondo ortodosso (ma potrei fare anche qualche altro esempio). Se si legge il suo dialogo con Motovilov si nota, pressapoco, qualcosa del genere: il santo esprime un messaggio ma lo accompagna con eventi inconsueti che aprono gli occhi dell'animo al suo ascoltatore. Ecco perché i santi (parlo di questo genere di santi che reputo significativi) sono, in un certo senso, coloro che proseguono realmente l'attività degli apostoli ossia l'espansione del Regno di Dio. È necessario che il santo offra la percezione di qualcosa di sommesso ma trascendente che tocca la sua persona, non che sia una semplice persona buona o filantropica altrimenti non si può distinguere in nulla da qualsiasi altro buon uomo e la Chiesa da lui rappresentata non si differenzia in nulla da un'associazione umanitaria! È così che corrisponde alla caratteristica evangelica di colui che "espande il Regno di Dio".
Si notino i due aggettivi essenziali:
a) "Sommesso" perché sfugge agli occhi dei vanitosi che cercano cose eclatanti per provare solo emozioni religiose! 
b) "Trascendente" perché ai retti di cuore da la netta percezione di qualcosa di totalmente "altro" rispetto alla normalità.
Lo stesso Cristo si è rivelato nel suo aspetto trascendente solo a pochi mentre la maggioranza è pure giunta a crocefiggerlo...

I vescovi sono certamente essenziali ma senza la presenza di questo genere di santi sono, in qualche modo, “dimezzati”, il loro ministero è come un albero senza frutti! Se non si considerano i santi (o li si rinchiude nella vetrinetta del salotto buono) si scade velocemente nel cosiddetto clericalismo ossia in quell'atteggiamento per cui i chierici si sentono al centro e al di sopra di tutto per le cose materiali che fanno (sacramenti, amministrazione ecclesiastica,  insegnamento intellettual-morale)! 
Il clericalismo scade, a sua volta, in una sorta di potere assolutistico sulla Chiesa, provocando a lungo termine un'infinità di mali. Sono anche i mali di cui si lamenta il tradizionalismo cattolico. Questo clericalismo si rivela laddove la gente dice: "Il prete ha sempre ragione!" o "la Chiesa è affare dei preti", prescindendo da ogni altra cosa (1).

Non è un caso che in Occidente l'attività carismatica del santo non sia mai stata vista come un'espressione essenziale della Tradizione e questo avviene soprattutto oggi! È come considerare a parte i frutti di un albero concentrandosi solo su foglie e fiori; come se la teologia e l'amministrazione della Chiesa fossero cose totalmente diverse o poste su un piano isolato dalla vita trasfigurata in Cristo (2). Di qui anche la totale marginalizzazione della vita monastica, residuo di un passato e di una "cosa troppo vecchia", come direbbe la Trifletti. Questo è un vero e proprio problema occidentale che, ultimamente, ne sta generando mille altri (3). 

Invece, la presenza carismatica del santo è essenziale perché la Tradizione stessa ha bisogno d'esprimersi con parole ed eventi. Lo stesso insegnamento del vescovo (che è un riferimento principale nella diocesi) ha bisogno di essere illuminato da tutto ciò!
Si osservi un'altra cosa.

La Tradizione, nell'antico Testamento, è rappresentata dalla Legge e dai Profeti. Il Pentateuco (Legge) e i Profeti sono gruppi di libri che formano una sola Bibbia. Per questo non si può opporre gli uni agli altri tant'è che i cristiani ravvisano sia nella Legge che nei Profeti il Cristo che doveva venire. Non nella Legge soltanto, non nei Profeti soltanto, ma in entrambi!

La Tradizione, conformemente alla struttura della Bibbia, ha pure un aspetto legale (che nelle norme cerca di trasmettere un determinato spirito ecclesiale) e un aspetto profetico (ossia orienta i credenti d'ogni tempo attraverso il medesimo spirito ecclesiale).
L'insegnamento nella Chiesa è appoggiato su questi due aspetti della Tradizione come su due pilastri.

Voi capite bene che sopprimere (o mettere  semplicemente in dubbio) anche una di queste due cose, significa rovinare tutto e rovesciare completamente l'insegnamento rendendolo inutile!

Perciò se consideriamo la Tradizione solo come un codice di leggi, probabilmente ci sfuggirà l'aspetto "profetico" che essa ha, la sua capacità di portare l'autentico spirito della Chiesa lungo i secoli, quello spirito che giudica e discerne quasi con gli "occhi di Dio" quanto avviene oggi.

Se consideriamo la Tradizione solo come qualcosa di profetico (o carismatico), disprezzando le leggi, non le possiamo in alcun modo dare concretezza.
E' come credersi perfetti cristiani senza praticare i comandamenti!

Sin dai primordi del Cristianesimo ci si è mossi con queste associazioni: legge + profeti; ordinamento umano + spirito carismatico...

Queste coppie non si possono mai scindere tant'è vero che sin dall'antichità i cristiani si formavano alla luce della Parola biblica ma attualizzata in una  predicazione non razionalista o individualista ma frutto della tradizione ecclesiastica. Quest'ultima non era altro che una “custodia” alla Parola biblica e cercava d'offrire, in ogni tempo, la sua retta interpretazione.

È grazie alla Tradizione che sono stati definiti i primi dogmi. I dogmi cristologici dei primi secoli cercavano di salvaguardare il mistero di Cristo in quanto Dio e uomo. In quanto Dio, anche perché nella Chiesa si deve salvaguardare l'aspetto profetico-carismatico (4). In quanto uomo, anche perché nella Chiesa si deve salvaguardare l'ordinamento umano, che si concretizza pure in un ordine legale (5).

Gli eretici facevano una semplice cosa: ponevano la loro comprensione personale (con argomentazioni razionalistiche) al di sopra della comprensione della Tradizione e della Chiesa. In loro si notano le prime avvisaglie dell'individualismo religioso che oggi dilaga imperiosamente. (Il "secondo me" nelle questioni religiose è oggi la norma ma è assolutamente infondato, dal punto di vista della Tradizione).

Nel post dedicato alle contestazioni della signora Trifletti (il post precedente) ricordavo che san Benedetto nella sua Regula invita il discepolo ad ascoltare. Nell'ascolto e nella pratica avviene la trasmissione della Tradizione ecclesiastico-evangelica. Qui non ci dev'essere spazio alcuno al dubbio.

Il dubbio sistematico in ogni cosa, pure in campo religioso, è un prodotto tipicamente moderno. È dubitando che si eleva la propria comprensione individualistica al di sopra della comprensione ecclesiale e della Tradizione ed è per lo stesso dubitare che la Tradizione viene di fatto abolita e declassata a “cosa vecchia”.

Il culto liturgico è qualcosa di molto importante e delicato. Mostra in modo immediato e pratico lo spirito della Chiesa. Se una chiesa ha conservato lo spirito della Tradizione nel senso che ho fino ad ora indicato, avrà inevitabilmente una liturgia in cui l'umano si apre ad un'atmosfera completamente differente da quella consueta, facendo intuire "cieli nuovi e terra nuova". È quello che si definisce come l' "incontro armonioso del divino con l'umano". Qui esiste il cosiddetto “senso del sacro”.

Se una chiesa ha di fatto abolito lo spirito della Tradizione avrà inevitabilmente una liturgia in cui agisce solo l'aspetto umano, razional(istico), sociale, filantropico, sentimentale. Non dico che questo tipo di cristiani non possano, in qualche modo, fare del bene alla società. Dico che non trasmettono per nulla la completezza della Rivelazione divina ed è questo il grosso problema che a loro sfugge. Il "Regno di Dio che arriva" non è questione di un ordine sociale più giusto (pur contemplandolo) ma di una trasfigurazione dell'umano nel divino! Questo da loro non è minimamente capito. Non sarà perché sono ermeticamente "chiusi" in una prospettiva unicamente umana?

Questa prospettiva solo umana in religione, per la Tradizione, è segno di squilibrio. D'altronde moltissimo Cristianesimo attuale è squilibrato perché ha perso l'ordine tradizionale. Da una parte, ci si concentra sull'aspetto umano, come la Trifletti, con un odio preconcetto e privo di basi verso la Tradizione. Qui si butta via e vino e otri vecchi. Dall'altra, si esasperano elementi marginali o storicamente contingenti come se fossero essenziali e indispensabili alla Tradizione stessa. Qui non si sa portare il vino vecchio in otri nuovi e si finisce per rovinare il vino stesso in una sorta d'immobilismo pericoloso. Ma qui, per giunta, emerge una radicale mancanza di discernimento.

Tutto questo si applica alla liturgia.
Ci sono cose che, nel campo liturgico, non si possono assolutamente toccare. Altre che possono essere soggette a ritocchi.
Ovunque – nella liturgia tradizionale occidentale e orientale – sono stati fatti piccoli ritocchi lungo i tempi. Ma un conto è questo (ossia portare il vino vecchio in otri nuovi) un conto sono gli atteggiamenti estremi di chi cambia radicalmente tutto o di chi non vorrebbe cambiare assolutamente nulla (archeologismo liturgico).

Il mondo della Trifletti si pone, evidentemente, in chi cambia tutto equivocando la Tradizione con l'archeologismo. In lei si nota quel cattolicesimo che non ha mai compreso bene cosa significasse la Tradizione, né il suo ruolo indispensabile nella storia del Cristianesimo (6). È un pensiero che, oggi, va per la maggiore finendo per secolarizzare totalmente il Cristianesimo in Occidente. In fondo  chi pensa così se ne compiace assai ma offre l'idea di non poter in alcun modo prescindere da se stesso e dalle sue ragioni unicamente contingenti e "umane".
In un mondo individualista, non si distingue da tutti gli altri. Ma una chiesa con queste caratteristiche individualistiche ha da tempo riempito con la sociologia e le belle intenzioni il vuoto lasciato dall'espulsione dello spirituale. Il tragico è che nessuno pare accorgersene e c'è pure qualcuno, come la Trifletti, che lo denomina "splendore"!

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1) Alcuni anni fa un superiore generale di un istituto tradizionalista cattolico francese giunse a dirmi: "La Chiesa sono solo il papa e i cardinali. Nessun altro!". Fu l'espressione più estrema e farouche di clericalismo che sentii in vita! Uno che ragiona in questi termini non ha capito nulla né di Chiesa né di Cristianesimo. Eppure è superiore dello stesso istituto ancor oggi! 

2) E' emblematico il detto del famoso vescovo Marcinkus, che lavorò a lungo nella curia vaticana: "Non si può governare la Chiesa con le Ave Maria" (The Observer, 25 maggio 1986). Sono convinto che quest'affermazione è il segno d'una mentalità ben radicata che ha diviso in compartimenti stagni la stessa vita cristiana e permette, dunque, in una sola persona, la spregiudicatezza nella pratica e la condanna della stessa nei sermoni. Così, da un lato, si condanna la guerra ma si può permettere la partecipazione azionaria nel commercio di armi.... 
D'altra parte la mistica cristiana, che dovrebbe essere il punto culminante a cui tende tutta una Chiesa, nella storia religiosa occidentale ha avuto vita molto difficile. A volte glissare su queste cose come fossero, totalmente opzionali e secondarie, è indice di uno squilibrio ecclesiale di cui spessisimo non si è affatto coscienti.

3) In fondo la stessa richiesta del sacerdozio ed episcopato femminile discende da questa logica! Se l'accento è posto sul ministero sacerdotale (come il vero ruolo fondamentale) e l'autentico centro (ossia la santità) sta nel "salotto buono" (quando vi stà), è normalissimo che delle donne chiedano l'accesso al sacerdozio. Se gli equilibri nella Chiesa non sono ristabiliti (il centro è solo la santità che influenza davvero la vita della Chiesa) ogni "no" non servirà che ad aumentare la stessa richiesta fino a che il papa non cederà. Considerare la Chiesa solo umanamente ha portato a questo e a molto altro. Siamo di fronte a quello che chiamo "arianesimo ecclesiologico".

4) Oggi non sovente negli ambienti cattolici si sente parlare di "aspetto carismatico" ma non gli si attribuisce affatto il significato antico. Mentre anticamente l'aspetto "carismatico" era osservare il presente con occhi, direi, "divini" (come un san Paolo che confessava: "non sono più io che vivo ma Cristo vive in me"); oggi lo si intende in due prevalenti maniere:
a) In modo fanatico: il carismatico è quello che attende sempre eventi eccezionali e miracolistici o addirittura li provoca artificialmente. È il "supermarket" delle emozioni religiose!
b) In modo rivoluzionario: il carismatico è colui che predica una giustizia sociale e giudica le strutture che nel mondo creano disuguaglianza e povertà. Un "profeta" carismatico è allora Helder Camara oppure Oscar Romero.

5) Ho notato in alcuni ambienti tradizionalisti (cattolici) un'assenza quasi totale di coscienza che la legge vuole preservare la "soprannaturalità" di un ambiente ecclesiale. Per aliam viam sembra di veder agire lo stesso spirito secolaristico che affligge gli ambienti progressisti del cristianesimo. Ci si limiterebbe, dunque, a difendere la legge ecclesiastica per un motivo di "validità" sacramentale ( = se si fa la messa in un certo modo è valida altrimenti no), come se la stessa "validità sacramentale" non avesse il fine di creare un ambiente che definisco "soprannaturale". Si pone talmene attenzione ai mezzi che i fini sono tutti sfocati (quando ci sono).

6) Sono ben cosciente che in nome della Tradizione (o delle tradizioni) a volte sono avvenuti degli abusi. Lutero era circondato da teologi che, in nome della tradizione, avevano fatto una teologia molto astratta sulla quale Erasmo da Rotterdam esprimeva le sue ironie. Ma l'errore di Lutero è stato quello di voler fare a meno del sistema tradizionale, pur di "ripulire" la Chiesa e abolire le astrattezze fine se stesse di certe scuole teologiche. E' l'errore di chi "spara sul mucchio" (come abbiamo visto con la signora Trifletti): butta via il bambino e l'acqua sporca. Invece, come abbiamo pure visto, è proprio al Cristianesimo esprimersi attraverso la Tradizione perché la Chiesa esprime la sua continuità nei secoli, non la rottura. La rottura, storicamente, è propria dei sistemi ereticali.