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domenica 3 settembre 2017

Ispirazione e liturgia: alle radici della desolazione liturgica occidentale

Togliere alla liturgia il suo aspetto trascendente significa tradirla
Il termine “ispirazione” è spesso collegato alla letteratura biblica: l'agiografo, o compositore, di un libro biblico scrive su ispirazione divina pur mantenendo, nel suo scritto, tutte le caratteristiche di una determinata cultura locale in una precisa epoca.
La liturgia cristiana, i cui elementi essenziali sono rinvenibili nei Vangeli e nelle lettere paoline, risente pure lei di una cultura locale espressa in un certo periodo storico. È il suo lato umano. In tal senso, può essere studiata come si studia qualsiasi testo letterario. Esistono, allora, profondi studi che cercano d'individuare nella liturgia peculiarità con le quali una liturgia copta non è, ad esempio, della stessa famiglia di una liturgia bizantina o, ancora, una liturgia bizantina ha precise differenze strutturali rispetto ad una siriaca.

Questo va bene ma non è affatto sufficiente. Nell'antica tradizione della Chiesa, la liturgia non è mai stata vista solo come un'espressione umana. Impararne la struttura tradizionale, il suo genere letterario, il suo vocabolario essenziale, non significa avere in mano le profonde chiavi della conoscenza liturgica. Sarebbe come cercare di esprimere la vita con espressioni algebriche.

Nell'antica tradizione della Chiesa, passato il momento in cui la redazione dei testi liturgici ha conosciuto una certa fluttuazione, il culto si è fissato rapidamente ed altrettanto rapidamente è stato canonizzato. Uso questo termine perché rende bene quanto voglio esprimere: canonizzare una liturgia significa attribuirle un carisma d'intangibilità (*). L'intangibilità non significa automaticamente che tutte le espressioni cultuali, da un certo momento storico in poi, si ripetono perfettamente identiche, come fotocopie. C'è sempre un mimino spazio per l'adattamento che, però, non significa rifacimento!

La canonizzazione della liturgia avviene quando si attribuisce un determinato testo cultuale ad un santo (san Gregorio Magno, san Giovanni Crisostomo, san Basilio magno, ecc.). Oltre a ciò un chiaro elemento di “canonizzazione liturgica” è l'utilizzo dei termini “sacra e santa” oppure “divina”.

Questi termini, non a caso, sono utilizzati anche per le Sacre Scritture, soprattutto i primi due. 

Detto ciò capiamo immediatamente che si suggerisce una sorta di eguaglianza, con le dovute distinzioni, tra la redazione delle Sacre Scritture e la redazione della liturgia, soprattutto nel caso di quella eucaristica. Alla base di entrambe le redazioni pare dunque esistere una simile esperienza religiosa, una teofania.

Scrivere questo, oggi, può parere quasi assurdo, soprattutto se lo si osserva con la mentalità cristiano-occidentale abituata ad un approccio molto razionale. 

Ci dobbiamo onestamente chiedere: la mentalità razionale cristiana ci avvicina o ci discosta dalle antiche basi cristiane? Nel caso preso in esame temo che ci allontani assai sensibilmente. 

L'evento fondativo del Cristianesimo non è mai stato un concetto astratto ma una persona concreta, Cristo, che ha operato fatti concreti di cui gli apostoli hanno avuto esperienza (primo fra tutti, l'evento della resurrezione di Cristo).

La reale esperienza di Dio è, dunque, alla base di ogni autentica realtà cristiana. Allo stesso modo, non si scrivono le liturgie per gioco letterario, per semplice devozione o perché si ha in mano la conoscenza della loro struttura. Le liturgie sono o dovrebbero normalmente essere scritte in una condizione d'ispirazione nella quale, certamente, non sono estranei gli elementi umani ma soggiacciono in funzione dell'esperienza. 
In tono molto minore e trasposto su un livello psicologico: un pittore traduce su una tela non solo l'immagine di un bel tramonto con tutti i suoi particolari cromatici ma anche la sua emozione dinnanzi a quel tramonto, emozione che lo ha spinto a dipingere, si badi bene!, e cerca di comunicarla a chi osserverà il suo quadro. 
Analogamente, la liturgia nasce da una profonda esperienza religiosa, di tipo spirituale non psicologico!, ed è scritta nelle nervature di quell'esperienza cercando di attrarre e orientare i fedeli in direzione delle nervature medesime!

Questo spiega perché in Oriente non ci si è limitati a chiamare la liturgia eucaristica “santa Messa”, come in Occidente dove recentemente si tende a non usare più l'aggettivo “santa”. La si chiama “Divina Liturgia”, espressione che obbedisce ad un determinato criterio perso il quale la si può credere una pura enfasi bizantina.

Arrivando al nocciolo della questione che mi sta a cuore, in un forum rinvenibile su internet (vedi qui), una persona chiede ad un sacerdote:

D. Perdoni, per favore, la mia ignoranza con cui le pongo questa domanda: la Divina Liturgia è ispirata come la Santa Bibbia? So che noi ortodossi basiamo la nostra fede sulle doppia fondamenta della Sacra Scrittura e della Santa Tradizione; infatti, alcuni dicono che le Sacre Scritture fanno parte della nostra Santa Tradizione anziché essere separate da essa. Dovremmo, allora, vedere la Liturgia come parte della nostra Tradizione e quindi ispirata come le Scritture? Premetto che sono i protestanti a pormi questa domanda. Inoltre, la Liturgia la si deve considerare inerrante e infallibile? Grazie.

R. Sì, la Divina Liturgia è ispirata dallo Spirito Santo di Dio per mezzo di Cristo che l'ha istituita, degli Apostoli che l'hanno stabilita e dei padri della Chiesa che l'hanno perseguita. Ricorda che la maggioranza della Santa Liturgia proviene direttamente dalla Sacra Bibbia.

Non voglio affrontare l'inerranza e l'infallibilità; entrambe le questioni connotano i protestanti e i cattolici romani e tutti sappiamo che alcuni che le utilizzano non osano riprendere gli abusi contro la Sacra Bibbia e le testimonianze del Vangelo [...]. Basta ricordare che la liturgia è definita come la Divina e Santa Liturgia. Questo ci basta.

Alla base di questa riposta c'è la vivida coscienza che l'azione di Dio, rivelata nelle Sacre Scritture, attraverso l'esperienza degli agiografi che le hanno redatte, non si è fermata solo a quel tempo. Essa si manifesta sotto forme teofaniche nel tempo post-apostolico della Chiesa. 
Il Cattolicesimo in linea di principio non nega tutto ciò ma fa una netta distinzione tra rivelazione biblica (spesso presentata in forma puramente concettuale) e rivelazione privata. Nella Bibbia l'agiografo rivela un messaggio e sembra non essere molto importante che la rivelazione da lui avuta comporti un'esperienza trasfigurante (si pensi alla natura umana "divinizzata" di Mosé quando scende dal monte con le tavole della Legge). Nel tempo successivo della Chiesa, l'eventuale manifestazione di Dio è qualcosa di “privato” ed è così denominato per salvaguardare la superiorità della rivelazione biblica. Lo capisco, se si tratta di salvare il primato assoluto della rivelazione biblica, ma, inevitabilmente, quest'affermazione mette totalmente in ombra il resto. 

Infatti: può mai una teofania essere considerata unicamente “privata”? Può mai, una profonda esperienza del divino, non riguardare tutti i credenti? Può mai, tale esperienza, essere ridotta razionalisticamente ad una semplice questione di “messaggi”, come se Dio inviasse e-mail da un PC mentre il primo importante effetto dell'autentica comunicazione diretta con Dio è la trasfigurazione dell'umano??

Il mondo cristiano orientale proprio perciò non ha mai fatto una distinzione netta, tranciante, tra la rivelazione biblica del Dio che si rivela nel periodo biblico, e le teofanie nel tempo della Chiesa.
Quest'ultime, perciò, riguardano in un certo qual modo la stessa redazione della Liturgia, almeno nelle sue linee essenziali come, ad esempio, la redazione delle anafore. Tutto ciò nella nostra epoca e nelle nostre regioni si ha smesso di dirlo da troppo tempo, oramai, e ciò suona come se qualcuno negasse l'autenticità e la venerazione verso tutte le reliquie solo perché si scopre che alcune tra esse sono false ...

Il Canone romano, che inizia con le parole “Te igitur” ha una venerabile antichità. Com'è ricevuto nei tempi moderni, così essenzialmente si è sempre conservato. L'idea d'intervenirvi, seppur con pie intenzioni, era totalmente inconcepibile fino a non pochi decenni fa e sarebbe davvero parsa quasi come l'idea di cambiare qualche frase del vangelo aggiungendovi, magari, qualcosa animati pure dalle migliori intenzioni. 
Papa Giovanni XXIII, devoto a san Giuseppe, fece il primo intervento: inserì nel canone romano, nell'elenco dei santi, il nome dello Sposo della Madre di Dio. Da quanto mi sembra, non ci fu alcuna reazione tolto forse qualche sommesso borbottio accademico. I tempi erano maturi: mostrando che era possibile fare delle inserzioni pure nel testo più sacro della liturgia (allora si usava ancora definirlo così) e che tali inserzioni erano accolte senza problema in tutto il mondo cattolico, si era aperta una breccia. 
I liturgisti più progressisti iniziarono a chiedersi: perché non iniziare a cambiare poco per volta tutta la liturgia cattolica? Tutto iniziò esattamente così. È come se uno togliesse da un muro a secco una pietra e si sentisse di farlo perché, sul momento, non accade nulla. Purtroppo di lì a poco è tutto il muro che è crollato andando in rovina.

Quello che animò la riforma liturgica cattolica, lo si è spesso scritto e lo stesso papa Ratzinger lo ha affermato, fu uno spirito troppo razionalistico. Ma non si aggiunge che tale spirito si è potuto affermare liberamente perché, nel frattempo, era totalmente venuto meno un concetto autenticamente sacrale di liturgia, la liturgia è stata sganciata dall'esperienza teofanica a cui sopra accenno e quest'ultima è stata vista di fatto come una semplice redazione tecnica di testi.

Così lo spirito di pietà che animava almeno Giovanni XXIII ha ceduto il passo ad un altro tipo di spirito, molto razionalizzante, di marca sociale e psicologica. In breve: è stato il trionfo di quell'antropocentrismo oggi ben conosciuto ma che già da tempo premeva alle porte delle chiese cattoliche.

Se si va a ritroso nel tempo non si può non constatare che tutto ciò è potuto avvenire perché, alla radice, mancava spesso un'autentica esperienza religiosa (soprattutto con la decadenza del monachesimo occidentale). L'esperienza del divino e la sua manifestazione (la teofania) sono stati sempre più visti come dei miti, non come delle realtà sempre possibili nel tempo della Chiesa. Ancor meno, la Liturgia che vive, si appoggia e si concepisce su tali esperienze, ne è stata praticamente privata divenendo prevalentemente, nel periodo postridentino, un culto da attribuire "doverosamente" a Dio perché "voluto" dalla Chiesa (concezione legalistica). L'eclissamento della mistica dall'Occidente cristiano ha favorito tutto ciò facendo vivere la liturgia o come dovere legale o come espressione di pura pietà, ma una pietà sganciata dal dogma e dall'antica patristica tradizione fa presto a marcire in un languido e psicologicissimo pietismo.


La prima radice della decadenza liturgica odierna, dunque, dev'essere assolutamente colta nell'allontanamento della Liturgia da ciò che essa sostanzialmente è: ispirata in modo non molto dissimile da come lo sono i libri che compongono la Bibbia. Se si nega ciò o prima o poi le si negheranno i titoli di “sacra”, “santa”, “divina” relegandola in un ambito, di fatto, puramente umano. A quel punto, assieme a composizioni liturgiche di gusto secolare, si potranno anche ristabilire culti antichi, nel Cattolicesimo, ma a nulla serviranno perché il profondo spirito con cui sono stati composti resterà totalmente ignoto.



P.S.
Nell'immagine sopra riportata, fedeli cattolici schitarrano un inno originalmente dedicato alla Madre di Dio ad una divinità indù. È successo in una chiesa di Ceuta (enclave spagnola in Marocco), per onorare la piccola comunità indù lì residente. Il filmato per chi vi si vuol "solazzare" è in questo link.
Oltre ad essere un grave segno di confusione (e almeno implicita apostasia), tutto ciò rivela le estreme conseguenze alle quali si giunge quando si parte da basi sbagliate rispetto a quelle gettate nella rivelazione neotestamentaria. Il vicario generale del posto, responsabile della carnevalata, ha chiesto e ottenuto le dimissioni a seguito della protesta per questo fatto. Il problema, però, non è legato ad una persona ma a tutta una mentalità che continua a rimanere e che non è affatto quella con la quale si scrivevano i primi testi della liturgia cristiana. È questo che non si vuole o non si può più vedere.

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(*) L'intangibilità è nata anche per l'esigenza di non rendere i testi liturgici veicolo di idee che si discostavano dall'ortodossia della fede. Venendo meno l'intangibilità liturgica, nel periodo successivo al Vaticano II, il Cattolicesimo ha visto nuovamente la liturgia divenire campo di espressioni in dissonanza con l'antica fede cristiana.