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domenica 16 aprile 2017

L’anima di una chiesa

Alcune antiche mistagogie cristiane riflettevano sulla chiesa come edificio, rinvenendovi profondi significati. Non è casuale! 

«Vi dico che, se questi [i discepoli] taceranno, grideranno le pietre» (cfr. Lc 19, 40). 
Ecco una frase di Cristo che pochissimi oggi sono in grado di capire. E infatti, per chi le sa ascoltare, le pietre delle antiche chiese parlano, eccome!
La chiesa ha un suo modo di comunicare, non solo attraverso le opere d’arte ivi contenute, la disposizione del suo interno, i suoi arredi sacri.

Mi dica velocemente cosa c’è di più importante in questa chiesa”, chiese un giorno un frettoloso turista ad un sacrestano di una chiesa ortodossa.

Come faccio a dire a questa gente che la cosa più importante in una chiesa non è visibile agli occhi?”, mi disse il buon uomo che non poté rispondere a quel vanesio turista perché non era in grado di poter afferrare l’ABC del Cristianesimo.

Infatti, la chiesa racchiude un tesoro e un insegnamento che gli occhi non possono vedere, un insegnamento molto più profondo e importante, rispetto a quello che può dare ogni oggetto in essa contenuto, poiché proviene dalla sua anima.

Come può un edificio inerte avere un’anima?”, si chiederà qualcuno. Questa domanda nasce da due presupposti:

a) Abbiamo un approccio unicamente razionalistico: quello che passa nella razionalità e nei sensi esiste, quanto non vi passa è almeno dubbio che esista. Ma questo potrebbe essere segno di un agnosticismo pratico;
b) Le chiese che ci circondano, generalmente, non comunicano più nulla di spirituale, neppure quelle più tradizionali.

È abbastanza impressionante che un edificio nel quale i cristiani si sono radunati per le preghiere della Settimana santa e per celebrare la Resurrezione del Signore, eventi realmente unici, non possa dire nulla e mostri un’assurda vacuità o la stessa sensazione che si può facilmente avere in un auditorium, in una biblioteca o in un teatro. 

In realtà è così: oggi passando in una chiesa dove si celebrava una messa di Resurrezione, oltre all’odore dell’incenso usato per la liturgia latina, non c’era “atmosfera”, non la notavo affatto, nonostante tutte le buone intenzioni dei presenti.

Passando in una quasi vuota e silente chiesa ortodossa, ieri sera, l’atmosfera c’era, eccome, al punto che chi mi accompagnava se ne accorse prima di me. Più ci si avvicinava all’iconostasi più la si sentiva. Era l’ “anima” della chiesa che s’imponeva e sembrava dirci: “Sono qui, non mi senti?”.

Prospettiva verso il mare dalla Skiti atonita di Agia Anna

Quest’atmosfera è “speciale”, me ne accorsi diversi anni fa visitando la chiesa atonita di sant’Anna, quasi sulla punta del Monte Athos. Ovviamente in quel posto l’intensità era molto più forte e si trasmetteva nella forma d’un silenzio penetrante, denso, ricco di energia e di forza che premeva nelle tempie per entrare nell’interiorità. 

Questo tipo di energia (non la si può definire diversamente!) ha una pienezza tale da imporsi per se stessa ed è il segnale d’una presenza viva, seppur invisibile agli occhi. Non è spiegabile a parole, bisogna solo provare a sentirla e le mie affermazioni saranno immediatamente comprensibili. È un silenzio che non è solo assenza di rumori! È quello che in termini tecnici si definisce come una ierofania, una manifestazione sacra.

O tu, che tutto riempi”, dice un tropario bizantino riferendosi all’energia di grazia dello Spirito santo. Ecco l’anima della chiesa, intesa pure nel suo lato materiale, come edificio.
La gente se ne accorge alla sua maniera quando dice: “In quella chiesa sto bene”. Tuttavia, si deve tenere ben presente che questo non è un semplice benessere psicologico ma spirituale. Il benessere psicologico lo si può ottenere con un sottofondo musicale, con una luce calda e poco intensa, ma è di ordine completamente diverso. Un Cristianesimo che si serva di questi mezzi, mostrando di non aver più altro, non è diverso da qualsiasi movimento New-Age!

Come mai alcune chiese hanno quest’anima e la maggioranza ne è priva? Come mai la chiesa di sant’Anna me lo testimoniava mentre una chiesa protestante di Berlino e una ortodossa di Venezia, no?

Ecco una domanda interessante.

Ebbene, la risposta alla quale sono pervenuto è la seguente.

La dogmatica cristiana, appoggiandosi sui dati rivelati, indica come Dio agisce nell’uomo e nel mondo: normalmente attraverso la mediazione umana. Infatti, per la redenzione, Dio ha assunto l’umanità indicando con ciò la modalità normale con la quale agisce. Ma attenzione: lumanità che fa da trasmettitore divino, devessere trasformata, per essere in grado realmente di trasmettere. Nella logica della rivelazione nulla agisce magicamente!
Il cuore dell’uomo è come il letto di un fiume. L’acqua non è prodotta dal letto del fiume ma dalle montagne. Il letto del fiume si limita a trasportarla a valle e poi al mare ma non deve essere ostruito altrimenti l’acqua non corre e cercherà altri canali!
L’irradiazione della presenza divina è come l’acqua: normalmente ha bisogno d’essere contenuta e irradiata da un cuore purificato dalla grazia di Dio, da un uomo puro. Per questo un sacerdote santo che celebra l’eucarestia può trasmettere quello che uno non santo non trasmette, nonostante entrambi possano consacrare il pane e il vino. 
Per questo un monaco santo (san Serafino di Sarov o san Paisios del Monte Athos), quando parlava con poche parole su Dio cambiava i cuori, a differenza di molti altri che fanno fiumi di parole e non ottengono che stitici o fuorviati risultati.
Una questione, questa, già esaminata da san Simeone il Nuovo Teologo (IX sec.) sull’efficacia dei sacramenti.

Chiesa centrale (Katholikòn) della Skiti di Agia Anna
Un uomo con un’interiorità non orientata a Dio (o con una fede distorta) chiude il canale di comunicazione, intasa il letto del fiume, per dirla con l’esempio appena fatto. Non c’è evangelizzazione che tenga, se l’umanità di chi la compie è opacizzata dalle passioni e da un amore egoistico. La conseguenza è che la stessa chiesa ce lo dice: l’edificio non trasmette più nulla, si “spegne” e si “raffredda”, diviene vuoto, inerte, morto. L’edificio, come ogni cosa, viene infatti toccato, “energizzato” dal nostro modo di essere, se così si può dire.
La stessa energia di grazia, che l’uomo certamente non crea ma che diffonde, ha bisogno di uomini puri, non di qualsiasi uomo. Perciò un tempo si sceglievano i sacerdoti tra gli uomini meglio disposti alla grazia, non tra chiunque o, peggio, tra gli amorali. Un sacerdote o un laico vanesio o libertino che vogliono evangelizzare credendosi a posto, sono come una tubazione arrugginita piena di buchi che presume di portare l’acqua ovunque come se fosse una tubazione nuova. Un buon idraulico la sostituirebbe immediatamente, anche se è nascosta nel muro e nessuno se ne accorge! La moralità non è il fine del Cristianesimo ma è uno dei suoi mezzi, esattamente come un secchio nuovo è un mezzo per portare l’acqua; nessuno si sognerebbe di portare dell’acqua con un secchio bucato!
La pratica dei comandamenti impone un distacco dalle cose e da se stessi, distacco indispensabile per chi vuole lavorare nelle realtà dello spirito. Se ciò non avviene, è come presumere di poter studiare distraendosi continuamente dalla lettura dei testi. L'adesione dello spirito alla carne, per dirla con san Paolo, non fa che vedere quella e storna lo sguardo interiore dalle realtà superiori [*].
Oggi ci siamo talmente discostati dall’essenzialità del Cristianesimo che siamo arrivati al punto di salvare l’apparenza (basta che le ruggini e i buchi siano nascosti!) e chiunque, o quasi, può lavorare con una certa responsabilità  nella Chiesa: basta apparire studiosi, per usare l'esempio appena fatto, e si riceve una laurea, salvo poi mostrarsi totalmente incapaci. I risultati, infatti, si vedono perché hanno una forte ricaduta pratica: ecco spiegata la grande dispersione odierna («Chi non raccoglie con me, disperde!» Mt 12, 30).

Questo riguarda pure un edificio ecclesiastico dove, nel caso peggiore, lo si mortifica [**] mentre, al contrario, lo si trasfigura. 
Oggi più che mai, infatti, valgono le parole di Cristo: «Vi dico che, se questi [i discepoli] taceranno, grideranno le pietre» (cfr. Lc 19, 40).

E che Cristo risorto sia con i suoi fino alla fine del mondo, lo si desume anche da queste cose positive, visto che la gran maggioranza dei discendenti degli apostoli oramai tacciono e non le comprendono più.

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Note

[*] Siccome il fine del Cristianesimo è preparare l'uomo per l'Al di là, nella dimensione futura la persona, spogliata momentaneamente della carne (che riacquisirà nella forma trasfigurata alla fine dei tempi), cerca appoggio e sicurezza nelle abitudini avute fino ad allora. San Paolo dice che "ciò che brama la carne è morte" (Rom 8, 6). Tale passo, ingiustamente privato del suo contesto escatologico, è stato  qualificato come "sessuofobico", al punto che così lo giudicano pure molti cristiani. In realtà, a mio avviso, le cose stanno diversamente. San Paolo ha in mente la situazione di una persona spogliata dalla carne, subito dopo la morte, che continua a cercarla passionalmente anche nella sua nuova dimensione, se non altro per l'abitudine acquisita da una vita. In quella nuova situazione, tale persona è "votata alla morte" perché non si appoggia su quanto è vivo (lo spirito) ma porta le sue energie su quanto oramai giace nel sepolcro ed è soggetto alla dissoluzione (la carne della quale si è spogliata). Di qui il bisogno del cristiano tradizionale, nella dimensione temporale, di non assolutizzare la propria dimensione carnale. La scelta monastica, in ciò, è la preparazione più radicale per l'Al di là ma questa prospettiva escatologica, autentica spiegazione del monachesimo, è oramai persa almeno nel 95 per cento del Cristianesimo occidentale, per fare una stima generica. 
Senza escatologia, però, non c'è più vero Cristianesimo e la morale da semplice mezzo diviene fine e ideologia non convincendo più nessuno. Ecco perché, se si parla di morale, nel mondo Cattolico si ha immediatamente grande eco (sia tra chi ne è contro sia tra chi la difende) mentre se si parla di spiritualità non c'è che una debolissima attenzione, pensando debba trattarsi di cosa buona solo per "colli torti".

[**] Ciò spiega anche la diffusione di una certa arte ecclesiastica il cui messaggio, visto da un animo formato con i criteri tradizionali, non può che parere osceno e depravato. È il caso di un dipinto con approvazione episcopale nella cattedrale cattolica di Terni (Italia), in cui prostituti e libertini, senza alcuna conversione, vengono portati in Paradiso da un Cristo seminudo (vedi qui). 

sabato 1 aprile 2017

Al naturalismo non servono le chiese

Riporto un articolo veramente ottimo e ampiamente condivisibile, proprio perché fa parte della mia stessa esperienza.
Condivido e plaudo pure il riferimento al monachesimo dove però non si dice che si è spento gradualmente fino a divenire praticamente inservibile: l'epoca monastica termina nel Cattolicesimo verso l'XI secolo sostituita da quella prevalentemente clericale perché il monachesimo entra in crisi e non si rialzerà neppure con il tentativo di Francesco di Assisi di rivivificarlo. Da allora vive ai margini della Chiesa cattolica, ritenuto, un po' rispettosamente un po' sospettosamente, un'antica reliquia di un tempo passato quando, al contrario, dovrebbe essere il cuore stesso della Chiesa. D'altronde non pochi chierici lo ritengono perfettamente inutile!
Oggi le istituzioni ecclesiastiche occidentali sono ancora apparentemente in piedi ma sono quasi totalmente svuotate di efficacia.
La liturgia, in gran parte priva dei suoi simboli secolari, è divenuta possibile campo del "demoniaco" ossia dell'apparenza, della maschera, come scriverò più estesamente in uno dei miei prossimi interventi. Per questo la mancanza di "vita dentro" non è solo un'apparenza, come scrive questo sacerdote: è una realtà.
Anche in alcune realtà ortodosse in Italia si sperimenta questo, quando il clero (che ha una grande responsabilità in tal senso) non favorisce il passaggio della Grazia, come ricorda la dottrina sacramentale di san Simeone il Nuovo Teologo. Un clero impreparato, in gran parte succube del secolarismo, usa, allora, la liturgia come teatro per la sua glorificazione, non come luogo in cui Dio si rivela e quindi come realtà da rispettare con timore. Se in Occidente un certo narcisismo clericale si rivela nella celebrazione coram populo, in Oriente può rivelarsi in un tronfio e vacuo apparire dove il chierico non è umilmente trasparente all'azione liturgica ma ne diviene proprietario e principale gesticolante attore, in cui tende, volendolo o meno, a trasformare la liturgia in una pura formalità.

«Il naturalismo “cattolico” crede in Dio, ma in un Dio da guardare da lontano». 

Questa frase è da precisare. In non poco Cattolicesimo non si crede in Dio ma in un'idea di Dio, poiché non si ha contatto con Dio in se stesso, nella Grazia, ma si piega la realtà di Dio ad un'immagine che ci si fa per i più disparati fini: è l'idolatria con tutte le amare conseguenze che ne discendono.

Quest'idolatria è favorita dall'aver seppellito la vita mistica, dall'aver fatto morire sostanzialmente la vocazione monastica, ritenuta cosa solo per qualche "perfetto" un po' originale e pazzerello, dall'essersi sempre più accontentati di un "minimo indispensabile" per la vita cristiana.

Il deserto attuale nell'Occidente cristiano si è potuto produrre proprio perché si è scesi lentamente da secoli, accontentandosi di sempre meno. Poi, ad un tratto, oggi alcuni si svegliano e si accorgono che il clero è in gran parte agnostico (l'amoralità di diverso clero discende dalla mancanza di timor Dei, dunque dall'agnosticismo) e incapace di discernere l'essenziale da quanto non lo è. 
La liturgia gestita da questo clero è, dunque, luogo del demoniaco in senso proprio, non un semplice luogo in cui spesso si accampano banalità, poiché in tutte le antiche fonti cristiane il demonio è descritto come colui che prepara, attraverso lo scimmiottare e la banalizzazione, lo svuotamento dell'anima. Ne consegue che non poco Cattolicesimo odierno è realmente davanti alle porte dell'Inferno in senso simbolico ed esperienzialmente reale. A poco vale distrarsi con un vuoto trionfalismo dove ci si illude di essere "meglio" di altre epoche e si dipingono personaggi assurdamente mediocri, fossero pure papi, in grandi genii cristiani ...
Ma quando tutto sembra essere perso, tutto può rinascere per unica opera di Dio che sente l'urlo di anime straziate da tanto orrore ecclesiale. La maschera di Dio e della "misericordia divina" non è certamente quella rivelata poiché non ne produce affatto gli stessi effetti!


Che crisi del Cattolicesimo! Che desolazione ci circonda! Un deserto sconfinato, pieno di ruderi, tra i quali si aggirano anime spaventate in cerca di una guida. Apparentemente tutto sembra al suo posto... ancora segni della storia cristiana, monumenti che ti parlano del popolo di Gesù Cristo; ancora immagini di santi... ancora croci e altari... ancora chiese, ma senza la vita dentro. Sì, è proprio questa l'impressione violenta: senza la vita dentro. Intanto perché la maggioranza delle chiese resta chiusa: ti aggiri nei paesi con al centro, perennemente, la casa di Dio inaccessibile, non si sa per quale prudenza! Fatte per l'incontro degli uomini con Dio, edificate per il culto e per l'adorazione di Nostro Signore Gesù Cristo presente nel Santissimo Sacramento dell'Eucarestia, le chiese restano chiuse. Una parte di esse si apre solo per una veloce messa, il tempo per esplicare il rito scheletrico rinnovato, poi la porta viene di nuovo sprangata, in attesa della prossima volta; e questo solo per i villaggi che hanno, non si sa per quanto tempo ancora, la visita del prete. La cristianizzazione del mondo si è propagata nei secoli passati con l'apertura di luoghi di culto. In una terra desolata arrivavano i monaci per primi, iniziavano ad edificare una chiesa e una casa, il monastero, e abitandola vi instauravano la lode di Dio, il servizio all'Altissimo, trasformando quel pezzo di mondo da pagano a cristiano. La conversione dei popoli avveniva intorno ai monasteri, vere scuole del servizio di Dio. Paesi e poi città sono sorte attorno a questi luoghi consacrati; gli uomini hanno imparato dai monaci missionari cosa vuol dire vivere da cristiani, hanno imparato una vita redenta. Le parrocchie poi, quelle della diffusione capillare della vita cristiana, hanno continuato il lavoro: erano piccoli ma veri e propri monasteri, dove un parroco abitando cristianamente quella porzione di terra assieme ai fedeli, garantiva la possibilità di una vita diversa da quella del mondo senza Dio; una vita ritmata dall'anno liturgico, dalla grazia dei sacramenti, dall'osservanza dei comandamenti. In una parola, garantiva la vita soprannaturale degli uomini. È la storia della Cristianità. Della cristianità, non solo del Cristianesimo: cioè la storia della trasfigurazione del mondo che prese la forma di Cristo. Ne nacque una cultura. Una cultura, cioè una capacità intelligente di affrontare tutto secondo la forma di Cristo: il lavoro, la gioia, i dolori, la vita e la morte, l'arte e lo studio: tutto prese una forma nuova. Il Cristianesimo non solo era nella storia, ma fece la storia. Oggi non è proprio più così, che tristezza. Oggi i cristiani non fanno storia, la subiscono. Ma da dove arriva questo rivolgimento, questo terremoto inarrestabile che ha raso tutto al suolo? Non ne vediamo che una origine: il Naturalismo. Il Protestantesimo e il suo “cavallo di troia” che lo ha introdotto tra noi, cioè il cattolicesimo liberale, hanno prodotto il cattolicesimo modernizzato che non è nient'altro che naturalismo. Questo naturalismo “cattolico” crede in Dio, ma in un Dio da guardare da lontano, un Dio che in fondo in fondo non si è rivelato; o meglio, si riduce la rivelazione al fatto che Dio dice che c'è. E con questo Dio gli uomini hanno un semplice rapporto tra creatura e Creatore: tutto qui. Allora questo vuoto nel rapporto tra Dio e gli uomini viene riempito dalle nostre idee e opinioni; viene colmato dalle mode del momento, viene assunto come contenuto religioso quello che il mondo pensa: così si assiste a quella perenne giostra di cambiamenti che tanto piace ai cattolici nuovi, che stanno picconando ciò che resta della cristianità. Invece Dio si è rivelato. E ha rivelato un contenuto: ha rivelato la sua vita intima. Dio è Padre; dall'eternità, quando ancora non splendeva la luce creata sul mondo, Dio genera un Figlio, al quale comunica la sua natura, le sue perfezioni, la sua beatitudine, la sua vita. E il Padre e il Figlio sono uniti in un vincolo d'amore potente e sostanziale, da cui procede quella terza persona che la Rivelazione chiama con un nome misterioso: lo Spirito Santo. È il segreto della vita intima di Dio. Per un trasporto d'amore Dio decreta di chiamare delle creature a dividerla: questa vita traboccherà dal seno della divinità per raggiungere e beatificare elevandoli al di sopra della loro natura, degli esseri tratti dal nulla: gli uomini. Per questo il Figlio si fa uomo, il Verbo si fa carne: perché in Cristo, nella sua grazia santificante che discende dalla Croce, noi siamo adottati come figli, come veri figli. “Ecco, voi siete divinizzati” (Gv 10, 34): da questa trasformazione dell'uomo, chiamato a partecipare, ad aderire alla vita intima di Dio, nasce la Cristianità, cioè la trasformazione del mondo intero, della storia e della realtà, chiamata a servire l'unica cosa necessaria, cioè la trasformazione dell'uomo nella santità. Questa è l'opera della vita, l'unica in fondo. Per questo c'è la Chiesa, per quest'opera hanno lavorato gli operai del vangelo nei secoli, per questo Dio ha voluto la Cristianità, cioè il mondo trasfigurato dalla grazia. Ma oggi non si parla quasi più della Trinità, della grazia santificante, della vita intima di Dio, della santità di Dio e della nostra santificazione. Si dice solo che Dio c'è, ma per questo non era necessaria la rivelazione, bastava la ragione umana. Per questo le chiese chiudono: alla religione naturale non servono più.
 "Radicati nella fede" - Editoriale Anno X n° 4 - Aprile 2017