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venerdì 3 agosto 2018

Individualismo contro Tradizione


Quando si esaminano le dinamiche religiose nell'Occidente cristiano, non ci si può esimere dal considerare tutti i cambiamenti culturali avvenuti in esso, cambiamenti che, in un modo o in un altro, hanno finito per condizionare la fede.

Non è, dunque, un inutile sforzo quello di esaminare il contesto che circonda il Cristianesimo perché non di rado la stessa catechesi cristiana lungo i tempi ha dovuto adattarsi a uomini diversi per sensibilità e cultura.

Nel volgere dell'ultimo secolo certi fenomeni si sono enormemente accelerati. Non mi riferisco solo alle scoperte scientifiche e tecnologiche, al modo di vestire, alle convenzioni sociali... Penso, più generalmente, all'emergere prepotente dell'individualismo, ossia all'affermazione individuale della persona. Se in una società tradizionale di un tempo un uomo aveva senso tanto in quanto era legato da vincoli di sangue, di etnia e di religione ad un gruppo ben preciso o a una grande famiglia, oggi un uomo si sente realizzato quando sente di essere “se stesso”, ossia quando è sciolto da quei vincoli che, al contrario, nel passato erano parte costitutiva e irrinunciabile della sua identità. In tal modo, la sua felicità non consiste nel giungere anche al sacrificio pur di contribuire alla felicità del gruppo nel quale si identifica, ma a svincolarsi da quel gruppo appena gli viene chiesto un suo contributo in termini di tempo, denaro e fatica.
Il divorzio della coppia, evento oramai rapidamente praticabile anche per motivi leggeri, rappresenta la concreta manifestazione di quanto sto dicendo.
Se l'individuo è più importante della coppia, di una grande famiglia o di un gruppo sociale, ad egual ragione è più importante di qualsiasi autorità poiché diviene, de facto, autorità per se stesso.

I legami che un uomo individualista può avere verso la società sono allora caratterizzati dal semplice vantaggio personale. Tutto è filtrato da questo individualismo che non lascia spazio per altre possibilità.

Se questo modo di vivere entra nella Chiesa o prima o poi ci saranno degli sconquassi. L'antica Tradizione cristiana non si è stabilita per dei semplici vantaggi individualistici, dal momento che richiede la spoliazione dell'uomo vecchio e la conformazione a Cristo. Conformarsi a Cristo non significa solo farsi lavorare dalla grazia, ossia dalla sua forza redentiva, ma seguirne gli insegnamenti poiché Egli è il Maestro, l'Autorità per eccellenza.

La mens cristiana faceva sì che nell'epoca medioevale l'artista potesse non firmasse le sue opere, che al più erano catalogate in una scuola, in uno stile. Non ne sentiva il bisogno perché non esisteva la mentalità odierna. La stessa teologia medioevale latina, per quanto fosse insegnata da maestri particolari, ritenuti affidabili e stimabili, si credeva aderente più possibile alle auctoritates e, se introduceva delle novità di metodo, aveva somma cura di motivarle in modo tale da renderle il più possibile in continuità con il passato.

Nella teologia bizantina c'era la stessa mentalità: Gregorio Palamas, che sembrava avesse introdotto delle novità, si difese lungamente appellandosi alla tradizione antica e alle autorità ascetiche di cui si sentiva autentico prosecutore. Pure i suoi accusatori si appellavano alle antiche autorità, non ad una migliore e originale loro comprensione.

Rispetto a quel tempo, attualmente si da un profondo valore alla coscienza individuale, una grande enfasi alla singola persona e all'originalità che essa può proporre. Il bisogno individuale diviene, dunque, legge.

Se la regola benedettina esorta il discepolo ad ascoltare “i precetti di tuo padre”, un possibile discepolo attuale rifiuterà sempre più l'educazione che, per lui, sarà equivocata come un'umiliazione alla sua spontaneità e alla sua voglia di vivere. Il “clero fai da te” che ci circonda sembra sia un chiaro segnale di tutto ciò e la fatica improba degli insegnanti nelle scuole ce lo testifica chiaramente.

La Chiesa, che lo voglia o no, eredita ancora ampiamente l'impostazione antica, quella delle auctoritates per intenderci, e la ritroviamo negli insegnamenti del passato e nella sua storia. La stessa Tradizione ha il suo valore proprio perché la si fa risalire a Cristo Maestro. Tutti gli insegnamenti che derivano dalla Tradizione e la formazione del culto cristiano trovano la loro autorevolezza perché sono stati composti da chi ha carismaticamente praticato e ben capito l'insegnamento di Cristo Maestro fino ad incarnarlo. Qui l'individualismo e le ragioni puramente umane non trovano spazio alcuno.

La Chiesa può mantenere quest'impostazione antica fintanto che in essa esiste una formazione reale, efficace e carismatica (in senso evangelico) dei suoi membri o, almeno, dei suoi membri più rappresentativi. Questo non significa che il clero, ad esempio, non debba sapere in che mondo vive ma che non deve assolutamente assumerne la mentalità.
Nel momento in cui ciò disgraziatamente avviene, nella Chiesa si stabilisce una vera e propria rivoluzione.

Recentemente Bergoglio ha manifestato il desiderio di cambiare l'insegnamento catechetico sulla pena di morte ritenendo quest'ultima sempre e comunque inammissibile. Viceversa, la tradizione cristiana sia in Oriente che in Occidente l'ha ritenuta possibile in determinati estremi casi.
Quello che in questo fatto si deve cogliere non è tanto il favore o meno alla pena di morte, la ragione o meno di Bergoglio, quanto il suo bisogno di affermare una decisione individuale (che, dati i tempi, trova pure ampio consenso altrui) contro una decisione tradizionale mantenuta dalle auctoritates (non ultima quella di san Paolo in Rom 13,4).

Qualcosa del genere si è visto nell'inserimento del nome di san Giuseppe nel Canone Romano da parte di papa Roncalli. Essendo costui personalmente devoto allo sposo della Madonna, decise di inserirne il nome nell'anafora romana. Fino a quel momento era impensabile che una persona, fosse pure un papa, potesse mettere mano all'anafora per un bisogno personale. Ciononostante, l'evento fu rapidamente giustificato ma non ci si avvide che rappresentava simbolicamente la crepa di una diga. Infatti quello che poi successe convalida quest'interpretazione ed è oramai storia: i più coraggiosi liturgisti cattolici presero iniziative sempre più ardite e trasformarono, non di rado stravolgendo, la liturgia stessa fino ad allora intangibile. Che lo facessero con “buone e studiate intenzioni” non toglie nulla al fatto che siamo dinnanzi a bisogni individuali che si contrappongono ad una stabile e immutabile Tradizione.

Gli stravolgimenti della teologia, della liturgia e dell'ethos ecclesiastico trovano la loro autentica radice nell'individualismo che, dunque, si pone agli antipodi della Tradizione e dell'obbedienza che normalmente le si tributava.

Non è difficile immaginare che, una volta introdotta la suddetta correzione nell'insegnamento catechetico, avvengano altri ritocchi per altri insegnamenti troppo lontani dalla mentalità individualistica secolare, perché ancora troppo legati ai dettami della rivelazione.

Anche qui, presi da considerazioni molto individualistiche e umane, non ci si avvederà che la meta finale di tale mentalità potrà scivolare nel radicarsi dello snaturamento della Chiesa, nella rottura della successione apostolica e nell'invalidamento di ogni sua forma sacramentale. In breve: nella fine secolare della Chiesa in quanto istituzione globale e nella sua sopravvivenza in sparuti e dispersi gruppi.