598, luglio
Gregorio a Eulogio Patriarca e vescovo d'Alessandria.
La vostra beatitudine si è data cura di indicarmi che essa non scrive più, rivolgendosi ad alcuni, appellativi superbi, che nacquero dalla radice della vanità e mi parla usando l'espressione: "Come avete comandato". Questa parola di comando vi chiedo di tenerla lontana dal mio udito, perché so chi sono io e chi siete voi: per il posto che occupate mi siete fratello, per la condotta mi siete padre. Non ho comandato, ma ho cercato di indicare ciò che mi sembrava utile. Non riscontro però che la vostra beatitudine abbia voluto ritenere alla perfezione proprio ciò che ho presentato alla vostra memoria. Infatti vi ho detto che né con me né con alcun altro dovete scrivere qualcosa di simile ed ecco che nella intestazione della lettera che avete indirizzata a me che ve lo proibivo, vi siete curato di imprimere l'appellativo superbo chiamandomi Papa universale. Vi prego, la santità a me dolcissima non lo faccia ancora, perché si sottrae a uno ciò che si attribuisce a un altro più di quanto la ragione esige. Io infatti non cerco una grandezza fatta di parole, ma una grandezza morale. Né stimo essere onore quello per cui so che i miei fratelli perdono l'onore loro dovuto. Il mio onore è l'onore della Chiesa universale. Il mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Allora veramente sono onorato, quando non si nega l'onore dovuto a ciascuno di essi. Se infatti la santità vostra mi chiama Papa universale, nega di essere ciò che in me proclama di universale. Ma questo sia lungi da noi. Si allontanino da noi le parole che gonfiano la vanità, che feriscono la carità.
Certo, la vostra santità conosce bene che nel santo Concilio di Calcedonia e dopo dai Padri che seguirono, quest'appellativo fu attribuito ai nostri predecessori. Tuttavia, nessuno di essi volle servirsi di questa denominazione, affinché, mentre in questo mondo amavano l'onore dovuto a tutti i vescovi, custodissero presso Dio onnipotente, il proprio onore.
Quindi, mentre vi porgo i dovuti saluti, vi chiedo che nelle vostre sante preghiere vi degniate di ricordarvi di me, perché sia assolto, per la vostra intercessione, dai vincoli dei miei peccati che non riesco a cancellare con i miei meriti.
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La presente lettera, vergata da papa Gregorio magno è, assieme a qualcun'altra simile, una vibrata protesta nei riguardi di chi, allora, iniziava a chiamarsi "vescovo universale". Con quest'appellativo iniziò a fregiarsi il patriarca costantinopolitano, poiché Costantinopoli era politicamente la capitale dell'ecumene, ossia della terra universale allora conosciuta.
Un principio politico, dunque, si sovrapponeva ad una carica religiosa creando un ibrido, "il patriarca ecumenico" che, agli occhi di san Gregorio, è un'eresia. Il papa non accetta tale titolo neppure per sé (papa universale) perché comporta una giurisdizione su tutte le diocesi del mondo e lo fa sovrapporre (e quindi per lui fa annullare) la giurisdizione dei vescovi locali.
Ne evinciamo che per papa Gregorio il vescovo è signore e padrone nella sua diocesi e non può essere limitato da nessuna autorità. Il limite può giungere solo da un sinodo regionale o, più ampiamente, universale (concilio ecumenico) che con autorità dell'insieme della Chiesa stabilisce delle sanzioni per un vescovo locale. Così avvenne, ad esempio, nel caso di Ario o del patriarca Nestorio.
Gregorio sembra suggerire che la sua autorità entra in gioco solo quando è richiesta, similmente all'ecclesiologia orientale e come alcune testimonianze storiche del primo millennio ci indicano.
Un'autorità personale che prescinde dagli altri e impone se stessa è, dunque, inconcepibile per Gregorio poiché è alla base del titolo "papa universale" o "patriarca ecumenico". Questo vale sia per il papa di Roma sia per qualsiasi patriarcato.
Nella posizione di Gregorio si ravvede l'ecclesiologia antica delle "Chiese sorelle" apparentate dall'unica e medesima fede ma indipendenti le une dalle altre.
L'evoluzione storica ha, in seguito, portato all'emersione di alcuni centri importanti, poiché erano città politicamente importanti. Quei centri hanno lentamente modellato la concezione ecclesiale antica fino a determinare l'importanza del papato in Occidente e del patriarcato costantinopolitano in Oriente.
È bene sottolineare che è stata l'importanza politica di Roma e Costantinopoli ad aver fatto emergere queste due Chiese, non l'importanza apostolica con la quale la prima ha poi successivamente (ma piuttosto tardivamente) rivendicato il proprio primato.
L'esercizio di un magistero individuale sulla Chiesa universale non pare esistere nella mentalità di Gregorio che, perciò, non vuole essere "universale" per non togliere nulla ai suoi fratelli nell'episcopato: egli consiglia, non impone!
La storia ha in seguito lentamente modellato la concezione di Chiesa differenziandola, non senza resistenze, se si tiene conto di questa stessa lettera.
Oggi il ruolo individuale del papa è visto inscindibilmente con la Chiesa perché si è solidificata una certa mentalità con motivazioni teologiche.
In Oriente tutto ciò ancora non si è stabilito ma notiamo che da alcuni decenni nel patriarcato ecumenico è decollata, e oggi si è stabilita vigorosamente, una mentalità simile a quella del papa nel Cattolicesimo odierno.
Anche qui, come ai tempi di Gregorio Magno, sorgono resistenze ed opposizioni. Non c'è dubbio che Bartolomeo I sta operando una variazione nella concezione tradizionale di Chiesa nell'Oriente cristiano che, in buona sostanza, è simile all'antica.
Vedremo l'instaurarsi di una Chiesa papale orientale?
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I seguenti schemi aiutano a capire la situazione attuale che riserva delle sorprese. Sono semplificazioni ma sulla base d'incontrovertibili documentazioni storiche.
La presente lettera, vergata da papa Gregorio magno è, assieme a qualcun'altra simile, una vibrata protesta nei riguardi di chi, allora, iniziava a chiamarsi "vescovo universale". Con quest'appellativo iniziò a fregiarsi il patriarca costantinopolitano, poiché Costantinopoli era politicamente la capitale dell'ecumene, ossia della terra universale allora conosciuta.
Un principio politico, dunque, si sovrapponeva ad una carica religiosa creando un ibrido, "il patriarca ecumenico" che, agli occhi di san Gregorio, è un'eresia. Il papa non accetta tale titolo neppure per sé (papa universale) perché comporta una giurisdizione su tutte le diocesi del mondo e lo fa sovrapporre (e quindi per lui fa annullare) la giurisdizione dei vescovi locali.
Ne evinciamo che per papa Gregorio il vescovo è signore e padrone nella sua diocesi e non può essere limitato da nessuna autorità. Il limite può giungere solo da un sinodo regionale o, più ampiamente, universale (concilio ecumenico) che con autorità dell'insieme della Chiesa stabilisce delle sanzioni per un vescovo locale. Così avvenne, ad esempio, nel caso di Ario o del patriarca Nestorio.
Gregorio sembra suggerire che la sua autorità entra in gioco solo quando è richiesta, similmente all'ecclesiologia orientale e come alcune testimonianze storiche del primo millennio ci indicano.
Un'autorità personale che prescinde dagli altri e impone se stessa è, dunque, inconcepibile per Gregorio poiché è alla base del titolo "papa universale" o "patriarca ecumenico". Questo vale sia per il papa di Roma sia per qualsiasi patriarcato.
Nella posizione di Gregorio si ravvede l'ecclesiologia antica delle "Chiese sorelle" apparentate dall'unica e medesima fede ma indipendenti le une dalle altre.
L'evoluzione storica ha, in seguito, portato all'emersione di alcuni centri importanti, poiché erano città politicamente importanti. Quei centri hanno lentamente modellato la concezione ecclesiale antica fino a determinare l'importanza del papato in Occidente e del patriarcato costantinopolitano in Oriente.
È bene sottolineare che è stata l'importanza politica di Roma e Costantinopoli ad aver fatto emergere queste due Chiese, non l'importanza apostolica con la quale la prima ha poi successivamente (ma piuttosto tardivamente) rivendicato il proprio primato.
L'esercizio di un magistero individuale sulla Chiesa universale non pare esistere nella mentalità di Gregorio che, perciò, non vuole essere "universale" per non togliere nulla ai suoi fratelli nell'episcopato: egli consiglia, non impone!
La storia ha in seguito lentamente modellato la concezione di Chiesa differenziandola, non senza resistenze, se si tiene conto di questa stessa lettera.
Oggi il ruolo individuale del papa è visto inscindibilmente con la Chiesa perché si è solidificata una certa mentalità con motivazioni teologiche.
In Oriente tutto ciò ancora non si è stabilito ma notiamo che da alcuni decenni nel patriarcato ecumenico è decollata, e oggi si è stabilita vigorosamente, una mentalità simile a quella del papa nel Cattolicesimo odierno.
Anche qui, come ai tempi di Gregorio Magno, sorgono resistenze ed opposizioni. Non c'è dubbio che Bartolomeo I sta operando una variazione nella concezione tradizionale di Chiesa nell'Oriente cristiano che, in buona sostanza, è simile all'antica.
Vedremo l'instaurarsi di una Chiesa papale orientale?
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I seguenti schemi aiutano a capire la situazione attuale che riserva delle sorprese. Sono semplificazioni ma sulla base d'incontrovertibili documentazioni storiche.
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