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mercoledì 23 dicembre 2015

Entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio.


Porta della chiesa di san Ciriaco ad Ancona
Da altre parti di questo blog ho già parlato del formidabile valore simbolico che la chiesa-edificio ha per il cristiano che vi entra con l'intenzione di pregare Dio.

Bisogna tornare su questo tema e insistervi perché gli odierni tempi sono odiosi e tutto congiura contro le antiche e venerabili tradizioni con le quali da sempre si ha nutrito la pietà cristiana.

Dio abita ovunque, questo è assodato, nel senso che la sua presenza da vita e sostiene ogni angolo  remoto del cosmo.

Ma l'uomo è un essere fragile il cui spirito tende a disperdersi nei beni della terra e a dimenticare il Creatore. Per questo motivo esistono le chiese, ossia luoghi particolari nei quali si compie un culto a Dio, ci si ricorda della sua esistenza. Prescindiamo un attimo dal fatto che questo culto si è spesso corrotto ed è divenuto una kermesse, una rassegna spettacolare su sfondo religioso e con poco valore trascendente. Originalmente il culto cristiano non era così ma assolutamente teocentrico, totalmente dedicato alla gloria e alla venerazione di Dio. In una situazione del genere, l'animo umano inizia ad entrare in un'atmosfera trascendente, viene influenzato in senso elevante. La chiesa-edificio è costruita in funzione di questo: fare intuire la realtà ultraterrena nella bellezza degli arredi sacri, nell'armonia delle forme architettoniche, nella serenità dell'ambiente di preghiera, nel suo silenzio contemplativo.
È come essere di nuovo gestati nel seno materno, rinnovarsi nella forma autentica, riprendere vita nel “Dio che rinnova la giovinezza”.

La porta della chiesa-edificio è l'introduzione simbolica ad un nuovo mondo: prima di essa c'è la confusione della piazza, dopo di essa la pace del tempio che vuole anticipare il futuro celeste. Poco importa che oggi non si capisca il simbolo perché comunque sia lo si vive inevitabilmente!

L'uomo che si converte al Cristianesimo, cambia modo di vita. Ma per fare ciò, deve intuire la maestà di Dio, il suo sacro splendore, la percezione della sua grazia per dire in se stesso: “Tu esisti ma sono io a starti lontano, Signore, accoglimi e perdonami!”.

La pace del tempio celeste, simbolicamente presente nella chiesa-edificio diviene, allora, la pace del suo cuore.
Attraversare la porta della chiesa-edificio ha questo significato. 
A tal proposito oso paragonare la porta della chiesa-edificio ad un utero oltre il quale si è nel ventre materno, luogo fertile di vita. Da un certo punto di vista, siamo tutti esseri in formazione, gestati nel ventre della Chiesa.
Se sostituiamo tale significato con altri abbiamo rovesciato il Cristianesimo: scambiato Dio con la terra, la grazia con un'attività mondana, cancellato Maria ed esaltato Marta!

Apertura della porta santa
nella basilica vaticana (1925)
Il mondo cattolico nei suoi giubilei non a caso ha sempre considerato la cosiddetta “porta santa” in una delle porte basilicali o comunque in una chiesa consacrata al culto. A monte c'era questo concetto antico e tradizionale, per quanto il giubileo in se stesso sia investito di un valore teologico che non viene condiviso dalle Chiese orientali.
È comunque universalmene riconosciuto il significato pregnante nell'attraversare la porta di una chiesa-edificio e questo è assai importante.

Non a caso santa Maria l'Egiziana, prima di convertirsi al Cristianesimo e quando era ancora una prostituta, non riuscì ad attraversare la porta di una chiesa nella quale voleva entrare. Solo convertendosi fu in grado di farlo, non prima perché una forza invisibile la tratteneva fuori.
Personalmente sono portato a credere a questi fatti che l'uomo attuale confina in un universo mitico.

Per lo stesso motivo non capisco assolutamente perché si vogliono fare delle “porte sante” per entrare in ostelli della Caritas o in carceri (vedi qui). In questo caso, viene sfruttato un motivo religioso per portare le persone a considerare una beneficenza o una sensibilità sociale e questo li incolla letteralmente su un puro piano mondano. Il pretesto è religioso, il fine è prettamente mondano per quanto apparentemente evangelico.
Chi lo fa incatena lo sguardo dei cristiani al saeculum, sradicandosi dall'antica e verticale pietà con cui lo stesso salmista diceva: “Entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio” (Sl 25). Senza quell'antica pietà anche l'eventuale beneficienza cristiana non avrà nulla di diverso da una qualsiasi altra beneficienza mondana. Pare essere realmente questo il motivo per cui Cristo dice: "Chi non raccoglie con me, disperde!". E che il nostro sia un tempo di terribili dispersioni non ne ho alcun dubbio...


sabato 12 dicembre 2015

Gravità e compostezza comportamentali. Le grandi dimenticate.

Immagini ieratiche del tempietto longobardo di Cividale del Friuli
La liturgia tradizionale, che ha così fortemente influito sull'arte sacra occidentale e orientale, ha un modus essendi tale da orientare gli spiriti per cui le persone in essa hanno sempre assunto un comportamento composto e grave. Non s'intende un comportamento triste e depresso, perché ogni liturgia ricorda che Cristo, risorgendo dai morti, ha in sé anticipato la sorte futura degli uomini che lo seguono. Si parla di comportamento composto che non conosce le reazioni disordinate riscontrabili talora nella gente di piazza. 
La compostezza da me considerata non è un comportamento da Galateo. Sarebbe qualcosa di formale e di falso. Questa compostezza è un atteggiamento spontaneo che procede interiormente e nasce dal fatto di porre, prima di tutto, lo sguardo sulla propria interiorità nella quale Dio ama abitare con la sua grazia, come hanno sempre ricordato i grandi autori spirituali.
Dominare la passioni, secondo la cultura ascetica e monastica, comporta evitare sia la tristezza e la depressione sia il riso sguaiato, la frenesìa comportamentale (per cui sono sempre stati banditi balli e clamori da stadio) e l'ilarità clownesca.
La conoscenza di queste cose ha orientato generazioni di cristiani e di sacerdoti a tal punto che, non molto tempo fa, si eccedeva in senso contrario: la “musoneria” pareva essere il vero atteggiamento cristiano.
L'odio per le tradizioni e l'autorità, l'ignoranza e la diffidenza verso i sani principi ascetici, hanno prodotto recentemente diverse generazioni di cristiani e di clero in totale sfasatura dagli antichi orientamenti. Per la maggioranza di costoro, la parola d'ordine odierna è godersi la vita, come si riesce e come meglio si può. Il quaerere Deum è stato sostituito dalla ricerca di se stessi e del proprio comodo. In tal modo, lo sguardo si è spostato dall'interiorità all'esteriorità divenendo puramente mondano, psichico, antispirituale.
Il clero, ahimé, è la prima vittima di tutto ciò e il fatto di essere divenuto psichico come tutti lo rende di fatto inabile al suo ministero, appiattendolo ad una routine puramente formale ed esteriore.
In questo modo, chi ha un minimo di buon senso cristiano, riesce a riconoscere quasi dal primo istante se chi gli sta di fronte è persona di particolare profondità o meno. Non parlo di un'impressione superficiale ma di un'intuizione e sensazione interiore ricevuta dal proprio prossimo. La persona molto superficiale, sensuale, mondana mostra immediatamente la sua “carta d'identità” dal modo in cui guarda, sorride, si atteggia, si veste e muove il proprio corpo.
Allo stesso modo, indica da che ambiente proviene, serio o altrettanto facilone e superficiale. La Chiesa, intesa in senso profondo e autentico, non è mai rappresentata dai secondi ambienti ma dai primi anche se dovesse attraversare epoche nelle quali le persone serie sono quasi introvabili.
Questo modo di osservare le cose non è finalizzato ad un giudizio ingeneroso sulle singole persone ma ad un necessario discernimento per sapere con chi si ha a che fare, in modo da non affidarsi ingenuamente a chi non è in grado di guidare gli altri in senso profondo.

Pongo di seguito alcune immagini che renderanno più evidente quanto sto esponendo. Sono divise in due sezioni: clero con formazione tradizionale, clero con formazione antitradizionale. Il fatto di porre clero cattolico e ortodosso assieme, non significa che un chierico cattolico serio sia in tutto necessariamente uguale e interscambiabile con uno ortodosso. Significa che la base comune di una corretta compostezza è in entrambi osservata e nulla più.

CLERO CON FORMAZIONE TRADIZIONALE







L'imagine dello sguardo rivolto all'interiorità è particolarmente evidente in quest'ultima foto. Se un religioso non cura la propria interiorità (che non significa intimismo, perché quest'ultimo è qualcosa di psicologistico), non è un autentico religioso. La foto, infatti, ci indica qualcosa che va oltre la semplice compostezza mostrando la cosiddetta spiritualità.


CLERO CON FORMAZIONE ANTITRADIZIONALE


Il vitalismo pare essere il motore principale del clero attuale.
Il vitalismo, però, non è mai spirituale ma sempre psicologistico.


Il cardinale di New York, mons. Timothy Doland, tristemente noto 


Papa Francesco Bergoglio un "riformatore" destinato a fallire?


Il cardinale Karl Lehmann in una kermesse.

lunedì 9 novembre 2015

Autorità contro Tradizione



Non entrerò nella diatriba pro o contro Bergoglio, per quanto riporti una vignetta tratta da The Spectator che illustra il papa su una palla di demolitore, mentre sta distruggendo il poco che rimane. 

Non è che non abbia una precisa idea su di lui, ma voglio semplicemente cogliere quest'occasione per mostrare che l'impressione del papa distruttore (secondo me non priva di fondamenti) è possibile semplicemente perché l'autorità ecclesiastica è oramai concepita ben al di sopra della tradizione nell'indifferenza dei più, con l'opposizione di una minoranza e il favore di un certo numero di persone. 

Il fenomeno è avvenuto grazie ad un percorso plurisecolare, ad un'eterogenesi dei fini, si potrebbe dire, finendo per giungere a piena maturazione in questi ultimi tempi. 

Come gli epigoni della Scolastica facevano sorridere Erasmo da Rotterdam attirando le sue pungenti ironie, poiché l'ultimo piano dell'edificio teologico era oramai giunto a contraddire la base della rivelazione evangelica, così oggi la gerarchia ecclesiastica giunge a stravolgere la tradizione stessa con pindarici voli retorici. Epoca di decadenza allora, epoca di decadenza l'attuale. 

In un contesto ecclesiale in cui la tradizione non è servita ma relativizzata, conformata e riplasmata ogni volta dall'autorità di turno, è possibile ogni destabilizzazione e, personalmente, non mi ha fatto alcuno stupore che ciò potesse realizzarsi con Bergoglio, poiché ne avevo visto i segni già dopo due mesi del suo pontificato. 

Il fatto che dei cardinali non abbiano avuto alcun problema ad eleggere una persona che mettesse tra parentesi quanto rimane dei concetti tradizionali del Cattolicesimo (non a riformularli come avrebbero pensato i papi precedenti, ma a metterli proprio tra parentesi!) fa pensare che tutto ciò non è un incidente di percorso: oramai temo che quanto sta a cuore a molti gerarchi ecclesiastici cattolici non è la spiritualità, la teologia o la liturgia (neppure quelle cattoliche di un tempo) ma una politica di pura apparenza che attiri il plauso delle masse (il che suggerisce un possibile agnosticismo pratico). 

Che lo si ami o lo si avversi, Bergoglio è veramente il logico frutto del mondo cattolico contemporaneo con il suo bisogno vitale (od ossessivo?) di contemplare il papa nell'eventuale male o bene da esso fatto! È un mondo in cui il fenomeno apparente sostituisce l'essere inteso in senso profondo, il frastuono e la notizia sostituisce il silenzio e la discrezione, un mondo che riflette fedelmente la postmodernità e non potrà mai esserne alternativo, un mondo che ama mirarsi e rimirasi allo specchio ... 

Viceversa, la Chiesa, intesa seriamente, non dovrebbe essere una questione di papa, perché il papa dovrebbe essere solo un umile servitore della tradizione, non un capovolgitore di tutto, dando così effettivamente l'idea e la prova che la sua autorità è al di sopra di ogni cosa e che dovrà essere necessariamente ricordato per una decisione "rivoluzionaria" (= personalismo ecclesiastico!) in modo da superare il predecessore almeno in qualcosa (= orgoglio ecclesiastico?) ... Che contrasto, poi, quando davanti a tali evidenze si sentono discorsi nei quali il papa confessa di non essere un'autorità assoluta nella Chiesa poiché ascolta tutti, in primis le "periferie"! Le parole non possono smentire i fatti: le "periferie" se la pensano contrariamente al papa non avranno alcuna udienza! 

Una Chiesa nella quale si parla più di Cristo e meno di papa (o di un qualsiasi altro chierico responsabile, penso al patriarca nel contesto orientale) è una Chiesa sana, non divisa tra la Chiesa di Apollo, di Cefa e di Paolo (per ricordare l'esempio dell'Apostolo delle genti). 

Il riferimento corale alla tradizione dovrebbe bastare per rimanere attorno a Cristo e portargli la luce che gli si deve, una tradizione intesa come gli strumenti dell'artigiano per costruire un'opera d'arte. Ma, oramai, il termine "tradizione" è una scatola vuota per i più in Occidente o un baule nel quale alcuni vedono ogni sorta di ciarpame. Per giunta, chi fa riferimento ad essa è per Bergoglio un "fariseo" senza alcuna distinzione di sorta! 

E allora non rimane che il papa e questo è sufficiente a riempire il vuoto, mentre sempre più proiettori si accumulano su di lui come su un atteso redentore! Il silenzio contemplativo non può che essere sommerso da un impossibile stridulo ciarlìo. 

Oggi, in qualsiasi modo se ne parli, si parla veramente sempre e troppo di papa, contraddicendo lo stile parco tradizionale antico nel quale le gerarchie ecclesiastiche erano secondarie e in ombra di fronte a Cristo per i semplici fedeli! 

A parole questo papa vorrebbe "declericalizzare" la Chiesa, ma come può farlo se, a fatti, cade in uno dei più smaccati clericalismi al punto che il centro sempre più celebrato è ancora lui? 

Oggi chiedere un po' di silenzio è ormai impossibile. È come chiedere ad un drogato di smettere: tutto il contesto punta ad un accumulo e a un'insopportabile saturazione nella quale, bisogna dire, c'è ben poco di cristiano ...

mercoledì 4 novembre 2015

La contraffazione della Chiesa

La cronaca ci interpella sempre più. 

Non ha fatto a tempo a passare l'eco di mons. Charamsa, con le sue esplosive dichiarazioni su se stesso e sui gay in Vaticano, che scoppia un altro scandalo in cui si fanno rivelazioni a dir poco inquietanti (vedi qui e qui) (1).
Che sta succedendo? Ai più ingenui dico di non meravigliarsi: oramai il "sommergibile" ha oltrepassato la soglia di massima resistenza e sta sprofondando negli abissi. È normale che i punti più deboli inizino a saltare per l'insostenibile pressione a cui il tutto è sottoposto. Se la cosa continua così si può umanamente prevedere un'implosione dell'intero sistema. Infatti la caduta più prosegue più si accellera finendo per divenire evidente pure ai più distratti.

Sono passati oramai vent'anni quando, invitato gentilmente, fui ospitato nella casa di un giovane monsignore romano, ufficiale vaticano. Già allora, guardandomi attorno, mi chiedevo: "Questa è la casa di un sacerdote? Casa mia, in confronto, lo è mille volte di più!". E, noto, casa mia non è certo una chiesa! Non discuto sull'amabilità e la correttezza della persona ma già allora notai che il suo ambiente non aveva nulla di devoto, di religiosamente pregnante. Pensavo fosse un caso isolato. No: era uno dei molti!

Un clero "allevato" in prospettiva della carriera o dell'apparenza, sempre più tiepido dal punto di vista religioso, che impara le "cose della fede" sui libri e non nella vita, come può affrontare la postmodernità? Non la affronta affatto perché vi si adegua!
In questo modo la "dolce vita" diviene lo stile esistenziale di costoro.

La mia osservazione, però, non è di tipo moralistico ma va molto più in là: la mancanza di una profonda vita religiosa porta inevitabilmente il clero a non avere alcuna esperienza religiosa, dunque a non poter minimamente consigliare o dirigere chicchessia. Questo clero non può pretendere di farlo con i manuali di casuistica morale, come succedeva nel periodo barocco nel Cattolicesimo controriformista (2). Ecco perché i sognatori dell' "ordine tridentino" - certi tradizionalisti cattolici - sono semplicemente patetici (oltre che passatisti), dal momento che pretendono di risolvere problemi di tipo spirituale facendo leva sulla legge e sull'istituzione. Ma il consiglio e la direzione spirituale non può avvenire neppure in chi si muove con spiritualità impazzite o di stampo settario.

Viene amaramente da sorridere se si pensa che, giusto ieri, il sinodo vaticano sulla famiglia si è chiuso con un invito a "giudicare" caso per caso, ad esercitare un "discernimento spirituale" nei fedeli che vogliono accostarsi ai sacramenti ma ne sarebbero impediti per lo stato personale in cui si trovano (divorziati e risposati).
Che discernimento spirituale può mai fare un clero che è sempre più agli antipodi della spiritualità, che non pratica ma anzi ridicolizza l'ascesi, un clero che continua ad incamerare tra le sue fila di tutto? La spiritualità, infatti, non si impara sui libri ma si pratica di persona ed è una tradizione che passa da padre a figlio. Quando mai esiste qualcosa del genere dalle nostre parti, dal momento che i monasteri stessi, che dovrebbero avere questa tradizione, sono secolarizzati come il clero? E come poterla praticare quando l'istituzione cattolica stessa ha di fatto abolito i digiuni e ha una pratica di preghiera ridotta all'osso con una liturgia più che scheletrica dalla quale è stato di fatto espunto ogni benché minimo senso di compunzione?

Se lo si ricorda le persone più in mala fede rispondono: "La spiritualità, i monasteri e le lunghe liturgie sono cose orientali, la nostra è una tradizione diversa". No! Queste non sono cose orientali, questo è il Vangelo di Gesù Cristo oltre ad essere la tradizione antica della Chiesa deridendo la quale ci si pone ipso facto fuori di essa.

Tutto ciò è molto grave perché l'andamento di questi fatti dimostra, nella pratica, che si sta imponendo sempre più una "contro-Chiesa" in Occidente e che tale "contro-Chiesa" sta sostituendo o contraffacendo l'immagine della vera Chiesa. Con le parole si copre tutto e si giustifica tutto, si danno le colpe agli "altri" e non si va mai al nodo dei veri problemi che si ingigantiscono sempre più perchè i vescovi per primi non li vogliono risolvere. Che ci stanno a fare, i vescovi, dunque? Sono tali solo per gli onori e per accumulare titoli e soldi? 

Si devono fare, pure, altre domande nei riguardi di chi, in Occidente, si pone gerarchiamente al di sopra di loro.
Che significato ha la santità di tutti quei papi del postconcilio quando, proprio sotto di loro, la deriva ecclesiale non solo non è stata frenata ma si è pure fortemente accellerata? Sembra che averli canonizzati sia stato il patetico tentativo di nascondere questa luminosa verità, la loro sterilità spirituale che tale è, indipendentemente dalle loro probabili buone intenzioni.

È lecito porsi tutte queste domande, non per incitare ad un amaro zelo o per odiare chi sbaglia, sia mai!, non per avere necessariamente delle risposte, ma perché sarà la storia stessa che, o prima o poi, porrà in evidenza tutto ciò in tutta la sua eloquenza e drammaticità. 

Tutte queste contraddizioni e contrasti tra ciò che si dice e ciò che si fa indicano, infatti, una realtà ecclesiale sempre più distante dal Vangelo e che al Vangelo non pensa affatto di ritornare. Il suo cuore è altrove ...

Contra factum non valet vaticanum aut jesuiticum argumentum!

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1) Una fra tutte tratta dalla stessa pagina da me appena citata: "Lo IOR gestisce 4 fondi di carità ma nel 2013 e nel 2014 neppure un euro è andato ai bisognosi o alla solidarietà nonostante saldi in attivo per decine di milioni di euro". Non serve essere particolarmente acuti per capire come vanno le cose nell'oltre Tevere!

2) Chi usa un manuale per capire la vita spirituale è come una guida alpina che conosce le montagne solo dai libri: inaffidabile! Ciononostante, soprattutto al clero meno istruito la Chiesa barocca dava istruzioni scritte su come confessare, su quali penitenze assegnare a determinati peccati, ecc. Esisteva una specie di elenco di peccati ai quali corrispondevano le preghiere e le penitenze per il penitente. Questa mentalità meccanicistico-legale ha influenzato per anni il mondo cattolico e lo ha determinato, ultimamente, a rifiutare ogni approccio ascetico scambiato erroneamente con un'imposizione legalistica. In chi vive in quest'ambito è realmente molto difficile un autentico recupero della tradizione ascetica antica senza passare, da un lato, a riproporre la mentalità legalistica barocca e, dall'altro, a rifiutare rigidamente ogni genere di ascesi. 
Se i secondi sono oramai espressione del mondo riformato, i primi possono pure giungere a praticare forme ascetiche impazzite, veramente patologiche e che la tradizione ecclesiale antica non a caso ha sempre rifiutato. 

Ne faccio un esempio tratto da una testimonianza scritta: [I superiori religiosi mi dicevano] "Ti devi fare santa. Mangiavamo la cenere nei pasti e spesso lo facevamo in ginocchio ... La sera ci frustavamo con la disciplina, uno strumento con delle punte di ferro. Mentre lo facevamo dovevamo pregare e gli schizzi di sangue imbrattavano i muri. Portevamo anche un cuore fatto con dei chiodini. Lo mettavamo a contatto con la pelle. Io mi sono anche marchiata a fuoco due volte" (vedi qui). 

Questa non è un'espressione di Chiesa ma un vero e proprio manicomio, una psicopatologia settaria molto pericolosa per chi ne viene a contatto! Ma in Occidente, purtroppo, è forte la tentazione di cadere o nell'agnosticismo spirituale o nel fanatismo del tipo sopra descritto. Entrambi sono un'espressione contraffatta della Chiesa neotestamentaria.


mercoledì 30 settembre 2015

Perché pregare in chiesa?

Se prego mi va bene qualsiasi ambiente – dice la gente comune – perfino la strada”. Con quest'opinione, assai diffusa, si pretende di fare a meno delle chiese, in quanto edifici, e spesso il clero nell'Occidente cristiano le trasforma in sale di riunione o in auditorium per spettacoli di varia natura.
Come al solito è necessario tornare al vangelo per ricomprendere la ragione di antiche scelte. Riporto un brano tratto dal vangelo di san Matteo:

«Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa» (Mt 6, 5-6).

Il punto centrale di quest'insegnamento è il “tornare in se stessi”, l'interiorizzare la preghiera, evitando di trasformarla in manifestazione puramente esteriore. “Entra nella cameretta”, ossia entra in uno spazio chiuso che ti protegga, in un luogo appartato e lontano dai clamori della piazza (non si può mai veramente pregare in uno stadio o in una piazza!).
Il movimento monastico primitivo comprese ben presto questo passo come un vero e proprio esercizio per interiorizzare la preghiera affinché divenisse quei “fiumi di acqua viva” ai quali fa riferimento lo stesso evangelo. Per interiorizzarla non di rado gli asceti antichi sceglievano piccoli rifugi nella roccia, piccole caverne. Una del genere è conservata in un monastero tra i monti, in Grecia, ed è qui che si ritirava a pregare san Gregorio Palamas (XIV sec.). La piccola grotta è formata da due stanze: nella stanza d'ingresso si sente la cascatella di un fiume adiacente ma, subito dentro, si apre una stanzuccia nel cuore stesso della roccia dove, nel silenzio più assoluto, l'esercizio della preghiera può essere fatto con particolare frutto (1).

Questi non sono che mezzi per riuscire a fissare la preghiera nel cuore, come dicevano i monaci allora.
La chiesa, non diversamente da una stanzuccia, deve avere caratteristiche particolari per permettere l'intimità della preghiera e dev'essere contraddistinta dal silenzio (quanta differenza con diverse chiese di costruzione moderna, dove oramai è palesemente persa questa coscienza ascetica antica!). La chiesa, nei suoi elementi esterni ed interni, deve aiutare le persone in tal senso. Perciò la chiesa non è un semplice luogo in cui, osservando le realizzazioni artistiche in essa presenti, si ha un insegnamento religioso. La chiesa è molto di più ed è indispensabile per la vita cristiana come il cappotto è indispensabile per coprirci dal freddo.
La chiesa non è tanto il luogo del "bello" (quando c'è!) quanto il luogo del "vero" da sperimentare nel cuore (questo è lungi dall'essere capito!).
Non a caso un monaco non ne può rimanere senza e pure l'eremita ha, nella sua casuccia, una stanza adibita a cappella.
La chiesa – in quanto edificio – aiuta a far crescere l'interiorità come la mensa aiuta a sostenere e a far crescere il corpo. Questo dovrebbe essere chiaro ma purtroppo non lo è affatto. A che livello siamo scesi è presto detto.

Un mese fa nella mia città è stato organizzato un evento: erano presenti diversi chioschi con cibi, manufatti e associazioni. Tra essi spiccava il chiosco della Protezione Civile, quella stessa che, nel terremoto friulano del 1976, ha fornito un'organizzazione efficiente per la rinascita della regione colpita.
Il chiosco aveva uno schermo sul quale si proiettava la storia della Protezione Civile. Ad un certo punto, si mostrava il terremoto del 1976 e, tra le altre cose, si scriveva:

«Un terremotato confidò il suo senso di rinascita [sic!] e, rivolgendosi ad un sacerdote, gli disse: “Padre, non inizieremo mica la ricostruzione dalle chiese? Se voglio pregare lo faccio anche per strada! Prima il lavoro!”».

Nello stesso periodo, o poco dopo, l'allora arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, sembrava aver colto la "lezione" del terremotato e tuonava dal pulpito: «Costruiamo prima le case, solo dopo le chiese!».

Queste frasi, anche dopo diverso tempo averle lette, non mi convincevano affatto. Pure nel periodo in cui non avevo alcuna reale formazione religiosa vi percepivo forzature, anomalìe e stranezze. Oggi vi rinvengo un inquietante rovesciamento simbolico. Inutile dire che la maggioranza del clero, già allora, era ben protesa a conformarsi al secolo (2). Un arcivescovo con un maggiore senso e profondità evangelica avrebbe detto: «Costruiamo le case con le chiese».
Mons. Battisti morì pochi anni fa e un amico mi confidò che, andandolo a trovare, sentì dalle labbra dell'anziano arcivescovo amareggiato: «Ho sbagliato molte, troppe cose!». Troppo tardi!

Dunque, già negli anni '70 si manifestava chiaro lo spirito oggi prevalente nel mondo cattolico. Perciò quando iniziai a sentire alcune originalità dalla bocca di papa Bergoglio non me ne meravigliai più di tanto: per me era un dejà vu! Quella mentalità secolaristica che allora affascinava solo il basso clero e alcuni vescovi nel frattempo ha terminato la sua scalata gerarchica conquistandone chiaramente l'apice!

Le frasi riportate hanno impostazioni evidentemente antropocentriche, sottolineano molto l'importanza dell'uomo e del suo mondo secolare e lasciano completamente sullo sfondo le esigenze evangeliche. Per giunta, da allora non ho mai visto una volta, che sia una, qualcuno che, come sosteneva il terremotato, pregasse per strada (in Grecia, al contrario, lo si nota, quando s'incrocia qualche monaco con in mano il komboskìni, anche se oramai è raro pure lì) (3).
In compenso le chiese, costruite ben dopo le case in Friuli, non mi pare abbiano gente particolarmente accalorata nella preghiera! Vi riscontro un pauroso calo di frequenze.

La cosiddetta vita religiosa e liturgica è ridotta meno che al lumicino e non c'era da aspettarsi altro visti i presupposti, dal momento che l'umano in quanto tale deve sempre precedere e mai accompagnare ed essere illuminato dal religioso il quale finisce, così, per languire e morire.

Ben altra mentalità si nota nel salmo 5, 8 che dice:

«Ma io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio» (4).

Vi rinveniamo un atteggiamento che sicuramente pure gli apostoli ebbero, prima della loro disseminazione nel mondo, quando praticavano il tempio di Gerusalemme.
Oggi, però, non è più così perché è stato tutto capovolto.

Che altro dobbiamo vedere per ammetterlo finalmente? 

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1) Affiora alla mia memoria il caso di un pio sacerdote il quale, in ritiro presso un santuario, praticava la preghiera in luoghi simili a quelli di Palamas (forse era Monte Berico o qualcosa del genere). Inutile dire che era preso per i fondelli dai suoi confratelli e dai religiosi stessi. Successe più di vent'anni fa. Nel frattempo anche quelle località e le persone si saranno ulteriormente "aggiornate".

2) "Cosa possiamo imparare dal mondo?" si chiedevano alcuni seminaristi di allora oggi professori.

3) Nel mondo mussulmano è cosa normale sgranare una specie di rosario per recitare i nomi di Allah. Perfino nella Turchia laicizzata odierna lo si vede un po' ovunque e a farlo sono spesso gli uomini più delle donne.

4) Il timore religioso si associa sempre al senso del sacro. Entrambe le cose sono oggi fortemente avversate dal clero cattolico. Senza timore evangelico, però, non si può avere reale fede poiché il timore è, in un certo senso, la "benzina" della fede. La domanda sorge spontanea: che fede hanno questi signori?

domenica 10 maggio 2015

Dispotismo clericale e tradizione ecclesiale

Innocenzo III, il papa dal cui petto sgorgava
la fonte di ogni diritto sulla terra.
Με πολλή αγάπη και παρρησία.


Non è per un banale gusto di gossip che ho riportato i dolorosi fatti nel post precedente ma per mostrare un fenomeno che, sinceramente, mi sta allarmando: l’aumento del dispotismo clericale nella Chiesa.

Per poterci bene intendere, devo spiegare cosa intendo per “dispotismo” clericale: è quella situazione in cui un superiore ecclesiastico decide su tutto non ascoltando nessuno e volendo avere sempre ragione. È stato giustamente rilevato che proprio queste sono le caratteristiche dello “psicorigido”, di colui, cioè, che sia nella vita professionale che in quella personale pone grossi problemi agli altri, poiché manifesta una sostanziale incapacità di relazionarsi. Un interessante articolo francese mostra come lo “psicorigido” provenga da un’infanzia e un’adolescenza nella quale nessuno lo ha mai contraddetto ed è stato sempre portato sul palmo della mano dai propri genitori. Proviene, in buona sostanza, da una mancanza di reale educazione la quale ha contribuito a gonfiare all’estremo il suo egocentrismo [1].

Un vescovo, proprio perché “bocca e maestro” della Chiesa locale, non può essere un egocentrico, incapace d’interagire positivamente con il gregge affidatogli. Se è uno “psicorigido” la storia non lo ricorderà come un buon vescovo, anche se fosse teoricamente animato dalle migliori intenzioni.

Parlando del ruolo di un vescovo non possiamo prescindere dal tipo di Chiesa nella quale egli offre il suo servizio. Generalmente esistono due modelli di Chiesa:

a) quello occidentale-latino e
b) quello orientale.

Non consideriamo le comunità ecclesiali uscite dalla Riforma luterana per l’ovvio motivo che non sempre vi figura la presenza di un vescovo e che la struttura ecclesiologica di tali realtà ha subìto molte variazioni, talora assai radicali, rispetto alle prime due.

a) È usuale credere che il tipo occidentale (cattolico) di Chiesa come lo conosciamo oggi sia sempre esistito. È un errore. Già in altri post ho accennato che l’assetto odierno, per quanto non radicalmente nuovo rispetto a quello antico, si sia imposto poco per volta e, soprattutto, con l’emergere e il predominare dei chierici a partire dall’ultima parte del Medioevo. Il predominio del monachesimo, che contraddistingueva la Chiesa latina fino a tutto il basso medioevo, non prevedeva una forte presenza clericale. Esso sottolineava maggiormente gli aspetti carismatico-spirituali del Cristianesimo, al punto che un semplice monaco o addirittura una abbadessa divenivano rierimento per molti. Al contrario, il predominio dei chierici nella Chiesa, dalla fine del medioevo, anche grazie al vuoto lasciato loro dal mondo monastico in crisi, ha cominciato a introdurre lentamente delle novità. 

Tanto il modello clericale si appoggia sulla contemplazione e sulla fuga dal mondo, tanto il modello clericale si appoggia sull’uso della ratio e su una presenza sempre più attiva nel mondo. Il passaggio ha inevitabilmente portato l’accento dal carisma spirituale ad una visione istituzionale, regolamentata da precise leggi canoniche.

Vorrei precisare che sia monaci sia chierici, in una visione equilibrata, sono entrambi espressione della Chiesa, per cui non dovrebbe esistere un contrasto o un’opposizione tra contemplazione e ragione, tra fuga mundi e presenza mondana (fintanto che questa rimane discreta e non sia trionfalistico-imperiale), tra spiritualità e legge canonica. Sta di fatto, però, che non raramente si è giunti a sostituire la prospettiva clericale a quella monastica.

Lo vediamo chiaramente oggi in cui, se si evoca la spiritualità, molti non ne capiscono la ragione e la interpretano come un disimpegno verso il mondo nel quale è, al contrario, necessaria una forte presenza.

Nel modello occidentale, in cui trionfa la presenza clericale, è molto facile che l’autorità divenga autoritarismo. Questo è senz’altro segnale di una rottura di equilibri nella Chiesa e ciò avviene quando la spiritualità si è oscurata e la legge canonica sembra l’unica cosa concreta con la quale si spiega e si regge la Chiesa stessa. Passare dall’indifferenza all’incomprensione per terminare nellaperta opposizione al monachesimo è, qui, assai logico. Una Chiesa nella quale il monachesimo langue o è seriamente alterato è, dunque, una Chiesa clericalista!

In una realtà sifatta l’imposizione dell’autorità è un bisogno, l’unico vero bisogno per poter governare la Chiesa. È qualcosa che non si può non constatare. Ecco perché, in piena epoca romantica è stato necessario ribadire l’autorità ecclesiastica nel concilio vaticano I contro il pensiero agnostico-liberale anticristiano. I cristiani in questo contesto, non vedono il predominio dell’autorità come un eccesso o uno squilibrio ma come l’unico modo con cui la Chiesa può proteggere la verità rivelata. Essi credono che, praticamente, i chierici sono automaticamente  (o magicamente?) assistiti e garantiti dalla “grazia di stato” per cui non resta che obbedire loro.

Personalmente noto che in questo caso siamo dinnanzi ad un pericoloso piano inclinato dove l’autorità può facilmente scivolare in autoritarismo. 

Un buon vescovo farà certamente appello al suo buon senso e al suo cuore per non scivolare ma, se vuole fare il contrario, ha campo libero ed ha, addirittura, delle garanzie che ne proteggono l’azione: il diritto ecclesiastico occidentale è dalla sua parte. Infatti, nel consiglio presbiterale, il vescovo può benissimo decidere contro tutti e addirittura a svantaggio della Chiesa, motivandolo positivamente e facendo leva semplicemente sulla sua autorità. L’autorità, in questo caso, corre il terribile rischio di divenire fine se stessa!

b) In Oriente c’è una storia completamente diversa (con eccezioni in qualche patriarcato). Qui la Chiesa tradizionalmente è intesa come “chiesa di popolo”, non tanto come “chiesa di chierici”. Questa visione tradizionale nasce dal fatto che il popolo è ritenuto custode delle tradizioni ecclesiastiche [2]. Il tesoro della Chiesa, espresso nelle sue tradizioni, non è qualcosa che riguarda solo il clero ma tocca (o dovrebbe toccare) realmente tutti. I monaci, di solito, sono quei “laici impegnati” che sensibilizzano il popolo in tal senso.

Vorrei osservare che questa sensibilità orientale non era peculiare solo alla Chiesa bizantina ma, anticamente, la si riscontrava in ogni Chiesa, pure in quella occidentale quando il ruolo monastico era predominante.

In questa prospettiva il vescovo che cura la sua Chiesa, senza venir meno alla sua fondamentale funzione di capo e bocca della Chiesa locale, si deve necessariamente confrontare con i suoi fedeli che, con lui, custodiscono la tradizione e, ognuno a suo modo e nella sua forma, la trasmettono. Se non c’è questa sinergia di forze, si è rotto un equilibrio e viene meno la tradizione ecclesiale, intesa come trasmissione di un ethos dogmatico e spirituale allo stesso tempo.

L’Occidente ha avuto la sua storia, inevitabile e travagliata, nella quale, volenti o nolenti, i chierici hanno assunto la quasi totalità del comando nella Chiesa. Questo non ha necessariamente creato situazioni negative ma, essendosi imposto un nuovo assetto, in non pochi casi lo ha potuto realizzare più facilmente: una Chiesa di fatto di soli chierici e con un popolo passivo scivola nel clericalismo, ossia in una malattia mortale, in cui tende a predominare il formalismo e si azzera progressivamente la spiritualità. In tutta la storia religiosa occidentale si nota, soprattutto negli ultimi secoli, un continuo braccio di ferro tra chi altera la Chiesa con il clericalismo e chi cerca di riequilibrarla con una visione religiosa più sana. I primi, però, tendono sempre più a prevalere, a ricavare uno spazio sempre maggiore per loro stessi: “privilegia sunt amplianda, odiosa restringenda!”, si dice a Roma, e questo non può non estendersi al potere dei chierici sulla totalità della Chiesa.

L’Oriente ha proseguito l’assetto antico, con accentuazioni differenti da luogo a luogo ma con una base comune: i chierici hanno un posto importante nella Chiesa ma non possono far finta che i laici non esistono e non possono sentirsi “padroni” della Chiesa. Ad esempio, un vescovo di non ottima fama può non venire accolto in cattedrale, quindi può non prendere possesso ufficiale della diocesi poiché il popolo può impedirglielo. A quel punto, non gli resta che ritirarsi. Certamente anche questa procedura può prestarsi ad abusi e avere i suoi lati negativi (uno tra tutti la reale difficoltà a “mettere ordine” tra contrastanti voci). Il pregio è che, ordinariamente, tende ad impedire il dispotismo clericale, ossia il comando arbitrario di uno su tutti.

Ecco perché, laddove il dispotismo cerca d’imporsi, suona infinitamente più antitradizionale e stonato rispetto all’Occidente.

Chi cerca di proporre in buona fede una condizione che può introdurlo, a volte cade in situazioni quasi patetiche e tragicomiche.
Ad esempio, ricordo un corso accademico tenuto da un docente greco. Costui tentava di porre sullo stesso piano i pronunciamenti cristologico-dogmatici di un concilio ecumenico e quelli relativi all’ecumenicità della Chiesa di Costantinopoli, come se le due cose avessero la medesima importanza.

Il 28° canone del Concilio ecumenico di Calcedonia (451) stabilisce i privilegi della Chiesa di Costantinopoli, dal momento che questa risiede nella nuova capitale imperiale [3]. I privilegi che porteranno il suo vescovo a fregiarsi con il titolo di “ecumenico”, ossia universale, sono legati ad un contesto storico che, con il tempo, è divenuto tradizione ecclesiastica.

Se la capitale imperiale fosse stata a Milano e vi fosse rimasta, questo ruolo lo avrebbe senz’altro avuto il vescovo di tale città, poiché allora l’ordine ecclesiastico si modellava sull’ordine amministrativo dell’impero romano [4].

Questa tradizione ecclesiastica, dunque, non si radica assolutamente in un dogma o nella rivelazione come, invece, si è imposto in Occidente con la figura del papa. Il fatto di volerlo quasi rivendicare e di agire come se lo fosse è totalmente antitradizionale, in Oriente, e ha qualcosa di disperato e di patetico allo stesso tempo [5]; è come essere davanti alla possibilità di unestrema rovina per cui, questo modo puramente umano, sembra l’unica via per poter conservare ancora qualcosa. Fatte le dovute distinzioni è come vedere limperatore Giovanni VIII Paleologo tentare il tutto per tutto pur di salvare il pochissimo che restava dell'impero bizantino. È un atteggiamento che atterrisce e stringe il cuore!

Conosco e ho visitato più volte il Fanar, la sede patriarcale costantinopolitana, posso dire di avere amore per quest’antica reliquia dell’impero bizantino ma, oggettivamente, la deriva autoritaristica che sembra sempre più caratterizzarlo (e tende ad influenzare le realtà ad esso legate) mi preoccupa molto poiché non è affatto un segno positivo. Ovviamente queste mie impressioni non sono puramente personali perché sono confortate anche da fatti precisi e puntuali. 

Sarebbe totalmente errato interpretare queste mie analisi come un atteggiamento nemico, poiché sono oggettive ed evidentissime a molti che hanno la libertà e la possibilità di vederlo [6]. Vedere qualcosa che pare sotto molti aspetti essere il sintomo d
una malattia grave, significa, forse, odiare chi si pensa esserne affetto? No affatto e, anzi, è sicuro segno del contrario! Invece dire che tutto va bene e che non è mai stato così splendido, potrebbe essere il peggior servizio da farsi in una Chiesa con problematicità. Le parole servono per descrivere la realtà, non per contraffarla anche perché la realtà stessa o prima o poi s’impone all’evidenza di tutti e i vuoti non potranno mai essere riempiti dal caos delle parole.

L’autoritarismo nella Chiesa è dunque sempre qualcosa di negativo, che accada in Occidente o in Oriente. Oltre a polarizzare l’attenzione dei fedeli solo su un ruolo istituzionale, di fatto rende quest’ultimo l’unica cosa importante. Chi si appoggia sull’autoritarismo finisce per essere sordo alle voci nella Chiesa, finendo per non capire più la famosa raccomandazione di san Benedetto all’abate nella sua Regula, secondo la quale lo Spirito potrebbe parlare anche all’ultimo del monastero, ragion per cui il superiore deve porvi attenzione.

Con l’autoritarismo si realizza perfettamente quello che un chierico cattolico tradizionalista in un empito di sincerità mi confessò: “La Chiesa è solo il papa e i cardinali e nessun altro!”

Ma se, almeno teoricamente, il Cattolicesimo non accetta queste affermazioni, questa grottesca caricatura di Chiesa, quanto più grottesco diviene il mondo ortodosso se, nonostante tutto, alcuni sono tentati di seguire la via dell’autoritarismo!

Questo, poi, non tiene affatto conto della realtà odierna in cui se le persone si avvicinano alla Chiesa cercano generalmente un rapporto autentico e diretto con Dio, non una sottomissione passiva ad una gerarchia che, nell’autoritarismo, tende a perdere il contatto con Dio ed è sempre più a digiuno di spiritualità [7].

Non è dunque un caso che la Regula di san Benedetto nella scelta dell’abate, ossia dell’autorità nel monastero, vuole un candidato con santità di vita e cultura spirituale, anche se fosse l’ultimo della comunità. Oggi in Occidente per quanto riguarda i vescovi non è quasi più così e questa “moda” inizia ad essere seguita anche nell’Oriente cristiano. Chi sceglie i vescovi non si pone tanto la domanda È una santa persona?, quanto “Sarà di vantaggio alla struttura?. Di conseguenza sceglie.

I danni che si generano sono immensi, tali da fare affondare il Cristianesimo stesso, nella generale spensieratezza narcisistica di molti suoi chierici che manco si rendono conto della posta in gioco. I gradi clericali sono visti, da costoro, come medaglie al petto, non come la pesante responsabilità di mantenere, nella Chiesa, la profezia e la libertà dello Spirito, il suo autentico ethos evangelico e patristico.


Note

[1] Alexandra Durand, Comment vivre en harmonie avec un psychorigide?, in Téléseptjours, 24-30 mars 2012, p 1. L’articolo è in linea in questo link.

[2] Vedi, ad esempio, la lettera inviata dai patriarchi ortodossi in risposta alla lettera agli orientali di papa Pio IX (1848): “Il protettore della religione è lo stesso corpo della Chiesa, persino il popolo stesso, che desidera che la loro religiosa adorazione sia sempre immutata e della stessa specie che quella dei loro padri”. Per una visione del carteggio tra Pio IX e i patriarchi orientali vedi qui.

[3] Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’istituto per le scienze religiose, EDB, Bologna 1991, p. 99.

[4] Lo stesso Concilio Ecumenico ricorda il ruolo importante del papa di Roma nella Chiesa poiché Roma era l’antica capitale imperiale. Se, al tempo in cui si redisse tale concilio fosse stato chiaro a tutti e universalmente accettato che il potere papale era universale in quanto appoggiato su san Pietro, non vedo perché il Concilio non avrebbe dovuto registralo. Invece lo omette, segno che quest’interpretazione è senz’altro posteriore al Concilio stesso. Storicamente parlando, non dobbiamo dunque proiettare nel passato dati che si sono manifestati chiaramente solo posteriormente.

[5] Nella stessa logica si pone chi definisce il patriarca ecumenico "vertice dell'Ortodossia", affermazione totalmente falsa! Nella ecclesiologia orientale non esiste alcun "vertice" umano poiché esso è solo Cristo. Il patriarca ecumenico è un coordinatore, un ecclesiastico eminente che, in casi particolari e solo su invito, può entrare negli affari di un altro patriarcato per cercare di risolverli. L'idea di "vertice" comporta automaticamente l'idea di un verticismo ecclesiastico piramidale, cosa assolutamente antitradizionale in Oriente nel quale, al contrario, si ha da sempre insistito sull'aspetto comunionale e sulla parità dei vescovi tra loro. È molto strano e paradossale che chi critica il papato come "impedimento" all'unione delle Chiese, poi ne imiti alcune caratteristiche. Si può rinvenire questa definizione totalmente errata qui e qui. Tuttavia, dal momento che chi propone questi concetti non lo fa a caso, si può supporre che provengano direttamente dall'alto e dal patriarca stesso.

[6] Rimasi assai stupito quando scoprii che, se un metropolita del patriarcato costantinopolitano vuole ordinare al sacerdozio un candidato, deve attendere il benestare del santo Sinodo fanariota. Una cosa del genere non avviene neppure nel mondo cattolico, che pure ha un forte senso di accentramento delle istituzioni! D’altronde un esame di queste cose, facendone emergere l’atipicità rispetto al resto del mondo ortodosso, lo si nota anche in un articolo scritto in greco Ετσι θα εκλεγεί ο επόμενος Αρχιεπίσκοπος Αμερικής e visibile qui. Riporto la traduzione italiana di un suo piccolo passo che riguarda la facoltà totale di disporre da parte del Patriarca (in questo caso nell’eleggere l’arcivescovo greco-ortodosso d’America):

“Ecco come sarà eletto il prossimo arcivescovo d’America […]. Mostro la tesi secondo la quale l’elezione dell’arcivescovo d’America costituisce un privilegio del Patriarcato Ecumenico per la semplicissima ragione che l’Arcivescovado è una delle sue province ecclesiastiche. Se il trono arcivescovile diviene vacante, il Patriarca Ecumenico convoca il santo Sinodo del Fanar, costituito da 12 vescovi di cui lui è il presidente, che elegge l’arcivescovo d’America. Per quanti conoscono la situazione mi limito semplicemente a un accenno e per coloro che non la conoscono informo: sarà eletto colui che proporrà e porrà innanzi il patriarca Bartolomeo. Le cose sono chiare! Quanto si dice sulla libera scelta, sulla concertazione tra i membri del Sinodo e sull’effusione dello Spirito santo, non sono che espressioni formali, vuote di contenuto, poiché è noto a tutti che al Fanar il dogma in vigore è ’un solo uomo ha tutto il potere’. Questo significa che il Primate come si dice abitualmente, ossia il Patriarca fa quel che vuole, come vuole e quando lo vuole”.

Senza nulla togliere alla mia venerazione per questo antico centro storico cristiano, non posso non vedere, in questo suo attuale sistema, un rischio non remoto di autoritarismo e il pericolo di scadere in un sistema rigidamente autoreferenziale, totalmente isolato dalla vera realtà della Chiesa. Non serve essere profeti per immaginare che, a lungo andare, le conseguenze potrebbero essere mortali esattamente come in tutti i sistemi totalitaristi.

A questo punto, mi viene in mente una parte del Polychronion che si canta nella liturgia patriarcale del Fanar. In esso, oltre ad augurare i molti anni al Patriarca, lo si definisce “Signore e Padrone nostro. Ora, che lo si definisca Signore lo posso capire, dato che la liturgia cristiana è stata influenzata dalla prassi della corte imperiale (nonostante per san Paolo si dovrebbe chiamare “Signore uno solo: Gesù Cristo). Ma che si definisca il Patriarca “nostro Padrone, sinceramente mimpressiona e non positivamente poiché, nello stesso Vangelo, Cristo non chiama i suoi discepoli servi (altrimenti ne sarebbe il padrone) ma amici. Se in Oriente non ci fosse stata una forte tradizione monastica (che remava contro questi personalismi ecclesiastici) si sarebbe anche qui arrivati in tutto e per tutto ad una specie di “papa orientale. Non che nella storia non ci sia stato chi lo abbia tentato. Un nome significativo: il patriarca Giovanni XIV Kalekas (1334-1347) il quale iniziò ad attribuire a se stesso alcune prerogative imperiali, i sandali rossi, simbolo dell'imperatore, qualche tempo prima assunti dal papa stesso in Occidente.

[7] Ricordo con infinito affetto la figura di un chierico ortodosso il quale aveva un cuore talmente cristallino da fare affermazioni disarmanti con la semplicità di un bambino, rivelando una profondità sconcertante. Per certi versi costui mi sembrava un "pazzo di Cristo". Una volta davanti al suo vescovo osò dire: "Noi non lavoriamo per Cristo ma per il Patriarca". Fu ovviamente sgridato: non era opportuno che orecchie estranee lo sentissero! Tuttavia in questa splendida confessione si capisce come, in una visione clericalista, non si lavori più per Cristo ma per i fini di un gerarca ecclesiastico, con il pretesto di Cristo. Infatti non è assolutamente detto che lavorare per un papa, un vescovo e un patriarca significhi automaticamente lavorare per Cristo ! In un caso del genere, a lungo andare chi lo fa accumula un senso d'insoddisfazione e di frustrazione molto forte. Non è un caso che i peggiori anticlericali siano usciti da certe strutture ecclesiastiche (cosa che riguarda ogni confessione cristiana di tipo clericalista).



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