«Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede: “Ma cosa diavolo è l’acqua?”».
Questa citazione, tratta da un discorso accademico al Kenyon College, è tutt’altro che banale. Chi vive immerso in una realtà è ben lungi dal rendersene conto.
La cosa, evidentemente, riguarda anche il nostro modo di intendere il culto cristiano o la liturgia che dir si voglia. La nostra cultura occidentale è passata attraverso eventi culturali di non poca portata: rinascimento, illuminismo, romanticismo, giusto per citarne alcuni.
Questi eventi hanno lasciato i loro segni in ogni campo (artistico, letterario, musicale, ecc.) ma, ancor prima, nel modo di pensare e intendere la realtà.
Oggi non ne possiamo prescindere e ne siamo tutti più o meno influenzati, nel bene e nel male.
Se qualcuno, più cosciente o semplicemente di un altro universo culturale, ci chiede “Com’è l’acqua?” o, in altri termini, “Perché vivete così?”, spesso non siamo in grado di dare una risposta e finiremo per pensare: “Ma che diavolo ci chiede costui?”.
Tutto ciò riguarda direttamente anche la liturgia. Oggi il nostro modo di intenderla è prevalentemente razionale, intellettualistico. Se nella liturgia esiste qualche elemento che capiamo immediatamente lo riteniamo, altrimenti lo poniamo subito in secondo piano, in attesa di eliminarlo appena possibile.
La storia delle continue riforme delle antiche liturgie occidentali prova in modo lampante questo procedimento che le ha lentamente scarnificate col risultato finale di alterarle in non pochi casi. In esse si vede che la vita religiosa dell’uomo si è lentamente spostata dal piano interiore, cardiaco, al piano esteriore, formale, puramente intellettuale.
E non ci si può neppure scusare appellandoci ad una "antica nobile semplicità" alla quale i nuovi riti si sarebbero ispirati, perché nel nostro modo di intendere siamo riusciti ad oscurare sempre più il significato del simbolo, anticamente accessibile, sostituendolo con altro o intendendo lo stesso simbolo in modo assai diverso.
Conseguentemente, la liturgia da strumento fondamentale è divenuta di fatto accessoria. La sua importanza è per lo più affermata solo nei documenti o nella teoria perché nella pratica ci si smentisce palesemente avendo accorciato progressivamente la liturgia stessa con il passare del tempo. È come se in palestra ribadissero l'importanza degli esercizi ginnici e, contemporaneamente, li limitassero il più possibile.
E non ci si può neppure scusare appellandoci ad una "antica nobile semplicità" alla quale i nuovi riti si sarebbero ispirati, perché nel nostro modo di intendere siamo riusciti ad oscurare sempre più il significato del simbolo, anticamente accessibile, sostituendolo con altro o intendendo lo stesso simbolo in modo assai diverso.
Conseguentemente, la liturgia da strumento fondamentale è divenuta di fatto accessoria. La sua importanza è per lo più affermata solo nei documenti o nella teoria perché nella pratica ci si smentisce palesemente avendo accorciato progressivamente la liturgia stessa con il passare del tempo. È come se in palestra ribadissero l'importanza degli esercizi ginnici e, contemporaneamente, li limitassero il più possibile.
D'altronde, vivere la preghiera e a fortiori la liturgia sull’unico piano intellettuale stanca, la fa sentire a noi estranea, la fa inevitabilmente decurtare e, alla fine, abolire.
Quando, nella preghiera, l'occhio corre all'orologio, siamo alla frutta!
È la fine che ha fatto la Liturgia Horarum, ossia il "breviario" di rito romano riformato dove una parte non trascurabile dello stesso clero non lo recita più. Detto "breviario" avrebbe fatto arrossire san Benedetto da Norcia, per quanto è... breve! Si pensava che pregare di meno servisse a pregare meglio; che illusione! La brevità non serve ad intrattenere uno spirito nel quale la preghiera rimbalza via e viene a noia perché la porta del cuore è costantemente sbarrata.
Quando, nella preghiera, l'occhio corre all'orologio, siamo alla frutta!
È la fine che ha fatto la Liturgia Horarum, ossia il "breviario" di rito romano riformato dove una parte non trascurabile dello stesso clero non lo recita più. Detto "breviario" avrebbe fatto arrossire san Benedetto da Norcia, per quanto è... breve! Si pensava che pregare di meno servisse a pregare meglio; che illusione! La brevità non serve ad intrattenere uno spirito nel quale la preghiera rimbalza via e viene a noia perché la porta del cuore è costantemente sbarrata.
Nell’Oriente cristiano, laddove ancora si è conservato il modo di sentire tradizionale e antico, la liturgia stabilisce l’ingresso al Paradiso. Ad essa si partecipa facendo echeggiare, nella grazia divina, gli eventi liturgici nell’interiorità o nel cuore. Chi partecipa immerge i testi liturgici nella sua interiorità o nel suo cuore, come chi immergerebbe un biscotto nel latte. In questo modo c'è l'incontro e in un certo senso la fusione tra i due elementi.
Per giungere a fare ciò, come per fare veramente la cosiddetta “Preghiera del cuore” ci vuole un aiuto dall’Alto, è necessario che la preghiera passi dal piano puramente intellettuale a quello cardiaco nel quale si capisce la profonda differenza tra i due.
Nel piano cardiaco la liturgia e la preghiera diventano come il respiro: necessari in ogni momento del giorno. Pregare non pesa più e, anzi, lo si ritiene di vitale importanza.
Questo spiega perché tutte le antiche liturgie non si esauriscono in una mezz’oretta e spiega pure perché, per alcuni secoli, nella basilica del santo Sepolcro, la liturgia si eseguisse ininterrottamente, 24 ore al giorno.
Parlare di "vita liturgica", ossia di un modo di vivere che trae ispirazione dalla liturgia e ad essa sempre vi ritorna, è puramente utopistico se non si ha bene in mente quanto sopra affermato.
Parlare di "vita liturgica", ossia di un modo di vivere che trae ispirazione dalla liturgia e ad essa sempre vi ritorna, è puramente utopistico se non si ha bene in mente quanto sopra affermato.
Chiedere all’uomo odierno di avvicinarsi a Cristo, tentare di evangelizzarlo, è completamente inutile se non gli si mostra che bisogna travalicare il semplice approccio razionale, la ragione, per giungere nell’interiorità che ha bisogno di essere risvegliata dal suo torpore e prendere vita. Solo allora il seme gettato nei solchi della terra darà il suo frutto.