Quando si
esaminano le dinamiche religiose nell'Occidente cristiano, non ci si
può esimere dal considerare tutti i cambiamenti culturali avvenuti
in esso, cambiamenti che, in un modo o in un altro, hanno finito per
condizionare la fede.
Non è,
dunque, un inutile sforzo quello di esaminare il contesto che
circonda il Cristianesimo perché non di rado la stessa catechesi
cristiana lungo i tempi ha dovuto adattarsi a uomini diversi per
sensibilità e cultura.
Nel volgere
dell'ultimo secolo certi fenomeni si sono enormemente accelerati. Non
mi riferisco solo alle scoperte scientifiche e tecnologiche, al modo
di vestire, alle convenzioni sociali... Penso, più generalmente,
all'emergere prepotente dell'individualismo, ossia all'affermazione
individuale della persona. Se in una società tradizionale di un
tempo un uomo aveva senso tanto in quanto era legato da vincoli di
sangue, di etnia e di religione ad un gruppo ben preciso o a una
grande famiglia, oggi un uomo si sente realizzato quando sente di
essere “se stesso”, ossia quando è sciolto da quei vincoli che,
al contrario, nel passato erano parte costitutiva e irrinunciabile
della sua identità. In tal modo, la sua felicità non consiste nel
giungere anche al sacrificio pur di contribuire alla felicità del
gruppo nel quale si identifica, ma a svincolarsi da quel gruppo
appena gli viene chiesto un suo contributo in termini di tempo,
denaro e fatica.
Il divorzio
della coppia, evento oramai rapidamente praticabile anche per motivi
leggeri, rappresenta la concreta manifestazione di quanto sto
dicendo.
Se
l'individuo è più importante della coppia, di una grande famiglia o
di un gruppo sociale, ad egual ragione è più importante di
qualsiasi autorità poiché diviene, de facto, autorità per
se stesso.
I legami che
un uomo individualista può avere verso la società sono allora
caratterizzati dal semplice vantaggio personale. Tutto è filtrato da
questo individualismo che non lascia spazio per altre possibilità.
Se questo
modo di vivere entra nella Chiesa o prima o poi ci saranno degli
sconquassi. L'antica Tradizione cristiana non si è stabilita per dei
semplici vantaggi individualistici, dal momento che richiede la
spoliazione dell'uomo vecchio e la conformazione a Cristo.
Conformarsi a Cristo non significa solo farsi lavorare dalla grazia,
ossia dalla sua forza redentiva, ma seguirne gli insegnamenti poiché
Egli è il Maestro, l'Autorità per eccellenza.
La mens
cristiana faceva sì che nell'epoca medioevale l'artista potesse non firmasse
le sue opere, che al più erano catalogate in una scuola,
in uno stile. Non ne sentiva il bisogno perché non esisteva la
mentalità odierna. La stessa teologia medioevale latina, per quanto
fosse insegnata da maestri particolari, ritenuti affidabili e
stimabili, si credeva aderente più possibile alle auctoritates
e, se introduceva delle novità di metodo, aveva somma cura di
motivarle in modo tale da renderle il più possibile in continuità
con il passato.
Nella
teologia bizantina c'era la stessa mentalità: Gregorio Palamas, che
sembrava avesse introdotto delle novità, si difese lungamente
appellandosi alla tradizione antica e alle autorità ascetiche di cui
si sentiva autentico prosecutore. Pure i suoi accusatori si
appellavano alle antiche autorità, non ad una migliore e originale
loro comprensione.
Rispetto a
quel tempo, attualmente si da un profondo valore alla coscienza
individuale, una grande enfasi alla singola persona e all'originalità
che essa può proporre. Il bisogno individuale diviene, dunque,
legge.
Se la regola
benedettina esorta il discepolo ad ascoltare “i precetti di tuo
padre”, un possibile discepolo attuale rifiuterà sempre più
l'educazione che, per lui, sarà equivocata come un'umiliazione alla
sua spontaneità e alla sua voglia di vivere. Il “clero fai da te”
che ci circonda sembra sia un chiaro segnale di tutto ciò e la
fatica improba degli insegnanti nelle scuole ce lo testifica
chiaramente.
La Chiesa,
che lo voglia o no, eredita ancora ampiamente l'impostazione antica,
quella delle auctoritates per intenderci, e la ritroviamo
negli insegnamenti del passato e nella sua storia. La stessa
Tradizione ha il suo valore proprio perché la si fa risalire a
Cristo Maestro. Tutti gli insegnamenti che derivano dalla Tradizione
e la formazione del culto cristiano trovano la loro autorevolezza
perché sono stati composti da chi ha carismaticamente praticato e
ben capito l'insegnamento di Cristo Maestro fino ad incarnarlo. Qui
l'individualismo e le ragioni puramente umane non trovano spazio
alcuno.
La Chiesa
può mantenere quest'impostazione antica fintanto che in essa esiste
una formazione reale, efficace e carismatica (in senso evangelico)
dei suoi membri o, almeno, dei suoi membri più rappresentativi.
Questo non significa che il clero, ad esempio, non debba sapere in
che mondo vive ma che non deve assolutamente assumerne la mentalità.
Nel momento
in cui ciò disgraziatamente avviene, nella Chiesa si stabilisce una
vera e propria rivoluzione.
Recentemente
Bergoglio ha manifestato il desiderio di cambiare l'insegnamento
catechetico sulla pena di morte ritenendo quest'ultima sempre e
comunque inammissibile. Viceversa, la tradizione cristiana sia in
Oriente che in Occidente l'ha ritenuta possibile in determinati
estremi casi.
Quello che
in questo fatto si deve cogliere non è tanto il favore o meno alla
pena di morte, la ragione o meno di Bergoglio, quanto il suo bisogno
di affermare una decisione individuale (che, dati i tempi, trova pure
ampio consenso altrui) contro una decisione tradizionale mantenuta
dalle auctoritates (non ultima quella di san Paolo in Rom
13,4).
Qualcosa del
genere si è visto nell'inserimento del nome di san Giuseppe nel
Canone Romano da parte di papa Roncalli. Essendo costui personalmente
devoto allo sposo della Madonna, decise di inserirne il nome
nell'anafora romana. Fino a quel momento era impensabile che una persona, fosse pure un papa, potesse mettere mano all'anafora per un bisogno personale. Ciononostante, l'evento
fu rapidamente giustificato ma non ci si avvide che rappresentava
simbolicamente la crepa di una diga. Infatti quello che poi successe
convalida quest'interpretazione ed è oramai storia: i più
coraggiosi liturgisti cattolici presero iniziative sempre più ardite
e trasformarono, non di rado stravolgendo, la liturgia stessa fino ad
allora intangibile. Che lo facessero con “buone e studiate
intenzioni” non toglie nulla al fatto che siamo dinnanzi a bisogni
individuali che si contrappongono ad una stabile e immutabile
Tradizione.
Gli
stravolgimenti della teologia, della liturgia e dell'ethos
ecclesiastico trovano la loro autentica radice nell'individualismo
che, dunque, si pone agli antipodi della Tradizione e dell'obbedienza
che normalmente le si tributava.
Non è
difficile immaginare che, una volta introdotta la suddetta correzione
nell'insegnamento catechetico, avvengano altri ritocchi per altri
insegnamenti troppo lontani dalla mentalità individualistica
secolare, perché ancora troppo legati ai dettami della rivelazione.
Anche qui,
presi da considerazioni molto individualistiche e umane, non ci si
avvederà che la meta finale di tale mentalità potrà scivolare nel
radicarsi dello snaturamento della Chiesa, nella rottura della
successione apostolica e nell'invalidamento di ogni sua forma
sacramentale. In breve: nella fine secolare della Chiesa in quanto
istituzione globale e nella sua sopravvivenza in sparuti e dispersi
gruppi.