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venerdì 23 settembre 2022

Gli stili letterari delle preghiere nel Vetus Ordo e nel Novus Ordo

 

Quest’argomento meriterebbe una trattazione ben più dettagliata ed estesa di questo semplice articolo che si limiterà a tratteggiare alcuni importanti aspetti.

Lo stile letterario di un testo si diversifica a seconda dei luoghi, dei tempi e degli autori, per quanto vi siano degli elementi di fondo che, in campo liturgico, sono delle costanti.

Ogni componimento letterario ha il suo stile e lo si individua da diverse angolazioni. Prendiamo, ad esempio, una preghiera tratta dal “Vetus Ordo Missae”, del Messale Romano, quello che comunemente si definisce impropriamente “tridentino”.

Concede nos famulos tuos, quaesumus, Domine Deus, perpetua mentis et corporis sanitate gaudere: et, gloriosa beatae Mariae semper Virginis intercessione, a praesenti liberari tristitia, et aeterna perfrui laetitia. Per Christum Dominum nostrum.

℟ Amen.

In traduzione suona così:

Concedi ai tuoi diletti, Signore Dio, la sanità perpetua  della mente e del corpo e per la gloriosa intercessione della beata Maria sempre Vergine, liberaci dalla tristezza presente e donaci la letizia eterna. Per Cristo nostro Signore.

Amen.

 

La preghiera si apre con una richiesta diretta immediatamente a Dio: la sanità della mente e del corpo. Prosegue invocando l’intercessione della Madonna, della quale si confessa la perpetua verginità (inserto dogmatico), al fine di essere sollevati dalla tristezza ed essere avvolti dalla letizia che troveremo nell’eternità (aspetto escatologico). Cristo viene invocato alla fine per garantire l’esaudimento della preghiera stessa.

Come si vede, Dio è il centro e la preghiera fa rivolgere gli occhi degli oranti direttamente a lui per ottenere dei benefici ma evocando l’escatologia che non viene affatto trascurata.

Qual è il modo di pregare, invece, nel Messale Romano del Novus Ordo? Assieme ad un limitato numero di preghiere antiche (che hanno lo stile sopra indicato), troveremo molte preghiere di nuova composizione. Queste preghiere hanno prospettive più o meno lontane dalla precedente. Per essere chiaro, citerò una preghiera che non vi fa parte ma che, in tutto, ricalca quella mentalità completamente nuova che possiamo ritrovare in sempre più  preghiere del Novus Ordo.

Questa preghiera è stata proposta dalla Conferenza Episcopale Fiamminga, qualche settimana fa, per la cosiddetta benedizione delle coppie gay in chiesa. Al di là del tema controverso che solleva, è interessante notare lo stile con il quale è stata composta.

God van liefde en trouw, vandaag staan we voor Uomringd door familie en vrienden. Wij danken U dat we elkaar mochten vinden. We willen er zijn voor elkaar in alle omstandigheden van het leven. Wij spreken hier vol vertrouwen uit dat we aan elkaars geluk willen werken, dag aan dag. Wij bidden: schenk ons kracht om elkaar trouw te zijn en ons engagement te verdiepen.

Op uw nabijheid vertrouwen wij, van uw Woord willen we leven, aan elkaar gegeven voorgoed.

 

In traduzione suona così:

Dio d'amore e di fedeltà, oggi siamo davanti a te circondati da famiglie e amici. Ti ringraziamo per averci permesso di ritrovarci. Vogliamo esserci l'uno per l'altro in ogni circostanza della vita. Parliamo qui con fiducia che vogliamo lavorare sulla reciproca felicità, giorno per giorno. Preghiamo: dacci forza essere fedeli gli uni agli altri e approfondire il nostro impegno.

Confidiamo nella tua vicinanza, con la tua parola vogliamo vivere, donandoci l’uno all’altro per sempre (*).

 

Nella preghiera precedente, il sacerdote si poneva come intercessore davanti a Dio pregandolo per ottenere dei benefici corporali e spirituali in vista dell’al di là, dove vi sarà la pienezza di ogni bene. In questa seconda preghiera, non esiste intercessore ma uno prega per un altro, usando la prima persona plurale, “noi”. Il ruolo sacerdotale, quindi, scompare o non è affatto evidente. Nonostante sia invocato Dio, gli occhi di chi prega non si fermano a Lui ma si posano attorno agli astanti, famiglie e amici che sono convenuti per l’unione gay. Non è il luogo né ha senso inserire qualche breve accenno dogmatico perché il fulcro di tutto non è la confessione della fede ma il progetto di vita di due persone. Infatti, la preghiera si concentra su di esso, sulle attese della coppia che, si nota, sono unicamente terrene. In questo contesto come interpretare il “vogliamo vivere”? Non certo in una prospettiva escatologica, come ogni preghiera veramente cristiana dovrebbe avere. Piuttosto, in una prospettiva nuovamente secolare.

Ne consegue che l’invocazione a Dio è puramente strumentale e non c'è alcun bisogno di definire la fede alla quale si crede. Il centro di questa preghiera è rivolto all’interno della coppia gay declamata da uno dei due membri o da chi vuole rappresentarli.

 

Questo testo ha un'evidente perdita della prospettiva teocentrica, un appiattimento in una spiccata dimensione secolare e psicologica. Ma ciò non è, dunque, solo la caratteristica di questa “preghiera” proposta dai vescovi fiamminghi che, quindi, non nasce dal nulla. Infatti, tale stile lo si può constatare, seppure con accenti diversi, in tutti i testi di nuova composizione che senz’alcuna difficoltà si può sentir risuonare in molte chiese. Lascio al lettore farne l'ovvia constatazione.

Mi sembra dunque vero quanto a suo tempo si scriveva: “Non si prega più come una volta!”.

Bello o brutto che sia, questo è realmente un fatto incontestabile e incontrovertibile.

 

 

(*) https://www.kerknet.be/sites/default/files/20220920%20PB%20Aanspreekpunt%20-%20Bijlage%201.pdf

lunedì 12 settembre 2022

La Pornodulìa.

 
Il termine con il quale apro questo scritto è un neologismo formato da due termini: πόρνη, ossia prostituta, e δοῦλος, ossia schiavo, servitore. La nostra cultura europeo-occidentale veicola in molti suoi aspetti la pornodulìa, ossia la sottomissione dell’individuo al piacere sessuale in qualsiasi forma si possa concretizzare. Rifiutare la pornodulìa, oggi, equivale a non vivere la parte migliore della vita e, quindi, significa sprecare inutilmente il proprio tempo. Tale mentalità ha pervaso talmente la società che ampi settori ecclesiastici ne sono stati impregnati. Il soddisfacimento sessuale di una coppia (etero o omo) significa, oramai, favorire il bene e costruire un saldo legame. Non si può non vedere, in quest’opinione, la generale idea che ne ha la psicologia. La psicologia ha, dunque,  soppiantato, in molti ambienti ecclesiastici, la spiritualità che assume contorni sempre più imprecisi e new age.

Se il soddisfacimento sessuale di una coppia è fondamentale e costituisce il “bonum”, indipendentemente dalla procreazione e, quindi, dal legame matrimoniale tra uomo e donna, non si capisce perché la Chiesa non deve accogliere le coppie omosessuali e offrire loro un rito con il quale benedire tale “bonum”.

La proibizione del piacere sessuale, in base a concezioni di ordine legale-moralistico, infatti, non convince più nessuno, tanto meno la maggioranza del clero cattolico, da quanto sembra. Il sinodo della “Chiesa cattolica tedesca”, tuttora in corso, ne è la prova più lampante.

Davanti a tutto ciò quella che, in realtà, è stata persa è proprio la visione spirituale, chiara alla Chiesa antica. Molti intellettuali critici e biblisti attuali dipingono a tinte fosche san Paolo per la severità con cui tratta i pornòduli del suo tempo. Nei secoli la Chiesa non è stata meno intransigente dell’Apostolo delle Genti e ha sempre indicato illecita l
attività sessuale al di fuori della procreazione e del contesto matrimoniale. Tacciare la Chiesa di “sessuofobia” come molti oggi fanno, non offre affatto una risposta corretta in merito. La qualifica impedisce di far capire che non si tratta di “paura del sesso” ma di ben altro.

Anche qui, come per molte altre mie riflessioni, è necessario attingere all’antropologia biblica e patristica con la quale si vede nell’uomo un aspetto razionale, stabilito dal termine anima, uno corporeo, sperimentato con le nostre sensazioni fisiche e uno trascendente e spirituale, indicato biblicamente come le "profondità del cuore" o con il termine "spirito".
Il godimento sessuale, collegato all
’istinto procreativo, è una delle più forti e piacevoli sensazioni fisiche  nell’uomo. L’attrazione ad esso è sempre stata molto forte, da che l’uomo è sulla terra. Su questo nulla di nuovo. La novità dei nostri tempi, è stabilita dalla separazione tra procreazione e godimento sessuale che è, di fatto, massivamente attuata nella società da alcuni decenni a questa parte. Cosa avviene nel momento in cui si soggiace permanentemente alla ricerca del piacere e ci si sottomette a tale attrazione, divenendo de facto, dei pornòduli?
 
Volendo utilizzare le spiegazioni di Gregorio Palamas (XIV sec.), per il quale l’uomo quando prega efficacemente fa scendere il pensiero della propria mente nel cuore, sede dello spirito, si può dire che il pensiero della propria mente, con la sua energia, scende nelle parti intime del corpo umano e vi risiede costantemente. A quel punto, si attua la pornodulìa, ossia la propria energia è a servizio del piacere genitale, ne diviene schiava.

Il noto lòghion evangelico ricorda che “non si può servire due padroni”. Ciò significa che in una situazione di pornodulìa è impossibile pregare ed elevare la propria interiorità a Dio. Le energie spirituali vengono sacrificate al sesso e, in tal modo, non possono elevarsi. 
Non è casuale che, prima della parte centrale e solenne della Messa, il sacerdote esorti i fedeli ad elevare i cuori. Tale esortazione è presente in tutte le liturgie antiche e non può passare inosservata:  esprime l’esatto contrario della pornodulìa. Le energie interiori dell’uomo devono stare dove spiritualmente sono efficaci, nel cuore, che, così, si può innalzare a Dio. Non si può assistere alla parte più solenne della Divina Liturgia o della Messa, ossia all’anafora eucaristica, senza avere il cuore verso il Signore! In caso contrario sia il celebrante sia chi assiste non vi traggono alcuna efficacia. Chi, oggi, lo dice e lo spiega?

La vera ragione per cui la Chiesa ha sempre condannato la pornodulìa è, dunque, legata al fatto che “non si può servire due padroni”, non ad una banale “sessuofobia”, seppur possa pure esserci stato, lungo i secoli, qualche autore sessuofobo.

Per essere più chiari, ci troviamo nell’analoga situazione di uno studente che legge in biblioteca un libro consigliato per un esame. Se lo studente impiega l’energia della sua mente in divagazioni, disapplicandosi allo studio, è ovvio che non potrà trarre alcun giovamento dalla sua lettura poiché, come si dice solitamente, “la mente è altrove”. Per applicarsi fruttuosamente allo studio, dovrà essere concentrato nella lettura del libro e vivere come se ogni altra cosa non lo riguardasse e non esistesse.

Non diversamente chiede la tradizione antica della Chiesa per quanto riguarda la preghiera e il rapporto con Dio. Non si tratta di una semplice elevazione sentimentale, di un insieme di orazioni da dirsi col cervello o meccanicamente con la bocca. Si tratta di portare l’energia delle propria interiorità nelle profondità di se stessi, nel proprio cuore, come dice Palamas, per presentare la preghiera a Dio allontanandosi con cura da ogni situazione che ne impedisce l’attuazione (pornodulìa compresa). 
Non è affatto un caso se tutti i testi liturgici antichi ricordano al celebrante che la preghiera che sta per fare deve mantenersi lontana da ogni preoccupazione mondana e da ogni pensiero malvagio. Oggi questo concetto basilare è stato ampiamente dimenticato al punto che cè chi crede di pregare dandosi da fare nelle cose del mondo come la Marta evengelica e chi crede di rendere culto a Dio mantenendo la mente immersa in pensieri pornòduli. Mai la confusione è stata più grande e soprattutto tra il clero!

Al contrario, il rifiuto della pornodulìa porta Cristo ad affermare nel Vangelo: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

Chi si oppone a questa prospettiva, inevitabilmente si opporrà alla preghiera, oscurerà il proprio cuore e farà, come ricorda l’Apostolo, “del proprio ventre un dio”.

Nell’eternità, poi, ognuno riceverà quanto cercava nelle sue scelte terrene: la schiavitù a se stesso, in un corpo divenuto oramai polvere, come ricorda lApostolo, o la liberazione nella visione di Dio.