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mercoledì 18 febbraio 2015

Testi liturgici bizantini autentici e non

INTRODUZIONE

L’argomento di questo post è, come al solito, vasto ma cercherò d’essere più chiaro e sintetico possibile. I testi liturgici, come ogni altro genere di scritto, hanno determinate caratteristiche, stili, finalità e le esprimono nel modo loro proprio. In questo blog ho già accennato al fatto che i testi cattolici di nuova composizione respirano sempre più un’aria troppo umanistica, ossia troppo centrata sul solo umano. Dio, in non pochi di questi testi, sta sullo sfondo, un po’ come una carta da parati. L’attore principale diviene l’uomo che mostra se stesso al suo prossimo e si esalta. La spiritualità tende ad essere sostituita da una generica impostazione psicologica. Ricordo la incredibile invenzione di un “prefazio per gli alpini” anni fa, compiuta da un sacerdote cattolico friulano tutt’oggi vivente e che, nel frattempo, si sarà reso partecipe di altre iniziative del genere. 
In quel “prefazio” (ossia nella preghiera sacerdotale precedente la consacrazione del pane e del vino eucaristico), si esaltavano le virtù proprie agli alpini dinnanzi a Dio che non avrebbe dovuto far altro che benedire. Ebbene, questa visione molto antropocentrica oramai la troviamo ovunque, appena vengono abbandonati i criteri che regolano i testi liturgici antichi. È il caso di dire che non esistono ambiti protetti. Per non rimanere nel generico, farò un esempio applicato alla liturgia bizantina con gli apolytìkia. 


LE CARATTERISTICHE DEI TESTI AUTENTICI 

Gli apolytìkia sono dei brevi testi un po’ simili alle antifone latine usate per il Benedictus e il Magnificat (alle Lodi e al Vespero del rito romano): indicano all’ascoltatore la festa del giorno. 
In una Divina Liturgia (Messa) o in un vespero bizantino, indicano il tempo liturgico corrente o il santo festeggiato. Ancor oggi, in particolari casi, si compongono dei nuovi apolytìkia, soprattutto per i santi neo-canonizzati. Questi nuovi testi, per avere realmente lo spirito della Chiesa, si devono conformare allo stile tradizionale. Ne vedremo qualche esempio. 

Gli apolytìkia hanno una struttura particolare, codificata nel tempo. Se dedicati alle feste del Signore sono generalmente composti da: 

1) una narrazione dell’evento salvifico; 
2) una richiesta d’intercessione o glorificazione di Dio. 

Si noti, ad esempio, l’apolytìkion per la festa della Teofania (6 gennaio) in cui sono applicati questi due punti che per comodità evidenziamo colorati: 
«Al tuo battesimo nel Giordano, Signore, si è manifestata l’adorazione della Trinità; la voce del Padre ti rendeva, infatti, testimonianza chiamandoti “Figlio diletto” e lo Spirito in forma di colomba confermava la sicura verità di questa parola. O Cristo Dio che ti sei manifestato e hai illuminato il mondo, gloria a te». (Testo tradotto dall’Orologion greco)

Per quanto riguarda le feste dei santi, lo schema è simile con qualche variazione. 

1) una parte iniziale nella quale si presenta il santo o qualche suo elemento biografico che ne indica luogo o provenienza (e che può pure mancare); 
2) una parte mediana nella quale si presentano le sue virtù o le sue caratteristiche principali; 
3) una parte terminale nella quale si chiede la sua intercessione presso Dio a favore di chi lo prega o lo si glorifica

Ad esempio, notiamo qualcosa del genere nell’apolytìkion dedicato a san Nicola di Mira. 
«Regola di fede, immagine di mitezza, maestro di continenza così ti ha mostrato al tuo gregge la verità dei fatti. Per questo, con l’umiltà, hai acquisito ciò che è elevato, con la povertà, la ricchezza, padre gerarca Nicola. Intercedi presso il Cristo Dio, per la salvezza delle anime nostre». (Testo tradotto da saint.gr, il sinassario greco) 
In questa composizione delle tre possibili parti ne abbiamo solo due: la mediana e la finale. Questo perché tale apolytìkion è un testo generico applicato a tutti i santi vescovi (gerarchi) e nello specifico adattato a san Nicola. È dunque privo di elementi biografici particolari. La parte in verde esalta le virtù del santo, la parte in blu ne chiede l’intercessione con l’espresso fine della salvezza in Dio di chi lo supplica. 

Gli apolytìkia di nuova composizione dedicati a nuovi santi, hanno lo stesso schema. Vediamo, ad esempio, quello al beato Paisios del Monte Athos recentemente canonizzato.
«Fedeli, onoriamo il fanciullo di Farassa e ornamento dell’Athos, l'imitatore degli antichi santi, uguale a loro in onore; onoriamo Paisios, questo vaso di grazia, che s’affretta ad esaudire coloro che esclamano: Gloria a Colui che t’ha dato la forza, gloria a Colui che t’ha coronato, gloria a Colui che attraverso te opera guarigioni per tutti» (Testo tradotto da saint.gr, il sinassario greco). 
Notiamo in rosso la prima parte biografica che c'informa sulla provenienza di Paisios e sulla sua ultima residenza (Farassa in Cappadocia, il Monte Athos); in verde notiamo le virtù sue specifiche, mentre in blu si vede la glorificazione a Dio per il dono della sua presenza tra gli uomini. 

Un ulteriore esempio che ricalca questo stile lo troviamo nell’apolytìkion di san Giovanni Theristis, un santo calabro italo-greco: 

 «Hai lasciato la luminosa isola dei siciliani, la ricca provincia del padre, e su esortazione della fede materna hai trovato la santa Calabria, Giovanni padre nostro, perciò supplica per noi il Signore». (Testo tradotto da saint.gr, il sinassario greco).
Qui la parte mediana è assente ma si nota una sintesi biografica (la prima parte contraddistinta in rosso) che qualifica il particolare apolytìkion per il santo e non un apolytìkion generico applicato ad un gruppo di santi e adattato ad uno tra loro. Si nota pure l’ultima parte: la richiesta di supplica (contraddistinta in blu) che quindi non manca mai in questo tipo di testi. 


TESTI AMBIGUI O INIZIALMENTE FUORVIANTI 

Girovagando in Internet, purtroppo, non è difficile trovare anche testi liturgici che si discostano dalle indicazioni della tradizione, spesso composizioni personali che non hanno alcun permesso ecclesiastico e che non rispettano questo schema classico con il rischio di scadere nello spirito del secolo che è, come abbiamo visto sopra, molto antropocentrico e autogiustificativo. 

Mi pare d'aver individuato un testo di tal genere in un “apolytikion” dedicato a san Giovanni Theristis del quale non si specifica assolutamente la paternità né la fonte: 
«In te,Venerabile Padre Giovanni Theristìs, si è realizzata in pienezza l'immagine della Santa Triade. Le energie dello Spirito ti hanno spinto alla continua ed incessante preghiera. Hai quindi resistito agli inganni dell'avversario e hai sconfitto il Separatore. La tua vita si è sempre orientata a Cristo Dio a cui tu presenti ancora oggi questo tuo popolo in preghiera». Testo tratto da Qui.
Innanzitutto non si capisce perché chi diffonde questo testo non si sia riferito a quello greco già esistente e che rispetta sicuramente i canoni della pietà tradizionale. 
Secondariamente, qui si notano diversi elementi eterogenei che collidono con lo stile tradizionale, per quanto apparentemente ad occhi inesperti, il testo non paia strano. 

1) Questo “apolytikion” usa un linguaggio discorsivo, la prosa, in una composizione che di sua natura dovrebbe essere poetica. Anche in una traduzione dal greco (vedasi gli esempi in alto) non è, viceversa difficile accorgersi che non si tratta di prosa ma di forma poetica. 

2) Si fa riferimento alla generica dottrina della deificazione, cosa che vale per tutti i santi ortodossi e che, quindi, non è per nulla indicativa della “specificità” di questo santo rispetto ad altri santi. Dunque si dedica un “apolytikion specifico ad un santo privo di ... specificità!

3) La parte terminale è piuttosto strana perché indeterminata, come se fosse un'azione compiuta a metà: ritrae il santo in atto di presentare genericamente il popolo orante a Dio ma non ne specifica il perché come fanno tutti gli apolytìkia fino ad ora considerati. 

In questo testo non è possibile determinare i tre punti che hanno classificato tutti gli altri testi considerati. Infatti: 

a) Non si può determinare il luogo o la provenienza del santo, per quanto questo testo sembra essergli particolarmente dedicato
b) Non si possono determinare le specifiche virtù di questo santo sostituite da una descrizione generica che riguarda tutti i santi ortodossi. Se tale testo è dedicato solo a san Giovanni perché ci si è “accontentati” di descrizioni generiche? 
c) Non esiste una finale né di glorificazione né di richiesta d’intercessione ma il popolo è semplicemente presentato a Dio (perché? Per qual fine? Per essere benedetto? Per ricevere grazie? per essere giustificato? Non lo sappiamo!). 

Queste osservazioni indicano che il compositore potrebbe essere una mano inesperta con qualche infarinatura di principi teologici bizantini ma a cui pare sfuggire lo stile proprio dell’innologia bizantina. 
È logico che con questi presupposti si può finire per cincischiare con i testi liturgici dimostrando di non aver imparato gran che. Ci si allontana sensibilmente, dunque, da una composizione tradizionale. 

Se gli autori fossero persone lontane dal mondo ecclesiastico in fondo non mi preoccuperei. Il problema è che questi testi provengono assai probabilmente da ambienti nei quali ci si attenderebbe una maggiore attenzione e formazione ecclesiastica.

Mi si dirà che qui, tutto sommato, non ci sono grossi problemi perché, a modo loro, queste composizioni originali hanno una loro pietà. Rispondo dicendo che, dall'esame fatto, si dimostra che questo comportamento socchiude una porta: è come la dimostrazione che si può iniziare a "manipolare" la liturgia componendo testi senza regole precise o con riferimenti sempre più sfumati. E che qui non si rispettino le regole degli apolytìkia è stato ben dimostrato.
Questo fa ricordare un poco quanto successe nel mondo cattolico con le prime riforme alla liturgia romana (che non sembravano cosa contraria alla tradizione, in fondo). Eppure fu da questo spiraglio che si rese pian piano possibile il disprezzo di gran parte del clero verso le forme tradizionali, forme che cercano di custodire lo spirito di pietà che la Chiesa voleva tramandare nei secoli. 

La tensione verso il basso, dunque, non è la sola prerogativa del mondo cattolico per quanto la caduta, in tal senso, trovi alcuni tra questi ultimi in posizioni decisamente molto più avanzate.

Aggiunta all'ultimo momento

Ho ricevuto conferma che la composizione da me criticata non è ecclesiastica. Oggi mi è stato detto che era  proposta come testo devozionale ed è stata aggiunta una precisazione che fino a ieri (18/2/2015) era assente. Osservo quanto segue: non ha senso proporre "preghiere devozionali personali" nella prospettiva ortodossa, facendo quasi intendere che sono testi ufficiali (chiamando apolytìkio ciò che non è tale e affibiandogli pure un tono musicale ecclesiastico con il quale dovrebbe essere cantato)*. Ciò è comprensibile e va bene in un contesto protestante, non in un contesto ortodosso in cui è l'individuo che si adatta alla Chiesa non è la Chiesa ad essere adattata all'individuo. Si osservi, infatti, l'opera dell'iconografo: lascia perdere originalità che metterebbero a soqquadro lo stile iconografico tradizionale e si adatta ad esso, per quanto si noti il suo carattere nell'opera dipinta. Purtroppo, l'individualismo nella nostra cultura è pompato all'esasperazione e perfino gli ambienti ecclesiali ne sono influenzati. È triste che alcuni di tali ambienti non abbiano la forza necessaria per capire che così non va' ma non mi meraviglia più. O prima o poi verrano presi dalla corrente secolarizzante che tutto trascina. I fedeli possono salvarsi solo se avranno un forte ancoraggio nella tradizione e non saranno sottomessi all'autorità ecclesiastica solo perché è una autorità. Viviamo in tempi in cui le autorità religiose sono sempre meno autorevoli...


__________

*) Nel mondo ortodosso ci sono pure composizioni poetiche paraliturgiche. Pensiamo, ad esempio, agli inni di san Simeone il Nuovo teologo. Questi inni, però, non sono mai stati denominati "tropari", "apolytikia", "Odi", "Kondàkia", ecc., nomi che indicano composizioni prettamente liturgiche. Appartengono alle opere del santo e non sono spacciate per testi cultuali né gli si indica un tono musicale con il quale dovrebbero essere cantate.
Ecco la differenza tra l'opera personale e l'opera ecclesiale. Nel mondo protestante questa differenza non esiste: infatti, in una cena un fedele può improvvisare una preghiera personale che con quella degli altri fa parte della preghiera dell'assemblea. Qui non ci sono distinzioni come in ambiti in cui si osserva ancora la tradizione antica.
Per questo, far passare per composizione ecclesiastica ciò che non lo (e fino a ieri nel blog "ortodosso" da me indicato si parlava di "Apolytìkio del santo"!!) indica una confusione di fondo ed è l'indice di una chiara lontananza dalla distinzione della tradizione.

4 commenti:

  1. Basta ricordare come nacque l'usanza della comunione sulla mano.
    Da un'eccezione tollerata a prassi abituale, insegnata e perfino consigliata.
    Stessa cosa con i canti profani nella liturgia... da quelle che sembrano piccole fessure si formano voragini impossibili da riparare, che trascinano sempre più in basso...

    nikolaus

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    1. Ma se questo è accaduto, caro Nikolaus, vuol dire che il mondo cattolico oramai era pronto a crollare, nonostante si dica il contrario. Per quanto riguarda l'esempio che ho fatto nel post, chissà perché ma quando troviamo originalità è spesso perché si vuol far colpo.
      Lo stesso teologo Zizioulas sul quale ho parlato qualche mese fa pubblicando una critica alla sua teologia. si è ricavato dei percorsi originali che non seguono in alcuni aspetti la tradizione e questo ha ovviamente portato luce su di lui togliendola alla teologia tradizionale. I chierici alla fine li si capisce da una questione: vogliono portare luce su loro stessi (facendo originalità) o su Cristo (seguendo la tradizione fino ad oggi osservata)? Tutta la cultura attuale spinge le persone (chierici compresi) a fare come i pavoni e questo a sua volta spinge a cambiare le disposizioni della Chiesa: un papa successivo, ad esempio, deve dimostrare di essere "meglio" del predecessore cambiando, quello dopo cambierà ancora e via via. Ma questa frenesia clericale (che è una malattia interconfessionale) non porta a nulla di buono per la Chiesa e per i poveri cristiani....

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  2. Ho dovuto aggiungere un testo ulteriore e non per polemica. Purtroppo sono sempre più convinto che un clero senza adeguata formazione e con l'idea di essere "bravo" e indiscutibile finisce per non capire più la tradizione ed esserci almeno potenzialmente nemico. Nulla di personale, per carità, ma è la fotografia di un dato di fatto. Questo è un clero protestantizzato.

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  3. Gentile Pietro C.,
    Come potrebbe non essere protestantizzato il clero se ormai è protestantizzata la società intera?
    Un lavaggio del cervello continuo, sulla base di stilemi insinuati dal cinema, dalla TV, dal mercato, dalla finanza e dalle armi...
    Un mondo materialista, deprivato del sacro, sospettoso verso le devozioni, pragmatico ed asservito all'utile in cui anche il religioso riporta all'uomo etico (etico finchè si vuole, ma assurto a libero interprete persino del dato rivelato).
    Un uomo "triste", molto "concreto", non senza disciplina e duro lavoro, ma individualista, che fa della comunità la somma di individualismi e manca del sacramento come reale presenza del Signore, ridotto a "cemento" necessario per collegare le individualità.
    Nel cristianesimo protestante c'è poca misericordia e tanta libertà d'azione.
    C'è poca dottrina e tanto pragmatismo.
    C'è poca tradizione e molta riforma.
    C'è poca rivelazione e tanta interpretazione.
    C'è poco sacramento e tanta disciplina.
    C'è molto presente e poco eterno.
    C'è poco passato e c'è la pretesa di incamminare il futuro.
    C'è poco miracolo (gratuito e inspiegabile) e più scienza, pretendendola capace di miracoli (salvo farne subito mercato).
    C'è poca santità e molta etica.
    C'è poco sacerdozio, ma c'è il pastore.
    C'è poco Maria ma c'è di più la donna.
    Perciò c'è meno fedeltà e ci sono più leggi.
    C'è meno digiuno e c'è più dieta.
    C'è meno penitenza e c'è più parsimonia.
    C'è meno pietà e c'è più filantropia.
    Tutto è normato e ha bisogno di un avvocato, perchè leggi e accordi sono cangianti, ma molto scrupolosi.
    Non c'è monachesimo, ma ci sono le corporations, con dei druidi a dirigerle.
    Non c'è una Chiesa gerarchica e nemmeno una sinodalità, ma le filiali di una multinazionale.
    C'è tanto studio della Scrittura, ma senza incensi e inginocchiatoi, come si studia un manuale.
    Ci sono tanti predicatori, come si fa con le televendite.
    Siamo diventati tutti un po' così... Specialmente nel cattolicesimo.
    Specialmente con certe ermeneutiche, liturgie e pastori molto propensi a orientate il gregge in tal senso

    Il suo esempio è molto efficace e calzante. Basta poco. Persino nel rendere grazie a Dio per un santo. E la prospettiva cambia.
    Cordiali saluti
    Ruggero (un po' inacidito con i riformatori)

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