Due teologi ortodossi, Christos Yannaras e Giovanni Zizioulas, presentati nell'articolo precendente, ci paiono, qui, estremamente vicini a certi teologi cattolici. Come mai? Si tratta, infatti, di una vicinanza (o, in qualche caso, identità) derivata dall'aver in comune una identica o una simile filosofia moderna e dall'aver voltato le spalle (in modo evidente o mascherato) all'insieme del pensiero patristico che rappresenta (sia per l'Occidente che per l'Oriente cristiano) la base della comune fede. Leggendo queste righe vergate da Jean-Claude Larchet (il cui libro è citato nell'articolo precedente), si avrà ben modo di stupirsi e ci si chiederà come mai queste persone, nonostante pesanti errori, siano così importanti e famose (qui gli errori esaminati riguardano i sacramenti). È la stessa e identica sorte di alcuni teologi cattolici: famosissimi per quanto discutibilissimi!
Ma c'è una differenza importante: Larchet ha modo di contrastare le affermazioni anti tradizionali di questi teologi servendosi di una tradizione ancora vivente (la patristica è ancora molto importante in Oriente) e di testi liturgici tutt'ora in vigore e che nessuno pensa di abolire. Se, viceversa, si ritiene morta e defunta la tradizione patristica e si ritiene i testi liturgici tradizionali relegati al passato è ben ovvio che non esiste possibilità di risalita. In questo senso c'è da tremare, pensando all'Occidente cristiano...
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Conseguenze
erronee per la vita spirituale
a)
Per Yannaras e Zizioulas, conformemente al loro concetto puramente
relazionale di vita personale, la Chiesa è prima di tutto una
sinassi, una riunione di fedeli che permette loro di condurre un modo
d’esistenza personale, ossia di vivere liberamente in comunione (e
non sotto il regime dell’individualità, determinata dalle leggi
naturali e caratterizzata dall’esclusivismo biologico o sociale) (1).
Questa
riunione si compie essenzialmente – e pure esclusivamente – nella
liturgia eucaristica la quale è essa stessa centrata sulla comunione
eucaristica (2),
anche se Zizioulas può affermare che “La Chiesa stessa, nella sua
essenza, è un avvenimento di comunione” (3).
I
nostri due autori insistono intensamente sulla comunione che si
stabilisce nella Chiesa tra le persone umane (i fedeli) e hanno
ragione di farlo. Si può tuttavia loro rimproverare di privilegiare
nettamente la dimensione orizzontale della comunione (4) a scapito della dimensione verticale, che riguarda la relazione con
Dio sia della comunità nel suo insieme sia di ciascun fedele in
particolare. La relazione personale (nel senso classico) di ciascun
fedele con Dio è, d’altronde, fortemente ed esplicitamente
svalorizzata da Zizoulas, che vi vede un’attitudine individualista
e la qualifica volentieri come moralista, pietista ossia psicologica (5) e considera in modo molto fantasioso una probabile origine
platonica che, attraverso Origene e gli Alessandrini, avrebbe
influito sulla spiritualità ortodossa (6).
Si
può per altro constatare che il “comunionale” si trova sovente
ridotto, presso Zioulas, nel “relazionale”. Il metropolita di
Pergamo giunge così a questo tipo d’affermazioni riguardo la
Chiesa: “Tutte le cose sono nella Chiesa e la Chiesa stessa è
perché vive in relazione” (7);
“L’identità della Chiesa è relazionale” (8);
“La Chiesa è un’entità relazionale” (9);
Il relazionale stesso pare sovente costituire un ideale e un valore
a se stante (10) a tal punto che all’autore pare inutile precisarne il contenuto, le
modalità e la qualità della relazione.
La
riunione che, secondo Zizoulas, costituisce essenzialmente la Chiesa
è quasi sempre ridotta da lui alla sinassi eucaristica. Il
metropolita di Pergamo non menziona mai altri momenti liturgici se
non la Liturgia eucaristica e le attività ecclesiali inerenti ad
essa.
Zizioulas
non concepisce altre fonti di grazia per i fedeli se non la stessa
comunione eucaristica (11) (considerata soprattutto nella dimensione relazionale orizzontale),
alla quale riferisce abusivamente tutti gli altri sacramenti (12) (l’ “eucaristocentrismo” e l’ episcopocentrismo sono i due
fondamenti della sua ecclesiologia).
Per
Yannaras i misteri o sacramenti sono prima di tutto “sette
possibilità concrete che la vita individuale ha per ordinare
organicamente o per tornare dinamicamente alla vita ecclesiale, sette
possibilità che l’uomo ha di partecipare personalmente al modo di
esistenza del corpo della Chiesa” secondo il quale si distacca
dall’individualità autonoma per esistere in relazione (13).
L’idea che i sacramenti potrebbero trasformare il modo d’esistenza
della sua natura per la persona che li riceve, che donano alla
persona che vi partecipa di ricevere la grazia che la sostiene, la
trasforma, la salva, la santifica, la deifica è esclusa dai nostri
autori poiché corrisponderebbe ad un concetto individualista e
pietista.
Zizoulas
esclude una ricezione individuale (o personale in senso classico)
della grazia sacramentale e rifiuta il concetto secondo il quale
questa avrebbe efficacia e permetterebbe il progresso spirituale
dell’individuo/persona; in ciò non vi vede che un’esperienza
psicologica illusoria. Considera che la partecipazione ai sacramenti
è un’integrazione alla comunità il cui significato e portata sono
esclusivamente relazionali (14).
I
nostri due autori considerano il battesimo quale liberazione dalla
necessità biologica, naturale, ed essenzialmente come il passaggio
da un modo d’esistenza individuale (che corrisponde, secondo
Zizioulas, all’ “ipostasi biologica”) a un modo d’esistenza
personale (al quale Zizoulas da il nome d’ “ipostasi
ecclesiale”) (15) o alla vera alterità (quanto in uno degli ultimi interventi di
Zizoulas è oggetto d’una particolare insistenza) (16).
Per
loro, questo modo d’esistenza è identico a quello che Cristo, come
Figlio, ha con il Padre e il battezzato è generato come persona dal
“l’identificazione della sua ipostasi a quella del Figlio” (17).
Abbiamo già parlato sui problemi che pone un tal concetto
d’identificazione tra una persona umana e quella del Figlio e sulla
riproduzione, attraverso essa, della relazione tra Figlio e Padre.
Qui notiamo solo che le funzioni abitualmente riconosciute dai padri
al battesimo, particolarmente quelle della purificazione e
dell’illuminazione, sono ignorate dai nostri due autori. Notiamo
pure che questo concetto di battesimo centrato su Cristo, considerato
sul piano puramente ipostatico in quanto Figlio, fa passare in
secondo ordine e fa pure dimenticare il ruolo essenziale dello
Spirito Santo.
Per
Yannaras, la crismazione significa la relazione della persona unta
con il corpo ecclesiale, e il sigillo apposto su tutte le membra del
corpo è quello di una relazione personale e unica con la Santa
Trinità (18).
Se si rilegge il testo del rituale della crismazione si vedrà che
questa connotazione relazionale che Yannaras considera come
essenziale è assente e che il significato è, contrariamente, il
ricevimento dei doni dello Spirito Santo che gli permettono di
attivare per Dio le sue differenti facoltà facendo dei suoi sensi
dei “sensi spirituali” atti ad accorgersi del mondo spirituale.
Il
sacramento della Penitenza ha il suo valore, secondo Yannaras, nel
ristabilimento della relazione con Dio e non riguarda il peccato se
non nella misura in cui questo è un fallimento in rapporto a una
tale relazione (19).
Si è particolarmente stupiti dall’affermazione di Yannaras per cui
“la relazione del peccatore con Dio nel sacramento della penitenza
è la stessa relazione che ha Cristo crocefisso con il Padre” (20) poiché questo implica l’idea dogmaticamente errata che Cristo
sarebbe un peccatore.
Riguardo
questo stesso sacramento della Penitenza, Zizoulas gli attribuisce
esclusivamente una funzione di riconciliazione con il prossimo e di
restaurazione della comunione tra gli esseri umani (21).
L’eucarestia
piuttosto che essere recepita come la ricezione del corpo e del
sangue di Cristo che assimila il fedele a lui, lo cristifica e lo
deifica, è piuttosto un atto con il quale “l’uomo cessa d’essere
un individuo per divenire una persona” (22).
È considerata come un mezzo con cui i battezzati, avendo acquisito
un modo d’esistenza personale, realizzano il carattere relazionale
della loro personalità nella comunione.
La
comunione eucaristica è considerata soprattutto sul piano
orizzontale della collettività o della comunità ecclesiale (23).
È essenzialmente definita da Zizioulas come una sinassi (24),
un raduno (25) che costituisce “una rete relazionale” (26).
Zizioulas in un modo
assai sfocato gli assegna il fine e l’effetto di un mutuo
riconoscimento esistenziale: “l’eucarestia implica e rivela al di
sopra di tutto l’accettazione riconoscente dell’esistenza
dell’Altro e della nostra esistenza come un dono per l’altro.
L’essenza dell’ ethos eucaristico, dunque, è
l’affermazione dell’Altro e di ogni altro come un dono che
dev’essere apprezzato e suscitare gratitudine” (27).
Yannaras,
da parte sua, insiste sull’unità che l’Eucarestia stabilisce:
“mangiare la carne e bere il sangue di Cristo – egli scrive –
trasforma gli individui in membra del corpo unico” (28).
Essa è quanto fa passare l’uomo dall’individualità alla
personeità considerata come modo d’esistenza relazionale “in
comunione”. Egli scrive ancora: “È l’atto di bere e mangiare trasformato in mutevole scambio di vita nell’amore, nel rinunciare
e rivoltarsi contro l’esistenza autonoma” (29).
Ogni
concetto di comunione eucaristica considerato come comunione
personale (nel senso corrente) del fedele con Cristo è svalorizzato
in quanto individuale (ossia in senso personalista, individualista) e
il fatto di considerare l’Eucarestia come una sorgente di grazia
per la vita spirituale (altrimenti definita come la vita in Cristo) è
rigettato come un’idea pietista (30).
È
inutile dire che questo ridotto concetto non è quello del vangelo in
cui si vede Cristo stesso dare alla comunione un senso nettamente
personale: quello di un’unione personale/individuale del fedele con
Lui, di cui il fedele riceve personalmente/individualmente un effetto
spiritualmente vivificante (“Colui che mangia la mia carne e beve
il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che è
vivente, mi ha inviato e come io vivo per il Padre, così colui che
mi mangia vivrà pure per me” (Gv 6, 56-57).
Questo
concetto non è altro che quello dei padri come emerge, ad esempio,
dalle preghiere che il fedele ortodosso dice prima e dopo la
comunione – preghiere che sono state composte da san Basilio il
Grande, san Giovanni Crisostomo, san Simeone il Metafraste, san
Simeone il Nuovo Teologo e san Giovanni Damasceno e che offrono una
buona prospettiva del concetto tradizionale della Chiesa ortodossa a
tal riguardo – in cui ciascuno chiede a Dio un beneficio spirituale
personale/individuale della comunione che sta per ricevere o ha
ricevuto (31).
Gli
altri sacramenti o misteri sono logicamente considerati dai nostri
due autori nella stessa prospettiva personalista come dei mezzi per
l’uomo di trascendere la sua individualità o la sua “ipostasi
biologica” per divenire una persona.
Secondo
Zizioulas, i ministeri non devono essere ritenuti in una prospettiva
sacramentale ma “in termini personali ed esistenziali” (32).
Per quanto riguardo l’Ordinazione (concepita anch’essa come
qualcosa che implica “una trasformazione dell’individuo in
persona” (33)),
Zizioulas difende l’idea che non si tratta di un sacramento e che
il vescovo o il prete ordinato non riceve alcuna grazia individuale
(o personale in senso classico) né alcun attributo carismatico
legato alla sua persona, ma si trova integrato ad un tessuto di
relazioni per prendervi un certo posto e una certa funzione in seno
alla comunità ecclesiale (34).
È
inutile sottolineare il carattere riduttore d’un tale concetto che,
una volta di più, sostituisce la persona e la relazione alla grazia (35) e che nega i caratteri carismatici particolari legati dai padri ai
ministeri ordinati come la grazia conferita dall’ordinazione ai
ministri (36).
[continua]
Traduzione ©
Traditio Liturgica
Note
(1) Cfr.
C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 71; La Foi
vivante de l’Église,
p. 149, 150; J. Zizioulas, L’Être
ecclésial, Introduction, p. 16; «Du personnage à la
personne», p. 48-49, 51.
(2) Cfr.
J. Zizioulas, L’Église
et ses institutions, passim.
(3) Ibid.,
p. 390.
(4) Vedi
su questo punto la critica di Zizoulas fatta da J. Behr, «The
Trinitarian Being of the Church», St. Vladimir’s Theological
Quarterly, 48, 2003, p. 67-68.
(5) Vedi,
ad esempio, «Christologie, pneumatologie et institutions
ecclésiales Un point de vue orthodoxe”, in Les Églises
après Vatican II, Paris, 1981,
ripreso in L’ Église
et ses institutions, p. 38.
(6) Vedi
«L’identité de l’Église»,
Ἐφημέριος,
52,
2003, ripreso in L’
Église
et ses institutions, p.
138-143.
(7) «Christologie,
pneumatologie et institutions ecclésiales Un point de vue
orthodoxe”, in Les Églises
après Vatican II, Paris, 1981,
ripreso in L’ Église
et ses institutions, p. 38.
(8) «L’
Église
comme communion», S.O.P., 181,
1993, ripreso
in L’ Église
et ses institutions, p.
107.
(9) Ibid.,
p. 118.
(10) Vedi
pure supra, la
sezione intitolata «Absolutistion et idéalisation de la relation».
(11) Zizioulas
che si richiama volentieri a san Massimo il Confessore (ma che lo
interpreta sempre molto liberamente a seconda della sua
convenienza), dovrebbe rileggere i passi delle Questioni a
Thalassios in cui costui evoca le forme della comunione non
eucaristica con Cristo, particolarmente attraverso i logoi
della creazione e i logoi della Scrittura. In seno alla Liturgia
stessa è evocata molte volte un’altra forma di comunione rispetto
alla comunione propriamente eucaristica (in particolare la
“comunione dello Spirito Santo”), in modo che i fedeli
participanti alla Liturgia ma non alla comunione eucaristica si
comunica ugualmente, in un certo modo, a Cristo e allo Spirito
Santo. Questo non impedisce alla comunione eucaristica d’essere la
forma più elevata e più completa di comunione, la comunione per
eccellenza.
(12) Vedi
«L’ Église
comme communion», S.O.P., 181,
1993, ripreso
in L’ Église
et ses institutions, p.
116.
(13) Cfr.
La liberté de la morale, p. 125-126.
(14) Vedi
«Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point
de vue orthodoxe”, in Les Églises
après Vatican II, Paris, 1981,
ripreso in L’ Église
et ses institutions, p. 37-40,
45.
(15) Cfr.
C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 127-128; J.
Zizioulas, «Du personnage à la personne», in L’Être
ecclésial, p. 45-46.
(16) «On
Being Other», in Communion and Otherness, p. 80.
(17) Cfr.
J. Zizioulas, «Du personnage à la personne», in L’Être
ecclésial, p. 48; «Human Capacity and Human Incapacity», p.
438 (= Communion and Otherness, p. 241); «On Being a Person.
Towards an Ontology of Personhood», p. 43 (= Communion and
Otherness, p. 43); C. Yannaras, La liberté de la morale,
p. 131.
(18) Cfr.
La Foi vivante de l’Église,
p. 159-160; La liberté de la morale, p. 130.
(19) Cfr.
La liberté de la morale, p. 133-135.
(20) Cfr.
Ibid. p. 135.
(21) «On
Being Other», in Communion and Otherness, p. 80-81.
(22) Cfr.
J. Zizioulas, «La vision echaristique du monde et l’homme
contemporain», Contacts, 19,
1967, ripreso in L’ Église
et ses institutions, p. 250;
cfr. «L’eucharistie: quelques aspects bibliques», ripreso in L’
Église et
ses institutions, p. 306.
(23) Vedi
L’ Église
et ses institutions, passim.
(24) Vedi
L’ Église
et ses institutions, p. 308 e
passim.
(25) Vedi
ibid., p. 244, 245, 252, 277-279.
(26) Cfr.
C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 71. L’espressione
“rete relazionale” è utilizzata da J. Zizioulas, «Du
personnage à la personne», in L’Être
ecclésial, p. 49-51.
(27) «On
Being Other», in Communion and Otherness, p. 90.
(28) La
liberté de la morale, p. 71.
(29) La
Foi vivante de l’Église,
p. 153.
(30) J.
Zizioulas, L’Être
ecclésial, Introduction, p. 16; «L’identité de
l’Église»,
Ἐφημέριος,
52,
2003, ripreso in L’
Église
et ses institutions, p.
137-143; «La vision eucharistique du monde et l’homme
contemporain», Contacts,
19,
1967, ripreso in L’Église
et ses institutions, p.
245 in cui Zizioulas scrive in modo brutale sull’eucarestia: “Noi
non dobbiamo vedere in essa un mezzo di grazia”. Uno dei discepoli
greci di Zizioulas, S.
Yankazoglou,
riprende su tal punto le idee del suo maestro (attingendole
soprattutto nell’articolo “L’identité de l’Église”,
ripreso in L’Église
et ses institutions, p.
138-141). Egli oppone all’eucarestia, considerata come sorgente e
mezzo di grazia dispensata dalla Chiesa (un’idea che egli
qualifica come “sacramentalista” e “clericalista” e che
attribuisce ad un’influenza della teologia cattolico-romana!),
l’eucarestia come “atto pubblico” costitutivo della Chiesa;
egli rifiuta il legame tra l’eucarestia e l’ascesi personale
considerandolo come “pietista” e “individualista”; più
generalmente denuncia “un approccio terapeutico
dell’ecclesiologia” che vede nella Chiesa “un luogo
terapeutico” («Ecclésiologie eucharistique et spiritualité
monastique: rivitalité ou synthèse», in J.-M.
Van Cangh
(a cura di), L’Ecclésiologie
eucharistique, Bruxelles,
2009, p. 80-81, 85). È facile opporgli gli innumerevoli riferimenti
patristici che considerano la salvezza come una guarigione dell’uomo
malato dal peccato e dalle passioni (vedi lo studio di 850 pagine
che abbiamo dedicato a tal soggetto e che riguarda esclusivamente
gli insegnamenti dei Padri delle Sacre Scritture e dei testi
liturgici: Thérapeutique
des maladies spirituelles, V
ed., Paris, 2007), e, conseguentemente la Chiesa, luogo in cui si
compie la salvezza come luogo di guarigione. Per quanto riguarda
l’eucarestia i padri la considerano e la presentano unanimemente
come un “medicinale” (vedi ibid,
p. 332-333) e le preghiere che la Chiesa chiede ai fedeli da leggere
prima e dopo la comunione, per prepararsi e rendere grazie, non
cessano d’invocare la “guarigione”
da lei procurata. Citiamo a tal proposito anche questa preghiera che
si trova nella stessa Liturgia di san Basilio: “ Tu,
Sovrano dell’universo, concedi che la comunione al santo Corpo e
Sangue del tuo Cristo sia per noi fede che non resta confusa,
amore non ipocrita, pienezza
di sapienza, guarigione dell’anima e del corpo, fuga di ogni
avversario, osservanza dei tuoi comandamenti”.
(31) Citiamo
solamente questi estratti delle prime preghiere prima
della comunione. Prima pregiera: “Ti
ringrazio, o Signore mio Dio, perché non mi hai respinto, benché
peccatore,
ma mi
hai reso degno di
comunicarmi con i tuoi
santi misteri. Ti ringrazio,
perché tu hai voluto che io, benché indegno, fossi
partecipe dei tuoi purissimi
e celesti doni. Ma tu, Sovrano amico degli uomini, che per noi sei
morto e risuscitato
e ci hai donato
questi tremendi e vivificanti misteri a beneficio
e santificazione delle anime e dei corpi, fa’ che essi siano anche
per me salute dell’anima e del corpo, vittoria
contro ogni avversario, illuminazione
agli occhi del
mio
cuore, pace alle mie
potenze spirituali, fede senza rossore, amore sincero, pienezza di
sapienza, osservanza
dei tuoi comandamenti,
aumento della tua divina grazia e possesso del tuo regno. Fa’ che
io, da essi
conservato nella tua
santità,
mi ricordi sempre
della tua grazia e non viva più per me, ma per te, nostro Sovrano e
benefattore. E così, partendo dalla vita presente
con la speranza
della vita eterna, possa arrivare al riposo senza fine, dove è
l’incessante cantico di quanti
ti festeggiano e l’infinito godimento di quanti contemplano
l’ineffabile bellezza del tuo volto”. Seconda preghiera di san
Basilio di Cesarea: “Sovrano, Cristo Dio, Re dei secoli e Creatore
di ogni cosa, ti ringrazio per tutti i beni che mi hai elargiti e
per la partecipazione ai tuoi purissimi e vivificanti misteri. ti
prego dunque, o buono ed amico degli uomini: custodiscimi sotto la
tua protezione e sotto l’ombra delle tue ali. Concedimi di
partecipare degnamente, con pura coscienza, ai tuoi santi misteri,
fino all’ultimo respiro della mia vita, per la remissione dei
peccati e la vita eterna. Tu sei infatti il pane della vita, la
sorgente della santificazione, il datore di ogni bene”.
Terza
preghiera, di san Simeone
Metafrasta: “Tu che hai voluto darmi la tua carne come cibo e
che sei fuoco che brucia gli indegni, no, non consumarmi, o mio
Creatore, ma penetra fino alle giunture delle mie membra, negli arti
miei, nei reni e nel cuore. Brucia le spine di tutti i miei peccati,
purifica l’anima mia, santifica la mia mente, rafforza i miei
piedi insieme con le ossa, illumina i cinque sensi miei, tutto
inchiodami con il tuo timore. Custodiscimi sempre, proteggimi e
difendimi da ogni opera e parola corruttrice. Purificami, lavami,
educami,
mondami, dammi intelligenza, illuminami, rendimi dimora del tuo solo
Spirito e non più ricettacolo del peccato. Divenuto così tua
abitazione con la comunione fuggirà come dal fuoco ogni malvagità
e passione. [...]
o Cristo mio [...]
fa’ di me, tuo servo, un figlio della luce”.
(32) «L’eucharistie:
quelques aspects bibliques» in J. Zizioulas, J. - M. R. Tillard,
J.-J. Von Allmen, L’Eucharistie, Paris, 1970,
ripreso
in L’Église
et ses institutions, p.
288.
(33) J.
Zizioulas, «L’ordination est-elle un sacrement?», Concilium,
74, 1972 ripreso
in L’Église
et ses institutions, p.
347.
(34) Vedi
«Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point
de vue orthodoxe”, in Les Églises
après Vatican II, Paris, 1981,
ripreso in L’ Église
et ses institutions, p. 38;
«L’eucharistie: quelques aspects bibliques», ripreso in L’
Église et
ses institutions, p. 288 (“È
importante che la nozione di ʻordine’
e di ministero sia liberata da un sacramentalismo oggettivante che
considera il dono di un carisma o l’ordinazione al ministero come
dei “sacramenti” essi stessi”); «Les groupes informels dans
l’Église.
Un point de vue orthodoxe», in R.
Metz e J. Schlick (a cura
di), Les Groupes informels dans l’Église,
Strasbourg,
1971, ripreso in L’
Église et ses institutions, p.
324 (“L’ordinazione fa di ciasciun ministro un’entità
relazionale”), p. 324-326 (l’autore scrive particolarmente
“l’autorità che accompagna ogni ministero nella Chiesa è
essenzialmente
condizionata
[sottolineato da noi] dalla nozione di comunione. Questo significa
che nessuna autorità proviene dallo stesso ministero, come sua
conseguenza ontologica […] ma che essa consiste giustamente nella
relazione nella quale è posto il ministro attraverso la sua
ordinazione nella comunità»); «L’ordination
est-elle un sacrement?», Concilium,
74, 1972 ripreso
in L’Église
et ses institutions, p.
341-347 (p. 347, l’autore scrive che nel quadro della sua
concezione “la questione di sapere se l’individuo ordinato
differisce dal laico essentia
[differenza d’essenza] o semplicemente gradu
[differenza di grado] diviene priva d’importanza. Bisognerebbe
piuttosto considerare la differenza in termini d’una specificità
di relazione all’interno
della Chiesa”); «L’évêque
selon la doctrine théologique de l’Église
orthodoxe», in G
Routhier e L. Villemin
(a cura di), Nouveaux
apprentissages pour l’Église,
Paris,
2006, ripreso
in L’Église
et ses institutions, p.
378 (“L’ordinazione è prima di tutto una realtà relazionale”),
385 (“L’ordinazione significa prima di tutto fare entrare
qualcuno in un ordo
particolare”).
(35) Cfr.
«L’ordination
est-elle un sacrement?», Concilium,
74, 1972 ripreso
in L’Église
et ses institutions, p.
347: “L’ordinazione non è un sacramento. La grazia del mistero
di Cristo, ossia l’amore stesso di Dio, ha l’aspetto d’una
relazione e, conseguentemente, è decisiva in senso esistenziale”.
Questo concetto che proviene da un gergo esistenzialista, è di
un’estrema indecenza riguardo a quanto si può leggere, ad
esempio, ne La
Gerarchia ecclesiastica
di Dionigi l’Areopagita e nel trattato Sul
sacerdozio di
san Giovanni Crisostomo.
(36) Qui
Zizioulas è manifestamente meno vicino ad un concetto personalista
propriamente detto rispetto che ad un concetto di tipo sociologico
strutturalista secondo il quale, in un insieme strutturato, ciascun
elemento non ha senso e valore se non per la sua relazione con gli
altri elementi e per il suo posto in rapporto a loro.
A leggere questo testo (che ha sorpreso pure me!) si nota una straordinaria somiglianza con le posizioni cattoliche più "avanzate" (ossia protestanti). Forse non è un caso che questi due teologi, soprattutto Zizioulas, partecipino ad assemblee ecumeniche e alla commissione mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.
RispondiEliminaMi chiedo: su quale base le due parti discutono? Forse su una base assolutamente ridotta ossia protestante?
Il concetto di sacramenti come segni "per far comunità" mi fu ben presente nella mia adolescenza, nella parrocchia cattolica. La stessa cresima, per il parroco di allora, era un segno di accettazione e di appartenenza alla comunità (sic!). Non avrei mai pensato di trovare concetti simili nella testa di un metropolita ortodosso del patriarcato ecumenico! Evidentemente anche in quella direzione la decadenza è ben presente e accomuna la maggioranza delle Chiese oramai!
La tradizione è sempre lì. Non attende che di essere praticata.
La decadenza è ben presente e accomuna la maggioranza delle Chiese,lei dice,giustamente. Un certo cristianesimo, o il cristianesimo si sta spegnendo? È finita la nostra ora? Sono spariti gli dei antichi, sparirà anche il cristianesimo? Ha senso essere cristiani mentre le chiese crollano? Ha senso essere l'unico cristiano rimasto?
RispondiEliminaSì anche essere l'ultimo dei mohicani ha senso perché la Chiesa, pur vivendo nel mondo, non è del mondo ma di Cristo-Dio.
EliminaPer questo pure sant'Atanasio, isolato, perseguitato, nonostante avesse l'impressione di combattere contro i mulini a vento, in un certo momento, rimaneva sereno. La Chiesa è di Dio.