Il lungo testo da me proposto è la traduzione di una piccola parte di un recente libro del teologo ortodosso Jean-Claude Larchet (La vie sacramentelle). Il fatto che sia un autore ortodosso non deve frenare il lettore cattolico dal riflettere profondamente sulle sue parole e, soprattutto, sui testi dei padri da esso esposti. Cosa rende molte chiese così fredde, molte liturgie così formali e prive di anima? Non è forse una fondamentale mancanza di Spirito ossia, come l'autore spiega, la mancanza di una vera sinergia tra l'azione di Dio e quella dell'uomo? A nulla vale confortarsi pensando che, in fondo, partecipiamo ad un culto con approvazione ecclesiastica e che, se anche il sacerdote non eccelle in virtù, farà comunque dei sacramenti validi. La validità del sacramento senza una vita conforme alle forti esigenze evangeliche determina la paralisi della Grazia che, seppur presente, non può operare, sia da parte del sacerdote che amministra che del fedele che si comunica. Di qui la decadenza profonda della Chiesa odierna e il suo vano confortarsi in azioni puramente appariscenti, esteriori e sociali.
_______________
La
Sinergia Sacramentale
1.
I misteri o sacramenti non agiscono per se stessi e solamente grazie
a loro
Per
il mondo ortodosso i misteri o sacramenti non agiscono per se stessi
e solamente grazie a loro poiché la loro efficacia richiede la
libera partecipazione e recezione dei fedeli che ne beneficiano nelle
condizioni adeguate.
Questo
concetto si oppone alla dottrina cattolica romana secondo la quale i
sacramenti agiscono ex opere operato, ossia indipendentemente
non solo dalla qualità di colui che li dispensa ma pure dalle
disposizioni di colui che li riceve (i soli prerequisiti sono la fede
e la non opposizione a questa recezione). Tale pensiero, nato nella
seconda metà del XII secolo presso gli scolastici, ha degli
antecedenti nel pensiero agostiniano: sant'Agostino, combattendo
giustamente l'eresia pelagiana che sopravvalutava il lato umano nel
compimento della salvezza ha, per opposizione, sviluppato una visione
eccessivamente pessimista dell'essere umano decaduto, della sua
volontà e della sua libertà, dando un posto quasi esclusivo al
ruolo della grazia. È questa tradizione ad essere stata ripresa ed
accentuata dai protestanti, con la concezione luterana del “servo
arbitrio” e la dottrina della salvezza per sola grazia (sola
gratia), il che ha contribuito a ridurre considerevolmente il
ruolo dell'ascesi personale nella spiritualità cattolica e, nel
protestantesimo, a non lasciargli alcuno spazio.
Bisogna
pur dire che l'impostazione ortodossa si oppone anche ad una
concezione magica di alcuni neo-ortodossi odierni (particolarmente
nell'Europa dell'est), concezione talora legata a residui di
mentalità magica primitiva (sciamanesimo) in certe campagne, a volte pure tollerata e incoraggiata da determinati preti mal
formati (1).
2.
Il carattere sinergetico della recezione e degli effetti della grazia
La
sinergia indicata dalla Chiesa non si applica, d'altronde, ai
sacramenti ma, in generale, alla grazia divina di cui i sacramenti
sono i veicoli privilegiati e che può essere ricevuta pure
attraverso altre vie, come la preghiera personale; la recezione di
essa non è automatica: la grazia non s'impone ma presuppone, per
agire, una libera recezione volontaria e cosciente da parte
dell'uomo, nonostante che i suoi effetti non siano sottomessi alla
sua volontà e sorpassino sempre, per loro natura, la coscienza che
ne può avere lo stesso uomo. Infatti la grazia non è altro che
l'energia (ἐνέργεια)
divina increata, espressione e manifestazione dell'infinita essenza
di Dio, essa stessa infinita.
I
padri greci parlano di “sinergia” (dal greco συνεργία)
(2) o di collaborazione (dal latino cum laborare) per
designare i due poli correlativi dell'azione della grazia:
l'operazione divina che da la grazia agente (ἐνέργεια)
e la recezione di questa da parte dell'uomo, secondo un processo che
implica la sua libertà, la sua coscienza e la sua volontà ma pure
le sue disposizioni spirituali adeguate (particolarmente la purezza
del corpo e dell'anima, dello spirito e del cuore).
I
padri greci si spingono fino ad affermare che la recezione della
grazia è proporzionale alle disposizioni recettive dell'uomo e
utilizzano il termine “analogia” (ἀναλογία),
ossia secondo la sua misura, secondo il suo grado di
recezione; questa misura non si definisce ontologicamente, in
funzione della natura individuale di ciascuno e del suo posto nella
gerarchia degli esseri (come nel platonismo e nel neoplatonismo), ma
spiritualmente, in funzione delle disposizioni (διάθεσεις)
o degli stati (ἕξεις)
personali di ciascuno, relativamente al proprio grado di fede, di
purezza e di virtù (3).
Alcuni
padri notano che Dio da a tutti la pienezza della sua grazia ma che
tutti, per le ragioni che indicheremo, non la ricevono nello stesso
modo. San Massimo dice addirittura che “ciascuno è l'intendente
della propria grazia” poiché “ciascuno di noi ha l'energia
manifesta dello Spirito in proporzione alla propria fede in suo
possesso” (4). (Qui la fede non significa solo il credere ma tutte
le disposizioni spirituali che vi sono legate quando essa è
“incarnata” ed effettiva). San Giovanni Crisostomo dice alla
stessa maniera: “Dopo la grazia di Dio, tutto dipende da noi e
dalla nostra applicazione” (5).
Il
battesimo, annota san Simeone il Nuovo Teologo, “non è sufficiente
per se stesso alla nostra salvezza” (6); e si può dire la stessa
cosa per gli altri sacramenti singolarmente e nel loro insieme.
L'uomo che li ha ricevuti non diviene in effetti nuova creatura,
conforme a Cristo, se non a condizione che apra tutto il suo essere
alla grazia che gli è stata data dallo Spirito, che rivolga tutte le
sue facoltà e l'intera sua vita a Dio. Detto diversamente, le
condizioni oggettive del nostro sviluppo individuale, della nostra
salvezza e deificazione, costituita dai sacramenti, devono
accompagnarsi con le condizioni
soggettive, ossia con la nostra libera partecipazione, con la nostra
collaborazione volontaria e personale. I sacramenti conferiscono la
vita in Cristo ma abbisognano di un certo contributo da parte
dell'uomo, come afferma Nicola Cabasilas aggiungendo (7): “Da un
alto c'è quanto viene da Dio, dall'altro quanto viene dal nostro
fervore personale; il primo è l'opera propria di Dio, l'altro chiede
pure il nostro generoso zelo (φιλοθυμία)”
(8).
In
effetti, Dio, rispettoso della libertà umana, non saprebbe imporre
la sua grazia e trasformarlo senza che l'uomo la scelga e la voglia
con tutto il suo essere; non saprebbe sostituirsi a lui e agire al
suo posto. A tal proposito san Macario il Grande scrive quanto segue:
“L'uomo
per natura possiede l'attività volontaria ed è questa ad essere
richiesta da Dio. Dunque, in primo luogo, la Scrittura prescrive che
l'uomo rifletta e che, dopo aver riflettuto, ami e, in seguito,
agisca volontariamente. Quanto alla mozione esercitata
sull'intelligenza, in supporto al lavoro e al compimento dell'opera,
ciò è accordato dalla grazia di Dio a colui che vuole e crede. La
volontà dell'uomo è, dunque, un ausilio legato alla sua sostanza.
Senza questa volontà Dio stesso non fa nulla benché lo possa, per
rispetto al libero arbitrio umano. L'efficacia dell'opera divina
dipende dalla volontà umana” (9).
Detto
diversamente, benché i frutti della grazia abbiano la loro sorgente
unicamente in Cristo e ci siano concessi unicamente nella Chiesa
dallo Spirito santo, suppongono il acconsentimento e la
collaborazione attiva dell'uomo. Esigono, come dice san Macario il
grande, che l'uomo “metta la propria volontà in accordo con la
grazia” (10). Si effettuano, così, in una sinergia tra la grazia
divina e lo sforzo umano. San Macario dice che se l'anima “non
collabora con la grazia dello Spirito che abita in essa, viene
spogliata vergognosamente e ignominiosamente della sua dignità e
privata della vita poiché essa è divenuta […] inadatta alla
comunione con il Re celeste” (11).
Così,
Dio non impone la sua grazia (e i suoi effetti) poiché rispetta
sovranamente la libertà umana. Perciò si può dire che se l'uomo
non può nulla senza la grazia (che in effetti è l'unica sorgente
effettiva di ogni bene), inversamente la grazia non può nulla senza
che l'uomo l'accetti, si apra ad essa, la lasci agire in lui non con
un semplice stato passivo ma disponendo se stesso e lottando contro
le passioni, tendendo ad acquisire le virtù.
Dio
non impone la sua grazia anche perché attende l'acconsentimento
personale dell'uomo, la sua collaborazione volontaria e attiva quali
segni e prove del suo amore. Attraverso ciò vuole pure che l'uomo si
appropri veramente dei beni che Lui gli dona, vuole, come spiega
Gregorio di Nazianzo, che “l'anima possegga l'oggetto della sua
speranza come prezzo della sua virtù e non solo come dono di Dio”
(12).
San
Nicola Cabasilas riassume tutti questi aspetti in questo modo:
“Se
è vero che Dio ci dona gratuitamente tutte le cose sante e che noi
non aggiungiamo alcun nostro contributo ad esse, essendo
assolutamente delle grazie da parte sua [ossia doni nel loro
principale significato], ciononostante esige necessariamente da noi
di divenire atti a riceverle e conservarle. Non fa partecipare alla
santificazione se non coloro che sono disposti in tal modo. È così
che ammette al battesimo e alla crismazione e che fa partecipare
all'augusto banchetto” (13).
[…]
9.
La sinergia nel sacramento dell'Ordine sacro
Come
per tutti i sacramenti, l'ordinazione suppone una sinergia tra la
grazia di Dio ricevuta attraverso il sacramento e le disposizioni di
chi l'ha ricevuta. Questa
si deve accordare a quelle. Ecco perché san Paolo dice al suo
discepolo Timoteo: “Per
questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te
mediante l'imposizione delle mie mani” (2
Tim 1, 6). A tal proposito san Giovanni Crisostomo spiega
chiaramente:
“Siccome
so che voi avete una fede sincera, vi avverto e vi dico: avete
bisogno di zelo per riaccendere il fuoco della grazia di Dio. Come il
fuoco ha bisogno di legna per alimentarsi, ugualmente la grazia ha
bisogno del vostro zelo per non spegnersi. 'Ti ricordo di ravvivare
il dono di Dio che è in te mediante l'imposizione delle mie mani',
ossia la grazia dello Spirito santo da te ricevuta per presiedere la
Chiesa […] e per ogni servizio di Dio. Poiché dipende da noi
accendere o spegnere questo fuoco. L'Apostolo in un altro passo dice
pure: 'Non spegnete lo Spirito' (1 Tess 5, 19). Si spegne con la
disinvoltura e la viltà e si accende sempre più con la
vigilanza
e l'attenzione. Questo fuoco è in voi ma sta a voi renderlo più
vivo; ossia alimentarlo con la confidenza la gioia e l'allegria.
[Dio] vi ha dato lo spirito di forza e d'amore per Lui. È là,
dunque, un effetto della grazia ma non di essa sola; bisogna che
iniziamo a fare quanto dipende da noi” (14).
Si
può confrontare il carisma ricevuto al momento dell'ordinazione a
una brace che necessita del soffio da colui che l'ha ricevuta per
essere un fuoco che illumina una fiamma che riscalda. Questo soffio
corrisponde alla vita spirituale del prete, alla sua fede, alle sue
virtù, alle sue disposizioni, attitudini e stati spirituali.
Riferendosi a questa analogia Clemente d'Alessandria scrive:
“Un
uomo è realmente prete della Chiesa e vero diacono della volontà di
Dio se fa e insegna quanto dice il Signore” (15).
A
differenza della concezione cattolico-romana iniziata da Agostino
che, nei riguardi dell'amministrazione dei sacramenti, tiene conto
solo dell'ordinazione del prete, i padri greci hanno spesso la
tendenza a sottolineare l'importanza correlativa della sua dignità,
ossia la
sua conformazione alla fede e all'ethos
[allo stile] della Chiesa.
Così, nei riguardi del discorso di Cristo a Pietro “ti darò le
chiavi del Regno dei cieli”, Origene scrive:
“Coloro
che rivendicano la dignità episcopale si fondano su queste parole
come Pietro, per dire che hanno ricevuto dal Salvatore le chiavi del
Regno dei cieli e, conseguentemente, che quanto legano, ossia quanto
condannano, è legato nei cieli e che chi ha ricevuto da loro la sua
remissione è slegato nei cieli. Noi affermiamo che parlano
sanamente a condizione che facciano l'opera per la quale è stato
detto a Pietro 'Tu sei Pietro',
ed è su di loro che Cristo fonda la sua Chiesa ed è a loro che
questa parola si applica realmente” (16).
Si
trovano concetti analoghi in san Simeone il Nuovo Teologo. Nei
riguardi della celebrazione della Liturgia scrive:
“Fratelli,
non vi perdete, non abbiate l'audacia di toccare o di avvicinarvi a
Colui che è inaccessibile per natura! Poiché colui
che non rinuncerà al mondo
e alle cose del mondo e che non rinnegherà la propria anima e il
proprio corpo […], costui
non può offrire in modo puro l'Offerta mistica
e non sanguinosa a Dio, per natura puro” (17).
E,
riguardo la confessione:
“Si
dice: 'Il potere [di rimettere i peccati] appartiene ai preti'. Lo so
pure io; è la verità. Ma non a tutti i preti puramente e
semplicemente bensì a coloro che esercitano il sacerdozio del
vangelo in spirito umile e conducono una vita irreprensibile, che si
dedicano per primi al Signore e, come una vittima perfetta, santa,
gradita, rendono un omaggio puro interiormente nel tempio del loro
corpo, in modo spirituale […]; coloro che giorno e notte, in umiltà
perfetta, fanno penitenza, si affliggono e pregano con lacrime, non
solo per loro ma per il gregge loro confidato e per tutte le sante
Chiese di Dio nel mondo. E non è tutto! Essi piangono amaramente in
presenza di Dio per gli errori altrui e non prendono nulla più che
il necessario nutrimento; essi non hanno alcun tipo di rispetto o
gioia corporale ma, come sta scritto, 'camminano nello spirito e non
compiono i desideri della carne' […]. Ecco
a chi appartiene il legare e lo sciogliere, l'esercitare il
sacerdozio e l'insegnamento, non a coloro che hanno solo ricevuto
dagli uomini elezione e nomina (18).
Veglia,
te ne prego, a non caricarti mai delle responsabilità altrui quando
tu stesso sei debitore di qualcosa; non avere l'audacia di dare
l'assoluzione senz'aver acquisito nel tuo cuore Colui che si carica
del peccato del mondo. Sii attento a giudicare il tuo prossimo,
fratello, solo quando sarai divenuto un severo giudice dei tuoi
errori e un indagatore dei tuoi propri sbagli, non prima d'aver
cancellato con le lacrime e la compunzione la giusta sentenza contro
di te. Solo allora, pieno di Spirito santo, liberato dalla legge
della carne e dalla morte del peccato, sarai stabilito dalla grazia
di Dio come giusto giudice per giudicare gli altri, in quanto
confermato in ciò da Dio attraverso lo Spirito” (19).
Per
quanto concerne la funzione di predicatore, insegnante e maestro,
intimamente correlato all'episcopato, essa è legata al “carisma
della verità” (20) dato al vescovo al momento della sua
ordinazione. Ma questo
carisma, dono dello Spirito, dev'essere preservato e mantenuto dal
vescovo
e la Chiesa prega per questo, poiché in ogni Liturgia il celebrante
chiede a Dio di fare del vescovo “un fedele dispensatore della
[Sua] parola di verità”.
Bisogna
ricordare che la verità tutta intera appartiene alla Chiesa. I
vescovi ne sono i depositari e gli insegnanti (maestri) nella misura
in cui sono in unione con la Chiesa e sono irreprensibili nel loro
comportamento.
Sant'Ireneo scrive:
“È
così che la Tradizione degli Apostoli, manifestata nel mondo intero,
è in tutta la Chiesa e può essere perseguita da coloro che vogliono
vedere la verità. Potremo enumerare i vescovi stabiliti dagli
apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora, essi non
hanno insegnato né conosciuto nulla che assomigli alle immaginazioni
deliranti di quelle persone [gli eretici]. […] Poiché essi [gli
apostoli] vollero che quanti designarono come successori fossero assolutamente perfetti e irreprensibili
in ogni cosa (1 Tim 3, 2) e che
trasmettessero la loro missione d'insegnanti. Se questi uomini
assolvevano correttamente la loro carica c'era grande profitto mentre
se fallivano nasceva il peggiore dei mali” (21).
Il
fatto che i vescovi dispensino un insegnamento veridico e dispongano
tutto per questo, secondo quanto dice sant'Ireneo, con un “carisma
certo di verità”, viene dal fatto di beneficiare della
successione apostolica la quale non dev'essere solo compresa come una
catena ininterrotta cronologicamente ma come un insieme unito,
coerente e solidale,
una sorta di collegialità che trascende i tempi e s'integra al corpo
di Cristo nel quale riposa lo “Spirito di verità”. Qualsiasi
vescovo che pensasse o insegnasse in rottura con quest'insieme
organico, ossia in modo puramente individuale, o che terrebbe uno
stile di vita che non fosse quello di un membro del Corpo di Cristo,
perderebbe il suo “carisma di verità”, sarebbe trascinato dalla
sua immaginazione e cadrebbe nell'errore e nell'eresia.
È in questo senso che sant'Ireneo scrive:
“Bisogna
ascoltare i presbiteri che sono nella Chiesa: sono i successori degli
apostoli e, con la successione nell'episcopato, hanno ricevuto il
carisma sicuro della verità secondo il piacere buono del Padre.
Quanto a tutti gli altri, che si separano dalla successione
originale, qualunque sia il modo con il quale tengono le loro
conventicole, bisogna guardarli come sospetti: sono degli eretici
dallo spirito falso o degli scismatici pieni di orgoglio e
sufficienza o ancora degli ipocriti che non agiscono se non per lucro
e vanagloria. Tutta
questa gente si è smarrita lontano dalla verità
[…].
Ci
si deve, dunque, allontanare da tutti gli uomini di questo tipo ed
attaccarsi,
al contrario, a coloro che, come stiamo per dire, osservano la
successione degli Apostoli e, con la carica presbiterale, offrono una
parola sana e una condotta irreprensibile
(Tit 2, 8) […]. È per questo che l'apostolo Paolo, forte della sua
buona coscienza, si giustificava presso i Corinti: 'Noi
non siamo infatti come quei molti che falsificano la parola di Dio;
ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio,
in Cristo'
(2 Cor 2, 17); 'Fateci
posto nei vostri cuori! Noi
non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo rovinato nessuno, non
abbiamo sfruttato nessuno'
(2 Cor 7, 2).
Sono
questi presbiteri che nutre la Chiesa […]. Paolo insegna il luogo
in cui li si troverà: 'E
Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo
luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori'
(1 Cor 12, 28). È in effetti là ove furono deposti i carismi di Dio
che ci si deve istruire sulla verità, ossia presso coloro in cui si
trova riunita la successione nella Chiesa dagli apostoli, l'integrità
inattaccabile della condotta e la purezza incorruttibile della parola
(Tit 2, 8). Questi uomini conservano la nostra fede nell'unico Dio
che ha creato tutte le cose; fanno crescere il nostro amore verso il
Figlio di Dio che ha compiuto per noi queste grandi economie; infine
ci spiegano le Scritture in modo totalmente sicuro” (22).
Il
“carisma di verità” di cui dispone il vescovo suppone, per
essere attivo, che costui abbia una fede giusta e abbia ricevuto una
formazione teologica adeguata ma che, pure, abbia condotto e continui
a condurre un tipo di vita ecclesiale e personale in accordo con
questa fede che ne conferma contemporaneamente i fondamenti e
l'espressione, secondo il principio “lex
orandi, lex credendi”.
Nel
momento dell'ordinazione del vescovo, la Chiesa non gli da solo il
“carisma di verità” legato alla sua funzione, ma prova la sua
fede e gli domanda di manifestare che sia veridica. All'inizio del
rito di consacrazione (23), uno dei vescovi consacranti gli domanda:
“Qual'è la tua fede?”. Il futuro vescovo risponde con una prima
professione di fede che comporta la recita del Credo e
un'affermazione della sua intera adesione alle definizioni dei sette
concili ecumenici e dei sinodi locali, ai canoni adottati dai santi
padri e a tutto quanto insegna la Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica.
Dopodiché
il secondo vescovo consacrante gli domanda: “Esponici in modo più
dettagliato la tua professione di fede sulle proprietà delle tre
Persone dell'incomprensibile Trinità”. L'ordinando gli risponde
con una professione di fede trinitaria ortodossa. Alla fine, alla
richiesta del terzo vescovo, l'ordinando presenta una confessione di
fede ortodossa sulla persona e sulle nature di Cristo e sulla
venerazione delle icone. Ogni volta l'ordinando attesta che questa
confessione di fede è stata redatta di propria mano e ne legge il
testo sull'evangeliario aperto che tiene tra le mani.
Solo
allora è confermata la promozione dell'ordinando come vescovo,
promozione che sarà seguita dalla consacrazione.
È
ovvio che questa sinergia è necessaria non solo per quanto riguarda
la funzione d'insegnamento del vescovo e del prete, ma per
l'esercizio conveniente delle loro altre funzioni sacerdotali.
Benché
l'ordinazione conferisca a quanti sono dello stesso rango la medesima
qualità ministeriale, il
principio caro ai padri greci dell'analogia, ossia di una recezione
della grazia proporzionalmente alla dignità spirituale di ciascuno,
si applica pure ai chierici
(24).
Note
1)
Questo si manifesta particolarmente attraverso la costante pratica di
comunicare i bambini il più spesso possibile, al di fuori di ogni
contesto liturgico, e di condurli in chiesa solo al momento della
comunione, oppure a far partecipare adulti e bambini in buona salute
al sacramento dell'Unzione dei malati con un fine profilattico.
2)
Riguardo a questa nozione, il suo significato, il suo posto e la sua
importanza nella tradizione teologica e ascetica ortodossa, vedi: V.
Lossky, La
teologia mistica della Chiesa d'Oriente;
M. Lot-Borodine, La
Déification de l'homme,
Paris, 1970, p. 216-222. Lo stesso termine di “sinergia” è
frequentemente utilizzato dai padri, in particolare da san Macario
d'Egitto, san Marco il Monaco, san Nicola Cabasilas.
3)
La nozione di analogia è molto presente in Dionigi l'Areopagita ma
pure presso san Massimo il Confessore e in altri padri.
4)
Questioni
a Thalassios,
54, CCSG 7, p. 455.
5)
Catechesi
Battesimali,
V, 24.
6)
Trattati
etici,
X, 448.
7)
Cfr. La
vita in Cristo,
I, 66, SC 355, p. 132.
8)
La
vita in Cristo,
I, 16, SC 355, p. 90.
9)
Omelie
(coll.
II), XXXVII, 10, PTS 4, 269-270.
10)
Ibid.,
XV, 5, PTS 4, p. 129.
11)
Omelie
(Coll. II), XV, 2, PTS 4, P. 127.
12)
Discorsi,
II, 17, SC, 247, p. 112; cfr. Poemi,
I, II, 9, v. 90-91.
13)
Spiegazione
della Divina Liturgia,
I, 2, SC 4 bis, p. 56.
14)
Commento
alla seconda epistola a Timoteo,
I, 2, PG 62, 603.
15)
Stromati,
VI, XIII, 106, SC 446, p. 272.
16)
Commento
al Vangelo secondo Matteo,
XII, 14.
17)
Inni,
XIX, 86-103, SC 174, p. 100-102.
18)
Catechesi
XXVIII,
262-293, SC 113, p. 148-150.
19)
Trattati
etici,
VI, 417- 428, SC 129, p. 150.
20)
L'espressione è di Sant'Ireneo di Lione, Contro
le Eresie,
IV, 1, 2.
21)
Contro
le Eresie,
III, 3, SC 211, p. 30.
22)
Contro
le Eresie,
IV, 26, 2-5, SC 100, p. 718-728.
23)
Quando questo è seguito integralmente poiché capita che sia
abbreviato.
24)
Ad esempio Giovanni Crisostomo scrive riguardo al diacono e
protomartire Stefano: “Vedete come, tra i sette, ve ne sia uno che
si distingue e tiene il primo rango. Benché tutti avessero ricevuto
l'ordinazione, egli attirò su se stesso una maggiore grazia”
(Omelia
sugli Atti degli Apostoli,
XV, 1).
================================================
Traduzione
©
Traditio Liturgica
Qualche tempo fa, un gentile signore mi scagliò contro un commento che non ho pubblicato.
RispondiEliminaTra l'altro diceva:
"Parla lei che pretende di insegnare al Papa a fare il Papa. Lei solo ha "chiare le basi del cristianesimo", lei critica cattolici,protestanti e ortodosso, trova difetti dappertutto,nel Papa, in mons Lefebvre,nel patriarca di Costantinopoli, nei preti greci,nei monaci cattolici ec ecc ".
Questo signore evidentemente non ha mai letto i padri e quanto essi siano esigenti in materia di fede e di comportamento.
La loro esigenza non è mai fine se stessa ma in vista di rendere operativa la grazia che, come è ben scritto in queste righe, ne verrebbe completamente compromessa. A quel punto il cristiano si nutrirebbe di ombre, di apparenze, di sentimenti.
E che il nostro Cristianesimo si sia progressivamente ridotto a questo è esperienza quotidiana incontestabile.
E' ovvio che ricordare questo può far ribellare alcune anime fragili, legate solo ad una inconsistente apparenza fenomenologica della religione.
Va di suo che tutto ciò non è affatto insegnato nelle scuole teologiche che formano il clero attuale....
RispondiEliminaCaro Pietro,
RispondiEliminail cattolicesimo viene da secoli di "asfissia pneumatologica" dovuta ad eccesso di razionalismo teologico.
Non bastasse questo, ci si è messo anche un eccesso di "psicologia applicata alla fede".
Se San Paolo cercava di distinguere l'uomo psichico e quello spirituale, oggi vediamo un duplice confusione: innanzitutto l'uomo spirituale è stato assorbito dentro quello psichico e poi, fatta di anima e spirito la stessa cosa, ci si è orientati soprattutto alla psicologia, rincorrendo tutto ciò che è moralismo, sentimento ed emozione.
Per riportare i sacramenti a dispensare la "grazia spirituale" e non della banale "grazia psichica", è necessario riappropriarci dell'antropologia biblica, nella sua triplice articolazione che fa dell'uomo carne, anima e spirito. L'anima (la psiche) è intermedia, ma è mortale come il corpo e non esaurisce lo spirito dell'uomo. Anche se l'essere vivente (per la Bibbia: nefesh) è indifferentemente animale o umano, l'uomo ha una propria razionalità e volitività (il cuore), che l'animale non ha. Ma lo spirito che vi è implicato (il "germe divino") è una facoltà immortale che trascende l'anima nel senso di psiche e riguarda l'anima nel senso di spirito: l'aver ormai associato al termine anima i due sensi in cui è interpretabile, alimenta la confusione. Il "cuore" è là dove lo Spirito di Dio incontra lo spirito dell'uomo capace di Dio (è ciò che distingue l'uomo dall'animale e nella creazione l'uomo non fu solo nefesh, ma nishemat chajim, cioè ricevette lo spirito di vita, intendendosi non l'essere in vita materiale, per il quale basta la nfesh, ma la "vita spirituale").
Il cristiano riceve nel battesimo lo Spirito di Dio, per fecondare la propria capacità spirituale. Questa "nuova vita" si apre a essere creatura nuova, rinata dall'alto, generata nel grembo della Chiesa, madre dei credenti. Non per essere solo un embrione, ma per farci consapevolmente figli adottivi di Dio, cosa che possiamo essere solo per grazia e non per natura,
Per arrivare lì bisogna accudire questa vita nascente e nutrirla, tramite i sacramenti, che devono essere cibo di grazia spirituale, per fare di noi degli uomini spirituali, in cui il mondo e i sensi non induriscano il cuore al punto da rudurlo a un "affare psichico", anche nella volitività buona, anche nelle idealità "giuste"... E' solo svuotandoci di noi, che ci riempiamo di Cristo. Il "mondo" è allora soprattutto una fonte di indurenti il cuore, occasione di impurità che non permettono di "vedere Dio". Viceversa, un cuore puro e un cuore guarito dalla sclerocardia si possono elevare dalla semplice psiche alla vita spirituale che compete alla natura dell'uomo.
Ripeto: oggi c'è troppa psicologia, troppo mondo, perciò lo spirito umano diventa soprattutto le nostre idee, anche su Dio...
La teologia dei mistici si lascia invece investire dalla rivelazione di Dio, trascinandoci alla vita che non sa che farsene delle suggestioni mondane, non perchè il corpo non conti, ma perchè è Cristo a vivere in noi, trasformandoci a creature che hanno una vita spirituale già in questa esistenza terrena... Quanto aiuterebbe una Chiesa che dispensa sacramenti per nutrire lo spirito dell'uomo, senza lasciar credere che dentro l'uomo ci sia, per natura, lo Spirito di Dio, ridotto alle misure di uno "spirito umano" che per molti è, in definitiva, la psiche o la razionalità o l'idealità...
un caro saluto
ruggero
Ne convengo perfettamente, e, d'altronde, tutta questa confusione in casa cattolica produce le situazioni più paradossali: si finisce per credere "uomini di Dio" e persone ispirate dei perfetti impostori e pervertiti, come succede nei casi scoperti dalle iene in cui preti smanaccioni o sbaciucchioni danno consigli e si dipingono come santoni.
EliminaSolo quando il caso scoppia allora tutti corrono ai ripari.
Nessuno, pare, si accorge che molto a monte l'albero è marcio ed è questo albero a produrre frutti marci: le istituzioni formative nella maggioranza dei casi pare non funzionino più!
I padri, come si vede sopra, avevano le idee chiare: per loro bisognava FUGGIRE da quell'uomo di Chiesa che non trasmetteva l'ethos della Chiesa stessa, non bisognava aspettare che si producessero scandali o abusi.
Questo perché questi padri avevano una visione spirituale delle cose.
Se, mettiamo, un vescovo ruba o fa rubare per se 100 mila euro, mantiene una o più ragazzine come se fossero le sue prostitute ma, apparentemente, dicesse al mondo intero (o facesse dire) che è una persona buona, aperta e attenta alle tradizioni, si deve ancora seguire, ascoltare, frequentare?
Personalmente direi proprio di NO. Non si deve aspettare che la cosa degeneri ulteriormente.
Capisco che a volte può essere duro applicare tutto ciò ma non sono io che ho fatto la scelta di divenire vescovo. Se un uomo è attaccato al sesso e al denaro dovrebbe avere almeno l'onestà di non assumere un incarico di Chiesa.
Se poi quest'uomo avesse idee tutt'altro che cristiane, dietro l'apparenza di cristianesimo è, ovviamente, molto peggio!
Eppure c'è ancora chi da credito a gente simile a quella di quest'esempio. A quel punto l'eventuale vittima è degna del suo carnefice e non dovrà più sorprendersi o scandalizzarsi di nulla.
"Ci si deve dunque allontanare dagli uomini di questo tipo". Concordo.
EliminaIl problema nasce quando, nel raggio di 70 km, trovi solo uomini di questo tipo. Non sempre si puo' percorrere tanta strada. Che fare allora? sforzarsi di frequentare comunque liturgie sciatte, ricevere sacramenti ex opere operato sperando che diano comunque frutto? Vale la pena andare in Chiesa non vedendo l'ora di uscirne?
Purtroppo è la miseria che vive il sottoscritto.Non vedo soluzione certa..
nikolaus
Vede, Nikolaus, dal punto di vista umano non c'è via di uscita. Mi dicevano che un cardinale, che volle mantenere l'anonimato, confidasse che la situazione è talmente grave che non v'è soluzione, umanamente parlando.
EliminaMa non c'è solo il punto di vista umano ma la provvidenza di Dio che non viene meno per chi confida in Lui e lo cerca con cuore profondamente sincero.
La grazia, come dice questo autore e io ne sono profondamente convinto, passa anche attraverso la preghiera, altrimenti saremo persi! Certo oggi non è facile e ci si deve arrangiare come meglio si può. Ma l'importante è avere sempre gli occhi aperti perché è tutto in gran parte inquinato...
Dicevo che le istituzioni formative pare non funzionino più.
RispondiEliminaRicordo il caso di un tizio che vent'anni fa si recò da un vescovo diocesano da qualche anno oramai defunto. Questo signore era neocatecumenale.
Chiese al vescovo: "Eccellenza vorrei entrare nel suo seminario diocesano. Ma è vero che lei accetta tutti?".
Il vescovo: "Certo, figliolo, accetto tutti!".
Il tizio: "Ma proprio tutti, tutti??".
Il vescovo: "Certo figliolo, tutti, tutti!".
Il dialogo mi fu riferito dal tizio stesso (oggi canonico in una cattedrale). Non penso che con "tutti" si riferisse al fatto di essere neocatecumenale ma a qualcosa legato alle sue caratteristiche psicologico-affettive. Almeno questo è quanto ho dedotto con il tempo, riflettendo sul caso di quella persona, alquanto singolare in verità.
Il vescovo accettava "tutti tutti", come se l'istituzione del seminario, e il vescovo in primis, non dovessero vagliare le persone per divenire sacerdoti. Qualche anno prima di morire il medesimo vescovo confessò ad un mio conoscente di "aver sbagliato molte cose" nelle sue scelte pastorali.
Bisognava arrivare alle soglie della morte per accorgersene???
Vedete, vedendo queste cose già molto tempo fa poi non mi sono per nulla sorpreso di scandali e schifezze varie che sono pian piano emerse. Se la Chiesa accoglie "tutti tutti" e non forma quasi più nessuno, che ci aspettiamo ancora???
I padri con la loro sensibilità spirituale sono stati totalmente abbandonati. Ecco perché siamo dove siamo....
Nel'articolo odierno di Alessandro Gnocchi su "Il Foglio", si richiama nuovamente il principio del sacramento che vale per se stesso (ex opere operato). In questo caso l'autore parla del sacramento dell'unzione dei malati.
RispondiElimina"Questa sequenza di segni, così celesti e così concreti, “ad oculos, ad aures, ad nares, ad os comperssis labiis, ad manus, ad pedes” avrebbe efficacia anche se l’uomo non ci mettesse il cuore, perché sgorgano da quello di Dio."
Il presente post mostra come, invece, la grazia si arresta dinnanzi al cuore duro dell'uomo poiché il cuore immenso di Dio ne rispetta la libertà.
Condivido quanto esposto...purtroppo a dire certe cose in ambienti cattolici, ad esmepio forum, si viene presi per eretici, fautori della religione fai da te....se gli citi i padri della chiesa ti dicono di lascaire stare "questi monaci antichi"....parlano di grazie infuse e operanti a tutto spiano senza bisogno della collaborazione umana, e quando gli fai notare che il 90% e passa della gente ha ricevuto tutti i sacramenti eppur edi santi, beati e simili in giro non se ne vedono, allora cominciano a postare liste lunghissime di papiri di questo o quel teologo moderno, per buttarla in "caciara", come si dice dalle mie parti....
RispondiEliminaGentile Luca,
Eliminala gente può dire quel che vuole e costruirsi (loro sì) una religione "fai da te". Libera di farlo.
Ma se una persona vuole iniziare a capirci qualcosa del Cristianesimo lo deve fare con metodo, conoscendo come questa "pianta" è venuta su pian piano lungo la storia.
Il metodo nel nostro caso è LA TRADIZIONE ossia un tesoro ricevuto dagli apostoli e trasmesso (pur con le debolezze umane) attraverso determinate modalità lungo il tempo.
Per questo è FONDAMENTALE osservare in che senso il Cristianesimo era vissuto dai padri della Chiesa, ad esempio.
Infatti il modo d' intenderlo e di viverlo avuto da loro non può confliggere con il modo d' intenderlo e di viverlo che ne abbiamo oggi.
Se, come lei sente, si dice che questi sono "monaci antichi", e lo s' intende in senso museale e dispregiativo, allora è evidente che questo contesto ecclesiastico ha già fatto scisma con la Chiesa dei padri e quindi non veicola più lo spirito delle origini. Che la cosa riguardi pochi singoli o qualche ambiente non è meno grave (anche se oggi questa mentalità è più che diffusa!).
La Chiesa dei padri è maestra anche per oggi non in dettagli o consuetudini storiche che, legate alle vicende umane, possono venire meno. È maestra nelle cose essenziali ed è per questo che i padri ci sono maestri anche dopo 15 secoli!
Ma se non li si ritiene più maestri è segno che non abbiamo più a che fare con loro e con l'essenzialità da loro custodita e per la quale alcuni di loro hanno versato il sangue. Da quello non può che seguire questo per logica conseguenza!
Non si stupisca se glielo dico: una significativa parte del Cristianesimo in Occidente ha fatto un reale SCISMA (spesso con eresia) con il passato, è divenuto perciò un'altra Chiesa, ma si conforta di essere vivo e vivente solo perché mantiene una formale comunione con il papa di Roma e con il vescovo locale, come si faceva un tempo, e continua a radunarsi in edifici ecclesiastici antichi appartenuti a gente di ben altro spirito.
Questa comunione, disprezzate le cose sostanziali, non vuol dire più niente.
Purtroppo quei signori che la buttano in "caciara" finiscono per diffondere un Cristianesimo che non converte più nessuno e, in modo indolore, conducono sempre più persone verso l'agnosticismo. Questo Cristianesimo, ahimè!, è morto anche se si circonda di mille attività e si autoglorifica narcisisticamente. "Dai loro frutti li riconoscerete".
Mi viene in mente il mio professore d'italiano,che non ci fece studiare Dante perchè " è roba di 800 anni fa". I preti e i cristiani moderni ragionano nello stesso modo: guardiamo ai duemila anni di storia,tradizione e cultura cristiane con il filtro "moderno" del concilio vat II, la cosiddetta Nuova Pentecoste !Ricominciamo dal concilio con la guida dei nuovi teologi! Ormai il popolo cristiano è perso, sbandato, sciolto da qualsiasi legame di dottrina e di tradizione che non conosce e che disprezza. Il cristianesimo di un tempo non esiste quasi più. Leggo che anche nell'ortodossia c'è il tentativo ,che ha successo, di cambiare la liturgia, con l'uso della Liturgia di San Tommaso,se non ricordo male, o era Giacomo?, cioè con un alleggerimento e modernizzazione. Tutto cambia, e quando i vecchi che hanno ancora memoria e ricordi spariranno il capovolgimento potrà completarsi. Staremo a vedere, anzi starete a vedere, io spero di non esserci più per quel tempo.
RispondiEliminaQuel tipo di Cattolicesimo a cui lei intende è protestantesimo puro, tranne il fatto che i protestanti (conosco qualche cattolico che lo è divenuto) sono almeno più onesti e conseguenti: non stanno in un ambito nel quale si dovrebbero dire altre cose!
EliminaPer quanto riguarda l'Ortodossia è vero che ci sono alcuni ambiti tentati di modernismo ma la liturgia non ne viene intaccata. La liturgia di san Giacomo (non di san Tommaso!) è una liturgia antica da poco ristabilita e la si celebra al massimo due volte l'anno. Per alcuni è un archeologismo liturgico e infatti non compare affatto nei libri liturgici ufficiali ma in opuscoli a parte e non è affatto obbligatoria.
Forse da parte di qualcuno c'è la tentazione di cambiare le carte in tavola servendosi di archeologismi, non so... Fatto sta che nel mondo ortodosso toccare qualcosa è estremamente difficile e se qualcuno osa farlo scoppia il finimondo...
http://www.johnsanidopoulos.com/2014/10/the-liturgy-of-saint-james-trojan-horse.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Mystagogy+%28MYSTAGOGY%29
RispondiEliminaLe mando il sito in cui ho letto della "nuova" liturgia ortodossa
Grazie. Le faccio sempre presente che il mondo ortodosso non è conquistabile come lo è stato quello cattolico perché non ha un capo o sovrano assoluto il quale, quando comanda, deve essere obbedito. Lo stesso patriarca di Costantinopoli deve fare i conti con questo fatto e anche se nel sito della Metropoli ortodossa di Italia (greco-ortodossa) si dice che egli è il "vertice dell'Ortodossia" (il che è una balla mostruosa!!!) di fatto a tale "vertice" arrivano diversi sberleffi dagli stessi gerarchi ortodossi...
EliminaCon questi presupposti è quasi impossibile che qualcuno cerchi di modificare qualcosa. E infatti la stessa liturgia di san Giacomo non è accolta con gran calore e ci si limita a celebrarla due volte all'anno. C'è pure chi non la celebra mai!