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sabato 1 novembre 2014

La sinergia sacramentale

Il lungo testo da me proposto è la traduzione di una piccola parte di un recente libro del teologo ortodosso Jean-Claude Larchet (La vie sacramentelle). Il fatto che sia un autore ortodosso non deve frenare il lettore cattolico dal riflettere profondamente sulle sue parole e, soprattutto, sui testi dei padri da esso esposti. Cosa rende molte chiese così fredde, molte liturgie così formali e prive di anima? Non è forse una fondamentale mancanza di Spirito ossia, come l'autore spiega, la mancanza di una vera sinergia tra l'azione di Dio e quella dell'uomo? A nulla vale confortarsi pensando che, in fondo, partecipiamo ad un culto con approvazione ecclesiastica e che, se anche il sacerdote non eccelle in virtù, farà comunque dei sacramenti validi. La validità del sacramento senza una vita conforme alle forti esigenze evangeliche determina la paralisi della Grazia che, seppur presente, non può operare, sia da parte del sacerdote che amministra che del fedele che si comunica. Di qui la decadenza profonda della Chiesa odierna e il suo vano confortarsi in azioni puramente appariscenti, esteriori e sociali. 

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La Sinergia Sacramentale

1. I misteri o sacramenti non agiscono per se stessi e solamente grazie a loro

Per il mondo ortodosso i misteri o sacramenti non agiscono per se stessi e solamente grazie a loro poiché la loro efficacia richiede la libera partecipazione e recezione dei fedeli che ne beneficiano nelle condizioni adeguate.
Questo concetto si oppone alla dottrina cattolica romana secondo la quale i sacramenti agiscono ex opere operato, ossia indipendentemente non solo dalla qualità di colui che li dispensa ma pure dalle disposizioni di colui che li riceve (i soli prerequisiti sono la fede e la non opposizione a questa recezione). Tale pensiero, nato nella seconda metà del XII secolo presso gli scolastici, ha degli antecedenti nel pensiero agostiniano: sant'Agostino, combattendo giustamente l'eresia pelagiana che sopravvalutava il lato umano nel compimento della salvezza ha, per opposizione, sviluppato una visione eccessivamente pessimista dell'essere umano decaduto, della sua volontà e della sua libertà, dando un posto quasi esclusivo al ruolo della grazia. È questa tradizione ad essere stata ripresa ed accentuata dai protestanti, con la concezione luterana del “servo arbitrio” e la dottrina della salvezza per sola grazia (sola gratia), il che ha contribuito a ridurre considerevolmente il ruolo dell'ascesi personale nella spiritualità cattolica e, nel protestantesimo, a non lasciargli alcuno spazio.
Bisogna pur dire che l'impostazione ortodossa si oppone anche ad una concezione magica di alcuni neo-ortodossi odierni (particolarmente nell'Europa dell'est), concezione talora legata a residui di mentalità magica primitiva (sciamanesimo) in certe campagne, a volte pure tollerata e incoraggiata da determinati preti mal formati (1).

2. Il carattere sinergetico della recezione e degli effetti della grazia

La sinergia indicata dalla Chiesa non si applica, d'altronde, ai sacramenti ma, in generale, alla grazia divina di cui i sacramenti sono i veicoli privilegiati e che può essere ricevuta pure attraverso altre vie, come la preghiera personale; la recezione di essa non è automatica: la grazia non s'impone ma presuppone, per agire, una libera recezione volontaria e cosciente da parte dell'uomo, nonostante che i suoi effetti non siano sottomessi alla sua volontà e sorpassino sempre, per loro natura, la coscienza che ne può avere lo stesso uomo. Infatti la grazia non è altro che l'energia (ἐνργεια) divina increata, espressione e manifestazione dell'infinita essenza di Dio, essa stessa infinita.
I padri greci parlano di “sinergia” (dal greco συνεργα) (2) o di collaborazione (dal latino cum laborare) per designare i due poli correlativi dell'azione della grazia: l'operazione divina che da la grazia agente (ἐνργεια) e la recezione di questa da parte dell'uomo, secondo un processo che implica la sua libertà, la sua coscienza e la sua volontà ma pure le sue disposizioni spirituali adeguate (particolarmente la purezza del corpo e dell'anima, dello spirito e del cuore).
I padri greci si spingono fino ad affermare che la recezione della grazia è proporzionale alle disposizioni recettive dell'uomo e utilizzano il termine “analogia” (ἀναλογα), ossia secondo la sua misura, secondo il suo grado di recezione; questa misura non si definisce ontologicamente, in funzione della natura individuale di ciascuno e del suo posto nella gerarchia degli esseri (come nel platonismo e nel neoplatonismo), ma spiritualmente, in funzione delle disposizioni (διθεσεις) o degli stati (ξεις) personali di ciascuno, relativamente al proprio grado di fede, di purezza e di virtù (3).
Alcuni padri notano che Dio da a tutti la pienezza della sua grazia ma che tutti, per le ragioni che indicheremo, non la ricevono nello stesso modo. San Massimo dice addirittura che “ciascuno è l'intendente della propria grazia” poiché “ciascuno di noi ha l'energia manifesta dello Spirito in proporzione alla propria fede in suo possesso” (4). (Qui la fede non significa solo il credere ma tutte le disposizioni spirituali che vi sono legate quando essa è “incarnata” ed effettiva). San Giovanni Crisostomo dice alla stessa maniera: “Dopo la grazia di Dio, tutto dipende da noi e dalla nostra applicazione” (5).
Il battesimo, annota san Simeone il Nuovo Teologo, “non è sufficiente per se stesso alla nostra salvezza” (6); e si può dire la stessa cosa per gli altri sacramenti singolarmente e nel loro insieme. L'uomo che li ha ricevuti non diviene in effetti nuova creatura, conforme a Cristo, se non a condizione che apra tutto il suo essere alla grazia che gli è stata data dallo Spirito, che rivolga tutte le sue facoltà e l'intera sua vita a Dio. Detto diversamente, le condizioni oggettive del nostro sviluppo individuale, della nostra salvezza e deificazione, costituita dai sacramenti, devono accompagnarsi con le condizioni soggettive, ossia con la nostra libera partecipazione, con la nostra collaborazione volontaria e personale. I sacramenti conferiscono la vita in Cristo ma abbisognano di un certo contributo da parte dell'uomo, come afferma Nicola Cabasilas aggiungendo (7): “Da un alto c'è quanto viene da Dio, dall'altro quanto viene dal nostro fervore personale; il primo è l'opera propria di Dio, l'altro chiede pure il nostro generoso zelo (φιλοθυμα)” (8).
In effetti, Dio, rispettoso della libertà umana, non saprebbe imporre la sua grazia e trasformarlo senza che l'uomo la scelga e la voglia con tutto il suo essere; non saprebbe sostituirsi a lui e agire al suo posto. A tal proposito san Macario il Grande scrive quanto segue:

“L'uomo per natura possiede l'attività volontaria ed è questa ad essere richiesta da Dio. Dunque, in primo luogo, la Scrittura prescrive che l'uomo rifletta e che, dopo aver riflettuto, ami e, in seguito, agisca volontariamente. Quanto alla mozione esercitata sull'intelligenza, in supporto al lavoro e al compimento dell'opera, ciò è accordato dalla grazia di Dio a colui che vuole e crede. La volontà dell'uomo è, dunque, un ausilio legato alla sua sostanza. Senza questa volontà Dio stesso non fa nulla benché lo possa, per rispetto al libero arbitrio umano. L'efficacia dell'opera divina dipende dalla volontà umana” (9).

Detto diversamente, benché i frutti della grazia abbiano la loro sorgente unicamente in Cristo e ci siano concessi unicamente nella Chiesa dallo Spirito santo, suppongono il acconsentimento e la collaborazione attiva dell'uomo. Esigono, come dice san Macario il grande, che l'uomo “metta la propria volontà in accordo con la grazia” (10). Si effettuano, così, in una sinergia tra la grazia divina e lo sforzo umano. San Macario dice che se l'anima “non collabora con la grazia dello Spirito che abita in essa, viene spogliata vergognosamente e ignominiosamente della sua dignità e privata della vita poiché essa è divenuta […] inadatta alla comunione con il Re celeste” (11).

Così, Dio non impone la sua grazia (e i suoi effetti) poiché rispetta sovranamente la libertà umana. Perciò si può dire che se l'uomo non può nulla senza la grazia (che in effetti è l'unica sorgente effettiva di ogni bene), inversamente la grazia non può nulla senza che l'uomo l'accetti, si apra ad essa, la lasci agire in lui non con un semplice stato passivo ma disponendo se stesso e lottando contro le passioni, tendendo ad acquisire le virtù.

Dio non impone la sua grazia anche perché attende l'acconsentimento personale dell'uomo, la sua collaborazione volontaria e attiva quali segni e prove del suo amore. Attraverso ciò vuole pure che l'uomo si appropri veramente dei beni che Lui gli dona, vuole, come spiega Gregorio di Nazianzo, che “l'anima possegga l'oggetto della sua speranza come prezzo della sua virtù e non solo come dono di Dio” (12).

San Nicola Cabasilas riassume tutti questi aspetti in questo modo:

“Se è vero che Dio ci dona gratuitamente tutte le cose sante e che noi non aggiungiamo alcun nostro contributo ad esse, essendo assolutamente delle grazie da parte sua [ossia doni nel loro principale significato], ciononostante esige necessariamente da noi di divenire atti a riceverle e conservarle. Non fa partecipare alla santificazione se non coloro che sono disposti in tal modo. È così che ammette al battesimo e alla crismazione e che fa partecipare all'augusto banchetto” (13).

[…]

9. La sinergia nel sacramento dell'Ordine sacro

Come per tutti i sacramenti, l'ordinazione suppone una sinergia tra la grazia di Dio ricevuta attraverso il sacramento e le disposizioni di chi l'ha ricevuta. Questa si deve accordare a quelle. Ecco perché san Paolo dice al suo discepolo Timoteo: “Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l'imposizione delle mie mani” (2 Tim 1, 6). A tal proposito san Giovanni Crisostomo spiega chiaramente:

Siccome so che voi avete una fede sincera, vi avverto e vi dico: avete bisogno di zelo per riaccendere il fuoco della grazia di Dio. Come il fuoco ha bisogno di legna per alimentarsi, ugualmente la grazia ha bisogno del vostro zelo per non spegnersi. 'Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l'imposizione delle mie mani', ossia la grazia dello Spirito santo da te ricevuta per presiedere la Chiesa […] e per ogni servizio di Dio. Poiché dipende da noi accendere o spegnere questo fuoco. L'Apostolo in un altro passo dice pure: 'Non spegnete lo Spirito' (1 Tess 5, 19). Si spegne con la disinvoltura e la viltà e si accende sempre più con la vigilanza e l'attenzione. Questo fuoco è in voi ma sta a voi renderlo più vivo; ossia alimentarlo con la confidenza la gioia e l'allegria. [Dio] vi ha dato lo spirito di forza e d'amore per Lui. È là, dunque, un effetto della grazia ma non di essa sola; bisogna che iniziamo a fare quanto dipende da noi” (14).

Si può confrontare il carisma ricevuto al momento dell'ordinazione a una brace che necessita del soffio da colui che l'ha ricevuta per essere un fuoco che illumina una fiamma che riscalda. Questo soffio corrisponde alla vita spirituale del prete, alla sua fede, alle sue virtù, alle sue disposizioni, attitudini e stati spirituali. Riferendosi a questa analogia Clemente d'Alessandria scrive:

Un uomo è realmente prete della Chiesa e vero diacono della volontà di Dio se fa e insegna quanto dice il Signore” (15).

A differenza della concezione cattolico-romana iniziata da Agostino che, nei riguardi dell'amministrazione dei sacramenti, tiene conto solo dell'ordinazione del prete, i padri greci hanno spesso la tendenza a sottolineare l'importanza correlativa della sua dignità, ossia la sua conformazione alla fede e all'ethos [allo stile] della Chiesa. Così, nei riguardi del discorso di Cristo a Pietro “ti darò le chiavi del Regno dei cieli”, Origene scrive:

Coloro che rivendicano la dignità episcopale si fondano su queste parole come Pietro, per dire che hanno ricevuto dal Salvatore le chiavi del Regno dei cieli e, conseguentemente, che quanto legano, ossia quanto condannano, è legato nei cieli e che chi ha ricevuto da loro la sua remissione è slegato nei cieli. Noi affermiamo che parlano sanamente a condizione che facciano l'opera per la quale è stato detto a Pietro 'Tu sei Pietro', ed è su di loro che Cristo fonda la sua Chiesa ed è a loro che questa parola si applica realmente” (16).

Si trovano concetti analoghi in san Simeone il Nuovo Teologo. Nei riguardi della celebrazione della Liturgia scrive:

Fratelli, non vi perdete, non abbiate l'audacia di toccare o di avvicinarvi a Colui che è inaccessibile per natura! Poiché colui che non rinuncerà al mondo e alle cose del mondo e che non rinnegherà la propria anima e il proprio corpo […], costui non può offrire in modo puro l'Offerta mistica e non sanguinosa a Dio, per natura puro” (17).

E, riguardo la confessione:

Si dice: 'Il potere [di rimettere i peccati] appartiene ai preti'. Lo so pure io; è la verità. Ma non a tutti i preti puramente e semplicemente bensì a coloro che esercitano il sacerdozio del vangelo in spirito umile e conducono una vita irreprensibile, che si dedicano per primi al Signore e, come una vittima perfetta, santa, gradita, rendono un omaggio puro interiormente nel tempio del loro corpo, in modo spirituale […]; coloro che giorno e notte, in umiltà perfetta, fanno penitenza, si affliggono e pregano con lacrime, non solo per loro ma per il gregge loro confidato e per tutte le sante Chiese di Dio nel mondo. E non è tutto! Essi piangono amaramente in presenza di Dio per gli errori altrui e non prendono nulla più che il necessario nutrimento; essi non hanno alcun tipo di rispetto o gioia corporale ma, come sta scritto, 'camminano nello spirito e non compiono i desideri della carne' […]. Ecco a chi appartiene il legare e lo sciogliere, l'esercitare il sacerdozio e l'insegnamento, non a coloro che hanno solo ricevuto dagli uomini elezione e nomina (18).
Veglia, te ne prego, a non caricarti mai delle responsabilità altrui quando tu stesso sei debitore di qualcosa; non avere l'audacia di dare l'assoluzione senz'aver acquisito nel tuo cuore Colui che si carica del peccato del mondo. Sii attento a giudicare il tuo prossimo, fratello, solo quando sarai divenuto un severo giudice dei tuoi errori e un indagatore dei tuoi propri sbagli, non prima d'aver cancellato con le lacrime e la compunzione la giusta sentenza contro di te. Solo allora, pieno di Spirito santo, liberato dalla legge della carne e dalla morte del peccato, sarai stabilito dalla grazia di Dio come giusto giudice per giudicare gli altri, in quanto confermato in ciò da Dio attraverso lo Spirito” (19).

Per quanto concerne la funzione di predicatore, insegnante e maestro, intimamente correlato all'episcopato, essa è legata al “carisma della verità” (20) dato al vescovo al momento della sua ordinazione. Ma questo carisma, dono dello Spirito, dev'essere preservato e mantenuto dal vescovo e la Chiesa prega per questo, poiché in ogni Liturgia il celebrante chiede a Dio di fare del vescovo “un fedele dispensatore della [Sua] parola di verità”.
Bisogna ricordare che la verità tutta intera appartiene alla Chiesa. I vescovi ne sono i depositari e gli insegnanti (maestri) nella misura in cui sono in unione con la Chiesa e sono irreprensibili nel loro comportamento. Sant'Ireneo scrive:

È così che la Tradizione degli Apostoli, manifestata nel mondo intero, è in tutta la Chiesa e può essere perseguita da coloro che vogliono vedere la verità. Potremo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora, essi non hanno insegnato né conosciuto nulla che assomigli alle immaginazioni deliranti di quelle persone [gli eretici]. […] Poiché essi [gli apostoli] vollero che quanti designarono come successori fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in ogni cosa (1 Tim 3, 2)  e che trasmettessero la loro missione d'insegnanti. Se questi uomini assolvevano correttamente la loro carica c'era grande profitto mentre se fallivano nasceva il peggiore dei mali” (21).

Il fatto che i vescovi dispensino un insegnamento veridico e dispongano tutto per questo, secondo quanto dice sant'Ireneo, con un “carisma certo di verità”, viene dal fatto di beneficiare della successione apostolica la quale non dev'essere solo compresa come una catena ininterrotta cronologicamente ma come un insieme unito, coerente e solidale, una sorta di collegialità che trascende i tempi e s'integra al corpo di Cristo nel quale riposa lo “Spirito di verità”. Qualsiasi vescovo che pensasse o insegnasse in rottura con quest'insieme organico, ossia in modo puramente individuale, o che terrebbe uno stile di vita che non fosse quello di un membro del Corpo di Cristo, perderebbe il suo “carisma di verità”, sarebbe trascinato dalla sua immaginazione e cadrebbe nell'errore e nell'eresia. È in questo senso che sant'Ireneo scrive:

Bisogna ascoltare i presbiteri che sono nella Chiesa: sono i successori degli apostoli e, con la successione nell'episcopato, hanno ricevuto il carisma sicuro della verità secondo il piacere buono del Padre. Quanto a tutti gli altri, che si separano dalla successione originale, qualunque sia il modo con il quale tengono le loro conventicole, bisogna guardarli come sospetti: sono degli eretici dallo spirito falso o degli scismatici pieni di orgoglio e sufficienza o ancora degli ipocriti che non agiscono se non per lucro e vanagloria. Tutta questa gente si è smarrita lontano dalla verità […].
Ci si deve, dunque, allontanare da tutti gli uomini di questo tipo ed attaccarsi, al contrario, a coloro che, come stiamo per dire, osservano la successione degli Apostoli e, con la carica presbiterale, offrono una parola sana e una condotta irreprensibile (Tit 2, 8) […]. È per questo che l'apostolo Paolo, forte della sua buona coscienza, si giustificava presso i Corinti: 'Noi non siamo infatti come quei molti che falsificano la parola di Dio; ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo' (2 Cor 2, 17); 'Fateci posto nei vostri cuori! Noi non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo rovinato nessuno, non abbiamo sfruttato nessuno' (2 Cor 7, 2).
Sono questi presbiteri che nutre la Chiesa […]. Paolo insegna il luogo in cui li si troverà: 'E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori' (1 Cor 12, 28). È in effetti là ove furono deposti i carismi di Dio che ci si deve istruire sulla verità, ossia presso coloro in cui si trova riunita la successione nella Chiesa dagli apostoli, l'integrità inattaccabile della condotta e la purezza incorruttibile della parola (Tit 2, 8). Questi uomini conservano la nostra fede nell'unico Dio che ha creato tutte le cose; fanno crescere il nostro amore verso il Figlio di Dio che ha compiuto per noi queste grandi economie; infine ci spiegano le Scritture in modo totalmente sicuro” (22).

Il “carisma di verità” di cui dispone il vescovo suppone, per essere attivo, che costui abbia una fede giusta e abbia ricevuto una formazione teologica adeguata ma che, pure, abbia condotto e continui a condurre un tipo di vita ecclesiale e personale in accordo con questa fede che ne conferma contemporaneamente i fondamenti e l'espressione, secondo il principio “lex orandi, lex credendi”.

Nel momento dell'ordinazione del vescovo, la Chiesa non gli da solo il “carisma di verità” legato alla sua funzione, ma prova la sua fede e gli domanda di manifestare che sia veridica. All'inizio del rito di consacrazione (23), uno dei vescovi consacranti gli domanda: “Qual'è la tua fede?”. Il futuro vescovo risponde con una prima professione di fede che comporta la recita del Credo e un'affermazione della sua intera adesione alle definizioni dei sette concili ecumenici e dei sinodi locali, ai canoni adottati dai santi padri e a tutto quanto insegna la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Dopodiché il secondo vescovo consacrante gli domanda: “Esponici in modo più dettagliato la tua professione di fede sulle proprietà delle tre Persone dell'incomprensibile Trinità”. L'ordinando gli risponde con una professione di fede trinitaria ortodossa. Alla fine, alla richiesta del terzo vescovo, l'ordinando presenta una confessione di fede ortodossa sulla persona e sulle nature di Cristo e sulla venerazione delle icone. Ogni volta l'ordinando attesta che questa confessione di fede è stata redatta di propria mano e ne legge il testo sull'evangeliario aperto che tiene tra le mani.
Solo allora è confermata la promozione dell'ordinando come vescovo, promozione che sarà seguita dalla consacrazione.
È ovvio che questa sinergia è necessaria non solo per quanto riguarda la funzione d'insegnamento del vescovo e del prete, ma per l'esercizio conveniente delle loro altre funzioni sacerdotali.

Benché l'ordinazione conferisca a quanti sono dello stesso rango la medesima qualità ministeriale, il principio caro ai padri greci dell'analogia, ossia di una recezione della grazia proporzionalmente alla dignità spirituale di ciascuno, si applica pure ai chierici (24).


Note

1) Questo si manifesta particolarmente attraverso la costante pratica di comunicare i bambini il più spesso possibile, al di fuori di ogni contesto liturgico, e di condurli in chiesa solo al momento della comunione, oppure a far partecipare adulti e bambini in buona salute al sacramento dell'Unzione dei malati con un fine profilattico.

2) Riguardo a questa nozione, il suo significato, il suo posto e la sua importanza nella tradizione teologica e ascetica ortodossa, vedi: V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente; M. Lot-Borodine, La Déification de l'homme, Paris, 1970, p. 216-222. Lo stesso termine di “sinergia” è frequentemente utilizzato dai padri, in particolare da san Macario d'Egitto, san Marco il Monaco, san Nicola Cabasilas.

3) La nozione di analogia è molto presente in Dionigi l'Areopagita ma pure presso san Massimo il Confessore e in altri padri.

4) Questioni a Thalassios, 54, CCSG 7, p. 455.

5) Catechesi Battesimali, V, 24.

6) Trattati etici, X, 448.

7) Cfr. La vita in Cristo, I, 66, SC 355, p. 132.

8) La vita in Cristo, I, 16, SC 355, p. 90.

9) Omelie (coll. II), XXXVII, 10, PTS 4, 269-270.

10) Ibid., XV, 5, PTS 4, p. 129.

11) Omelie (Coll. II), XV, 2, PTS 4, P. 127.

12) Discorsi, II, 17, SC, 247, p. 112; cfr. Poemi, I, II, 9, v. 90-91.

13) Spiegazione della Divina Liturgia, I, 2, SC 4 bis, p. 56.

14) Commento alla seconda epistola a Timoteo, I, 2, PG 62, 603.

15) Stromati, VI, XIII, 106, SC 446, p. 272.

16) Commento al Vangelo secondo Matteo, XII, 14.

17) Inni, XIX, 86-103, SC 174, p. 100-102.

18) Catechesi XXVIII, 262-293, SC 113, p. 148-150.

19) Trattati etici, VI, 417- 428, SC 129, p. 150.

20) L'espressione è di Sant'Ireneo di Lione, Contro le Eresie, IV, 1, 2.

21) Contro le Eresie, III, 3, SC 211, p. 30.

22) Contro le Eresie, IV, 26, 2-5, SC 100, p. 718-728.

23) Quando questo è seguito integralmente poiché capita che sia abbreviato.

24) Ad esempio Giovanni Crisostomo scrive riguardo al diacono e protomartire Stefano: “Vedete come, tra i sette, ve ne sia uno che si distingue e tiene il primo rango. Benché tutti avessero ricevuto l'ordinazione, egli attirò su se stesso una maggiore grazia” (Omelia sugli Atti degli Apostoli, XV, 1).



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Traduzione © Traditio Liturgica












14 commenti:

  1. Qualche tempo fa, un gentile signore mi scagliò contro un commento che non ho pubblicato.
    Tra l'altro diceva:

    "Parla lei che pretende di insegnare al Papa a fare il Papa. Lei solo ha "chiare le basi del cristianesimo", lei critica cattolici,protestanti e ortodosso, trova difetti dappertutto,nel Papa, in mons Lefebvre,nel patriarca di Costantinopoli, nei preti greci,nei monaci cattolici ec ecc ".

    Questo signore evidentemente non ha mai letto i padri e quanto essi siano esigenti in materia di fede e di comportamento.

    La loro esigenza non è mai fine se stessa ma in vista di rendere operativa la grazia che, come è ben scritto in queste righe, ne verrebbe completamente compromessa. A quel punto il cristiano si nutrirebbe di ombre, di apparenze, di sentimenti.

    E che il nostro Cristianesimo si sia progressivamente ridotto a questo è esperienza quotidiana incontestabile.

    E' ovvio che ricordare questo può far ribellare alcune anime fragili, legate solo ad una inconsistente apparenza fenomenologica della religione.

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  2. Va di suo che tutto ciò non è affatto insegnato nelle scuole teologiche che formano il clero attuale....

    RispondiElimina
  3. Caro Pietro,
    il cattolicesimo viene da secoli di "asfissia pneumatologica" dovuta ad eccesso di razionalismo teologico.
    Non bastasse questo, ci si è messo anche un eccesso di "psicologia applicata alla fede".
    Se San Paolo cercava di distinguere l'uomo psichico e quello spirituale, oggi vediamo un duplice confusione: innanzitutto l'uomo spirituale è stato assorbito dentro quello psichico e poi, fatta di anima e spirito la stessa cosa, ci si è orientati soprattutto alla psicologia, rincorrendo tutto ciò che è moralismo, sentimento ed emozione.
    Per riportare i sacramenti a dispensare la "grazia spirituale" e non della banale "grazia psichica", è necessario riappropriarci dell'antropologia biblica, nella sua triplice articolazione che fa dell'uomo carne, anima e spirito. L'anima (la psiche) è intermedia, ma è mortale come il corpo e non esaurisce lo spirito dell'uomo. Anche se l'essere vivente (per la Bibbia: nefesh) è indifferentemente animale o umano, l'uomo ha una propria razionalità e volitività (il cuore), che l'animale non ha. Ma lo spirito che vi è implicato (il "germe divino") è una facoltà immortale che trascende l'anima nel senso di psiche e riguarda l'anima nel senso di spirito: l'aver ormai associato al termine anima i due sensi in cui è interpretabile, alimenta la confusione. Il "cuore" è là dove lo Spirito di Dio incontra lo spirito dell'uomo capace di Dio (è ciò che distingue l'uomo dall'animale e nella creazione l'uomo non fu solo nefesh, ma nishemat chajim, cioè ricevette lo spirito di vita, intendendosi non l'essere in vita materiale, per il quale basta la nfesh, ma la "vita spirituale").
    Il cristiano riceve nel battesimo lo Spirito di Dio, per fecondare la propria capacità spirituale. Questa "nuova vita" si apre a essere creatura nuova, rinata dall'alto, generata nel grembo della Chiesa, madre dei credenti. Non per essere solo un embrione, ma per farci consapevolmente figli adottivi di Dio, cosa che possiamo essere solo per grazia e non per natura,
    Per arrivare lì bisogna accudire questa vita nascente e nutrirla, tramite i sacramenti, che devono essere cibo di grazia spirituale, per fare di noi degli uomini spirituali, in cui il mondo e i sensi non induriscano il cuore al punto da rudurlo a un "affare psichico", anche nella volitività buona, anche nelle idealità "giuste"... E' solo svuotandoci di noi, che ci riempiamo di Cristo. Il "mondo" è allora soprattutto una fonte di indurenti il cuore, occasione di impurità che non permettono di "vedere Dio". Viceversa, un cuore puro e un cuore guarito dalla sclerocardia si possono elevare dalla semplice psiche alla vita spirituale che compete alla natura dell'uomo.
    Ripeto: oggi c'è troppa psicologia, troppo mondo, perciò lo spirito umano diventa soprattutto le nostre idee, anche su Dio...
    La teologia dei mistici si lascia invece investire dalla rivelazione di Dio, trascinandoci alla vita che non sa che farsene delle suggestioni mondane, non perchè il corpo non conti, ma perchè è Cristo a vivere in noi, trasformandoci a creature che hanno una vita spirituale già in questa esistenza terrena... Quanto aiuterebbe una Chiesa che dispensa sacramenti per nutrire lo spirito dell'uomo, senza lasciar credere che dentro l'uomo ci sia, per natura, lo Spirito di Dio, ridotto alle misure di uno "spirito umano" che per molti è, in definitiva, la psiche o la razionalità o l'idealità...


    un caro saluto

    ruggero

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    1. Ne convengo perfettamente, e, d'altronde, tutta questa confusione in casa cattolica produce le situazioni più paradossali: si finisce per credere "uomini di Dio" e persone ispirate dei perfetti impostori e pervertiti, come succede nei casi scoperti dalle iene in cui preti smanaccioni o sbaciucchioni danno consigli e si dipingono come santoni.

      Solo quando il caso scoppia allora tutti corrono ai ripari.
      Nessuno, pare, si accorge che molto a monte l'albero è marcio ed è questo albero a produrre frutti marci: le istituzioni formative nella maggioranza dei casi pare non funzionino più!

      I padri, come si vede sopra, avevano le idee chiare: per loro bisognava FUGGIRE da quell'uomo di Chiesa che non trasmetteva l'ethos della Chiesa stessa, non bisognava aspettare che si producessero scandali o abusi.
      Questo perché questi padri avevano una visione spirituale delle cose.

      Se, mettiamo, un vescovo ruba o fa rubare per se 100 mila euro, mantiene una o più ragazzine come se fossero le sue prostitute ma, apparentemente, dicesse al mondo intero (o facesse dire) che è una persona buona, aperta e attenta alle tradizioni, si deve ancora seguire, ascoltare, frequentare?

      Personalmente direi proprio di NO. Non si deve aspettare che la cosa degeneri ulteriormente.
      Capisco che a volte può essere duro applicare tutto ciò ma non sono io che ho fatto la scelta di divenire vescovo. Se un uomo è attaccato al sesso e al denaro dovrebbe avere almeno l'onestà di non assumere un incarico di Chiesa.

      Se poi quest'uomo avesse idee tutt'altro che cristiane, dietro l'apparenza di cristianesimo è, ovviamente, molto peggio!

      Eppure c'è ancora chi da credito a gente simile a quella di quest'esempio. A quel punto l'eventuale vittima è degna del suo carnefice e non dovrà più sorprendersi o scandalizzarsi di nulla.

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    2. "Ci si deve dunque allontanare dagli uomini di questo tipo". Concordo.
      Il problema nasce quando, nel raggio di 70 km, trovi solo uomini di questo tipo. Non sempre si puo' percorrere tanta strada. Che fare allora? sforzarsi di frequentare comunque liturgie sciatte, ricevere sacramenti ex opere operato sperando che diano comunque frutto? Vale la pena andare in Chiesa non vedendo l'ora di uscirne?
      Purtroppo è la miseria che vive il sottoscritto.Non vedo soluzione certa..

      nikolaus

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    3. Vede, Nikolaus, dal punto di vista umano non c'è via di uscita. Mi dicevano che un cardinale, che volle mantenere l'anonimato, confidasse che la situazione è talmente grave che non v'è soluzione, umanamente parlando.
      Ma non c'è solo il punto di vista umano ma la provvidenza di Dio che non viene meno per chi confida in Lui e lo cerca con cuore profondamente sincero.
      La grazia, come dice questo autore e io ne sono profondamente convinto, passa anche attraverso la preghiera, altrimenti saremo persi! Certo oggi non è facile e ci si deve arrangiare come meglio si può. Ma l'importante è avere sempre gli occhi aperti perché è tutto in gran parte inquinato...

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  4. Dicevo che le istituzioni formative pare non funzionino più.

    Ricordo il caso di un tizio che vent'anni fa si recò da un vescovo diocesano da qualche anno oramai defunto. Questo signore era neocatecumenale.
    Chiese al vescovo: "Eccellenza vorrei entrare nel suo seminario diocesano. Ma è vero che lei accetta tutti?".
    Il vescovo: "Certo, figliolo, accetto tutti!".
    Il tizio: "Ma proprio tutti, tutti??".
    Il vescovo: "Certo figliolo, tutti, tutti!".

    Il dialogo mi fu riferito dal tizio stesso (oggi canonico in una cattedrale). Non penso che con "tutti" si riferisse al fatto di essere neocatecumenale ma a qualcosa legato alle sue caratteristiche psicologico-affettive. Almeno questo è quanto ho dedotto con il tempo, riflettendo sul caso di quella persona, alquanto singolare in verità.

    Il vescovo accettava "tutti tutti", come se l'istituzione del seminario, e il vescovo in primis, non dovessero vagliare le persone per divenire sacerdoti. Qualche anno prima di morire il medesimo vescovo confessò ad un mio conoscente di "aver sbagliato molte cose" nelle sue scelte pastorali.
    Bisognava arrivare alle soglie della morte per accorgersene???

    Vedete, vedendo queste cose già molto tempo fa poi non mi sono per nulla sorpreso di scandali e schifezze varie che sono pian piano emerse. Se la Chiesa accoglie "tutti tutti" e non forma quasi più nessuno, che ci aspettiamo ancora???

    I padri con la loro sensibilità spirituale sono stati totalmente abbandonati. Ecco perché siamo dove siamo....

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  5. Nel'articolo odierno di Alessandro Gnocchi su "Il Foglio", si richiama nuovamente il principio del sacramento che vale per se stesso (ex opere operato). In questo caso l'autore parla del sacramento dell'unzione dei malati.

    "Questa sequenza di segni, così celesti e così concreti, “ad oculos, ad aures, ad nares, ad os comperssis labiis, ad manus, ad pedes” avrebbe efficacia anche se l’uomo non ci mettesse il cuore, perché sgorgano da quello di Dio."

    Il presente post mostra come, invece, la grazia si arresta dinnanzi al cuore duro dell'uomo poiché il cuore immenso di Dio ne rispetta la libertà.

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  6. Condivido quanto esposto...purtroppo a dire certe cose in ambienti cattolici, ad esmepio forum, si viene presi per eretici, fautori della religione fai da te....se gli citi i padri della chiesa ti dicono di lascaire stare "questi monaci antichi"....parlano di grazie infuse e operanti a tutto spiano senza bisogno della collaborazione umana, e quando gli fai notare che il 90% e passa della gente ha ricevuto tutti i sacramenti eppur edi santi, beati e simili in giro non se ne vedono, allora cominciano a postare liste lunghissime di papiri di questo o quel teologo moderno, per buttarla in "caciara", come si dice dalle mie parti....

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    1. Gentile Luca,

      la gente può dire quel che vuole e costruirsi (loro sì) una religione "fai da te". Libera di farlo.

      Ma se una persona vuole iniziare a capirci qualcosa del Cristianesimo lo deve fare con metodo, conoscendo come questa "pianta" è venuta su pian piano lungo la storia.

      Il metodo nel nostro caso è LA TRADIZIONE ossia un tesoro ricevuto dagli apostoli e trasmesso (pur con le debolezze umane) attraverso determinate modalità lungo il tempo.

      Per questo è FONDAMENTALE osservare in che senso il Cristianesimo era vissuto dai padri della Chiesa, ad esempio.
      Infatti il modo d' intenderlo e di viverlo avuto da loro non può confliggere con il modo d' intenderlo e di viverlo che ne abbiamo oggi.

      Se, come lei sente, si dice che questi sono "monaci antichi", e lo s' intende in senso museale e dispregiativo, allora è evidente che questo contesto ecclesiastico ha già fatto scisma con la Chiesa dei padri e quindi non veicola più lo spirito delle origini. Che la cosa riguardi pochi singoli o qualche ambiente non è meno grave (anche se oggi questa mentalità è più che diffusa!).

      La Chiesa dei padri è maestra anche per oggi non in dettagli o consuetudini storiche che, legate alle vicende umane, possono venire meno. È maestra nelle cose essenziali ed è per questo che i padri ci sono maestri anche dopo 15 secoli!

      Ma se non li si ritiene più maestri è segno che non abbiamo più a che fare con loro e con l'essenzialità da loro custodita e per la quale alcuni di loro hanno versato il sangue. Da quello non può che seguire questo per logica conseguenza!

      Non si stupisca se glielo dico: una significativa parte del Cristianesimo in Occidente ha fatto un reale SCISMA (spesso con eresia) con il passato, è divenuto perciò un'altra Chiesa, ma si conforta di essere vivo e vivente solo perché mantiene una formale comunione con il papa di Roma e con il vescovo locale, come si faceva un tempo, e continua a radunarsi in edifici ecclesiastici antichi appartenuti a gente di ben altro spirito.

      Questa comunione, disprezzate le cose sostanziali, non vuol dire più niente.

      Purtroppo quei signori che la buttano in "caciara" finiscono per diffondere un Cristianesimo che non converte più nessuno e, in modo indolore, conducono sempre più persone verso l'agnosticismo. Questo Cristianesimo, ahimè!, è morto anche se si circonda di mille attività e si autoglorifica narcisisticamente. "Dai loro frutti li riconoscerete".

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  7. Mi viene in mente il mio professore d'italiano,che non ci fece studiare Dante perchè " è roba di 800 anni fa". I preti e i cristiani moderni ragionano nello stesso modo: guardiamo ai duemila anni di storia,tradizione e cultura cristiane con il filtro "moderno" del concilio vat II, la cosiddetta Nuova Pentecoste !Ricominciamo dal concilio con la guida dei nuovi teologi! Ormai il popolo cristiano è perso, sbandato, sciolto da qualsiasi legame di dottrina e di tradizione che non conosce e che disprezza. Il cristianesimo di un tempo non esiste quasi più. Leggo che anche nell'ortodossia c'è il tentativo ,che ha successo, di cambiare la liturgia, con l'uso della Liturgia di San Tommaso,se non ricordo male, o era Giacomo?, cioè con un alleggerimento e modernizzazione. Tutto cambia, e quando i vecchi che hanno ancora memoria e ricordi spariranno il capovolgimento potrà completarsi. Staremo a vedere, anzi starete a vedere, io spero di non esserci più per quel tempo.

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    1. Quel tipo di Cattolicesimo a cui lei intende è protestantesimo puro, tranne il fatto che i protestanti (conosco qualche cattolico che lo è divenuto) sono almeno più onesti e conseguenti: non stanno in un ambito nel quale si dovrebbero dire altre cose!
      Per quanto riguarda l'Ortodossia è vero che ci sono alcuni ambiti tentati di modernismo ma la liturgia non ne viene intaccata. La liturgia di san Giacomo (non di san Tommaso!) è una liturgia antica da poco ristabilita e la si celebra al massimo due volte l'anno. Per alcuni è un archeologismo liturgico e infatti non compare affatto nei libri liturgici ufficiali ma in opuscoli a parte e non è affatto obbligatoria.
      Forse da parte di qualcuno c'è la tentazione di cambiare le carte in tavola servendosi di archeologismi, non so... Fatto sta che nel mondo ortodosso toccare qualcosa è estremamente difficile e se qualcuno osa farlo scoppia il finimondo...

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  8. http://www.johnsanidopoulos.com/2014/10/the-liturgy-of-saint-james-trojan-horse.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Mystagogy+%28MYSTAGOGY%29
    Le mando il sito in cui ho letto della "nuova" liturgia ortodossa

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    1. Grazie. Le faccio sempre presente che il mondo ortodosso non è conquistabile come lo è stato quello cattolico perché non ha un capo o sovrano assoluto il quale, quando comanda, deve essere obbedito. Lo stesso patriarca di Costantinopoli deve fare i conti con questo fatto e anche se nel sito della Metropoli ortodossa di Italia (greco-ortodossa) si dice che egli è il "vertice dell'Ortodossia" (il che è una balla mostruosa!!!) di fatto a tale "vertice" arrivano diversi sberleffi dagli stessi gerarchi ortodossi...
      Con questi presupposti è quasi impossibile che qualcuno cerchi di modificare qualcosa. E infatti la stessa liturgia di san Giacomo non è accolta con gran calore e ci si limita a celebrarla due volte all'anno. C'è pure chi non la celebra mai!

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