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venerdì 21 novembre 2014

Una teologia di parte, ossia come la teologia si secolarizza seguendo le mode attuali (seconda parte)



Due teologi ortodossi, Christos Yannaras e Giovanni Zizioulas, presentati nell'articolo precendente, ci paiono, qui, estremamente vicini a certi teologi cattolici. Come mai? Si tratta, infatti, di una vicinanza (o, in qualche caso, identità) derivata dall'aver in comune una identica o una simile filosofia moderna e dall'aver voltato le spalle (in modo evidente o mascherato) all'insieme del pensiero patristico che rappresenta (sia per l'Occidente che per l'Oriente cristiano) la base della comune fede. Leggendo queste righe vergate da Jean-Claude Larchet (il cui libro è citato nell'articolo precedente), si avrà ben modo di stupirsi e ci si chiederà come mai queste persone, nonostante pesanti errori, siano così importanti e famose (qui gli errori esaminati riguardano i sacramenti). È la stessa e identica sorte di alcuni teologi cattolici: famosissimi per quanto discutibilissimi! 
Ma c'è una differenza importante: Larchet ha modo di contrastare le affermazioni anti tradizionali di questi teologi servendosi di una tradizione ancora vivente (la patristica è ancora molto importante in Oriente) e di testi liturgici tutt'ora in vigore e che nessuno pensa di abolire. Se, viceversa, si ritiene morta e defunta la tradizione patristica e si ritiene i testi liturgici tradizionali relegati al passato è ben ovvio che non esiste possibilità di risalita. In questo senso c'è da tremare, pensando all'Occidente cristiano...

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Conseguenze erronee per la vita spirituale

a) Per Yannaras e Zizioulas, conformemente al loro concetto puramente relazionale di vita personale, la Chiesa è prima di tutto una sinassi, una riunione di fedeli che permette loro di condurre un modo d’esistenza personale, ossia di vivere liberamente in comunione (e non sotto il regime dell’individualità, determinata dalle leggi naturali e caratterizzata dall’esclusivismo biologico o sociale) (1).
Questa riunione si compie essenzialmente – e pure esclusivamente – nella liturgia eucaristica la quale è essa stessa centrata sulla comunione eucaristica (2), anche se Zizioulas può affermare che “La Chiesa stessa, nella sua essenza, è un avvenimento di comunione” (3).
I nostri due autori insistono intensamente sulla comunione che si stabilisce nella Chiesa tra le persone umane (i fedeli) e hanno ragione di farlo. Si può tuttavia loro rimproverare di privilegiare nettamente la dimensione orizzontale della comunione (4) a scapito della dimensione verticale, che riguarda la relazione con Dio sia della comunità nel suo insieme sia di ciascun fedele in particolare. La relazione personale (nel senso classico) di ciascun fedele con Dio è, d’altronde, fortemente ed esplicitamente svalorizzata da Zizoulas, che vi vede un’attitudine individualista e la qualifica volentieri come moralista, pietista ossia psicologica (5) e considera in modo molto fantasioso una probabile origine platonica che, attraverso Origene e gli Alessandrini, avrebbe influito sulla spiritualità ortodossa (6).
Si può per altro constatare che il “comunionale” si trova sovente ridotto, presso Zioulas, nel “relazionale”. Il metropolita di Pergamo giunge così a questo tipo d’affermazioni riguardo la Chiesa: “Tutte le cose sono nella Chiesa e la Chiesa stessa è perché vive in relazione” (7); “L’identità della Chiesa è relazionale” (8); “La Chiesa è un’entità relazionale” (9); Il relazionale stesso pare sovente costituire un ideale e un valore a se stante (10) a tal punto che all’autore pare inutile precisarne il contenuto, le modalità e la qualità della relazione.
La riunione che, secondo Zizoulas, costituisce essenzialmente la Chiesa è quasi sempre ridotta da lui alla sinassi eucaristica. Il metropolita di Pergamo non menziona mai altri momenti liturgici se non la Liturgia eucaristica e le attività ecclesiali inerenti ad essa.
Zizioulas non concepisce altre fonti di grazia per i fedeli se non la stessa comunione eucaristica (11) (considerata soprattutto nella dimensione relazionale orizzontale), alla quale riferisce abusivamente tutti gli altri sacramenti (12) (l’ “eucaristocentrismo” e l’ episcopocentrismo sono i due fondamenti della sua ecclesiologia).
La natura dei sacramenti e la vita sacramentale sono ridotti da Yannaras e da Zizioulas alle loro categorie esistenzialiste e personaliste.
Per Yannaras i misteri o sacramenti sono prima di tutto “sette possibilità concrete che la vita individuale ha per ordinare organicamente o per tornare dinamicamente alla vita ecclesiale, sette possibilità che l’uomo ha di partecipare personalmente al modo di esistenza del corpo della Chiesa” secondo il quale si distacca dall’individualità autonoma per esistere in relazione (13). L’idea che i sacramenti potrebbero trasformare il modo d’esistenza della sua natura per la persona che li riceve, che donano alla persona che vi partecipa di ricevere la grazia che la sostiene, la trasforma, la salva, la santifica, la deifica è esclusa dai nostri autori poiché corrisponderebbe ad un concetto individualista e pietista.
Zizoulas esclude una ricezione individuale (o personale in senso classico) della grazia sacramentale e rifiuta il concetto secondo il quale questa avrebbe efficacia e permetterebbe il progresso spirituale dell’individuo/persona; in ciò non vi vede che un’esperienza psicologica illusoria. Considera che la partecipazione ai sacramenti è un’integrazione alla comunità il cui significato e portata sono esclusivamente relazionali (14).
I nostri due autori considerano il battesimo quale liberazione dalla necessità biologica, naturale, ed essenzialmente come il passaggio da un modo d’esistenza individuale (che corrisponde, secondo Zizioulas, all’ “ipostasi biologica”) a un modo d’esistenza personale (al quale Zizoulas da il nome d’ “ipostasi ecclesiale”) (15) o alla vera alterità (quanto in uno degli ultimi interventi di Zizoulas è oggetto d’una particolare insistenza) (16).
Per loro, questo modo d’esistenza è identico a quello che Cristo, come Figlio, ha con il Padre e il battezzato è generato come persona dal “l’identificazione della sua ipostasi a quella del Figlio” (17). Abbiamo già parlato sui problemi che pone un tal concetto d’identificazione tra una persona umana e quella del Figlio e sulla riproduzione, attraverso essa, della relazione tra Figlio e Padre. Qui notiamo solo che le funzioni abitualmente riconosciute dai padri al battesimo, particolarmente quelle della purificazione e dell’illuminazione, sono ignorate dai nostri due autori. Notiamo pure che questo concetto di battesimo centrato su Cristo, considerato sul piano puramente ipostatico in quanto Figlio, fa passare in secondo ordine e fa pure dimenticare il ruolo essenziale dello Spirito Santo.
Per Yannaras, la crismazione significa la relazione della persona unta con il corpo ecclesiale, e il sigillo apposto su tutte le membra del corpo è quello di una relazione personale e unica con la Santa Trinità (18). Se si rilegge il testo del rituale della crismazione si vedrà che questa connotazione relazionale che Yannaras considera come essenziale è assente e che il significato è, contrariamente, il ricevimento dei doni dello Spirito Santo che gli permettono di attivare per Dio le sue differenti facoltà facendo dei suoi sensi dei “sensi spirituali” atti ad accorgersi del mondo spirituale.
Il sacramento della Penitenza ha il suo valore, secondo Yannaras, nel ristabilimento della relazione con Dio e non riguarda il peccato se non nella misura in cui questo è un fallimento in rapporto a una tale relazione (19). Si è particolarmente stupiti dall’affermazione di Yannaras per cui “la relazione del peccatore con Dio nel sacramento della penitenza è la stessa relazione che ha Cristo crocefisso con il Padre” (20) poiché questo implica l’idea dogmaticamente errata che Cristo sarebbe un peccatore.
Riguardo questo stesso sacramento della Penitenza, Zizoulas gli attribuisce esclusivamente una funzione di riconciliazione con il prossimo e di restaurazione della comunione tra gli esseri umani (21).
L’eucarestia piuttosto che essere recepita come la ricezione del corpo e del sangue di Cristo che assimila il fedele a lui, lo cristifica e lo deifica, è piuttosto un atto con il quale “l’uomo cessa d’essere un individuo per divenire una persona” (22). È considerata come un mezzo con cui i battezzati, avendo acquisito un modo d’esistenza personale, realizzano il carattere relazionale della loro personalità nella comunione.
La comunione eucaristica è considerata soprattutto sul piano orizzontale della collettività o della comunità ecclesiale (23). È essenzialmente definita da Zizioulas come una sinassi (24), un raduno (25) che costituisce “una rete relazionale” (26).
Zizioulas in un modo assai sfocato gli assegna il fine e l’effetto di un mutuo riconoscimento esistenziale: “l’eucarestia implica e rivela al di sopra di tutto l’accettazione riconoscente dell’esistenza dell’Altro e della nostra esistenza come un dono per l’altro. L’essenza dell’ ethos eucaristico, dunque, è l’affermazione dell’Altro e di ogni altro come un dono che dev’essere apprezzato e suscitare gratitudine” (27).
Yannaras, da parte sua, insiste sull’unità che l’Eucarestia stabilisce: “mangiare la carne e bere il sangue di Cristo – egli scrive – trasforma gli individui in membra del corpo unico” (28). Essa è quanto fa passare l’uomo dall’individualità alla personeità considerata come modo d’esistenza relazionale “in comunione”. Egli scrive ancora: “È l’atto di bere e mangiare trasformato in mutevole scambio di vita nell’amore, nel rinunciare e rivoltarsi contro l’esistenza autonoma” (29).
Ogni concetto di comunione eucaristica considerato come comunione personale (nel senso corrente) del fedele con Cristo è svalorizzato in quanto individuale (ossia in senso personalista, individualista) e il fatto di considerare l’Eucarestia come una sorgente di grazia per la vita spirituale (altrimenti definita come la vita in Cristo) è rigettato come un’idea pietista (30).
È inutile dire che questo ridotto concetto non è quello del vangelo in cui si vede Cristo stesso dare alla comunione un senso nettamente personale: quello di ununione personale/individuale del fedele con Lui, di cui il fedele riceve personalmente/individualmente un effetto spiritualmente vivificante (“Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che è vivente, mi ha inviato e come io vivo per il Padre, così colui che mi mangia vivrà pure per me” (Gv 6, 56-57).
Questo concetto non è altro che quello dei padri come emerge, ad esempio, dalle preghiere che il fedele ortodosso dice prima e dopo la comunione – preghiere che sono state composte da san Basilio il Grande, san Giovanni Crisostomo, san Simeone il Metafraste, san Simeone il Nuovo Teologo e san Giovanni Damasceno e che offrono una buona prospettiva del concetto tradizionale della Chiesa ortodossa a tal riguardo – in cui ciascuno chiede a Dio un beneficio spirituale personale/individuale della comunione che sta per ricevere o ha ricevuto (31).
Gli altri sacramenti o misteri sono logicamente considerati dai nostri due autori nella stessa prospettiva personalista come dei mezzi per l’uomo di trascendere la sua individualità o la sua “ipostasi biologica” per divenire una persona.
Secondo Zizioulas, i ministeri non devono essere ritenuti in una prospettiva sacramentale ma “in termini personali ed esistenziali” (32). Per quanto riguardo l’Ordinazione (concepita anch’essa come qualcosa che implica “una trasformazione dell’individuo in persona” (33)), Zizioulas difende l’idea che non si tratta di un sacramento e che il vescovo o il prete ordinato non riceve alcuna grazia individuale (o personale in senso classico) né alcun attributo carismatico legato alla sua persona, ma si trova integrato ad un tessuto di relazioni per prendervi un certo posto e una certa funzione in seno alla comunità ecclesiale (34).
È inutile sottolineare il carattere riduttore d’un tale concetto che, una volta di più, sostituisce la persona e la relazione alla grazia (35) e che nega i caratteri carismatici particolari legati dai padri ai ministeri ordinati come la grazia conferita dall’ordinazione ai ministri (36).

[continua]

Traduzione © Traditio Liturgica


Note

(1) Cfr. C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 71; La Foi vivante de l’Église, p. 149, 150; J. Zizioulas, L’Être ecclésial, Introduction, p. 16; «Du personnage à la personne», p. 48-49, 51.
(2) Cfr. J. Zizioulas, L’Église et ses institutions, passim.
(3) Ibid., p. 390.
(4) Vedi su questo punto la critica di Zizoulas fatta da J. Behr, «The Trinitarian Being of the Church», St. Vladimir’s Theological Quarterly, 48, 2003, p. 67-68.
(5) Vedi, ad esempio, «Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point de vue orthodoxe”, in Les Églises après Vatican II, Paris, 1981, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 38.
(6) Vedi «L’identité de l’Église», φημριος, 52, 2003, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 138-143.
(7) «Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point de vue orthodoxe”, in Les Églises après Vatican II, Paris, 1981, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 38.
(8) «L’ Église comme communion», S.O.P., 181, 1993, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 107.
(9) Ibid., p. 118.
(10) Vedi pure supra, la sezione intitolata «Absolutistion et idéalisation de la relation».
(11) Zizioulas che si richiama volentieri a san Massimo il Confessore (ma che lo interpreta sempre molto liberamente a seconda della sua convenienza), dovrebbe rileggere i passi delle Questioni a Thalassios in cui costui evoca le forme della comunione non eucaristica con Cristo, particolarmente attraverso i logoi della creazione e i logoi della Scrittura. In seno alla Liturgia stessa è evocata molte volte un’altra forma di comunione rispetto alla comunione propriamente eucaristica (in particolare la “comunione dello Spirito Santo”), in modo che i fedeli participanti alla Liturgia ma non alla comunione eucaristica si comunica ugualmente, in un certo modo, a Cristo e allo Spirito Santo. Questo non impedisce alla comunione eucaristica d’essere la forma più elevata e più completa di comunione, la comunione per eccellenza.
(12) Vedi «L’ Église comme communion», S.O.P., 181, 1993, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 116.
(13) Cfr. La liberté de la morale, p. 125-126.
(14) Vedi «Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point de vue orthodoxe”, in Les Églises après Vatican II, Paris, 1981, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 37-40, 45.
(15) Cfr. C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 127-128; J. Zizioulas, «Du personnage à la personne», in L’Être ecclésial, p. 45-46.
(16) «On Being Other», in Communion and Otherness, p. 80.
(17) Cfr. J. Zizioulas, «Du personnage à la personne», in L’Être ecclésial, p. 48; «Human Capacity and Human Incapacity», p. 438 (= Communion and Otherness, p. 241); «On Being a Person. Towards an Ontology of Personhood», p. 43 (= Communion and Otherness, p. 43); C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 131.
(18) Cfr. La Foi vivante de l’Église, p. 159-160; La liberté de la morale, p. 130.
(19) Cfr. La liberté de la morale, p. 133-135.
(20) Cfr. Ibid. p. 135.
(21) «On Being Other», in Communion and Otherness, p. 80-81.
(22) Cfr. J. Zizioulas, «La vision echaristique du monde et l’homme contemporain», Contacts, 19, 1967, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 250; cfr. «L’eucharistie: quelques aspects bibliques», ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 306.
(23) Vedi L’ Église et ses institutions, passim.
(24) Vedi L’ Église et ses institutions, p. 308 e passim.
(25) Vedi ibid., p. 244, 245, 252, 277-279.
(26) Cfr. C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 71. L’espressione “rete relazionale” è utilizzata da J. Zizioulas, «Du personnage à la personne», in L’Être ecclésial, p. 49-51.
(27) «On Being Other», in Communion and Otherness, p. 90.
(28) La liberté de la morale, p. 71.
(29) La Foi vivante de l’Église, p. 153.
(30) J. Zizioulas, L’Être ecclésial, Introduction, p. 16; «L’identité de l’Église», φημριος, 52, 2003, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 137-143; «La vision eucharistique du monde et l’homme contemporain», Contacts, 19, 1967, ripreso in L’Église et ses institutions, p. 245 in cui Zizioulas scrive in modo brutale sull’eucarestia: “Noi non dobbiamo vedere in essa un mezzo di grazia”. Uno dei discepoli greci di Zizioulas, S. Yankazoglou, riprende su tal punto le idee del suo maestro (attingendole soprattutto nell’articolo “L’identité de l’Église”, ripreso in L’Église et ses institutions, p. 138-141). Egli oppone all’eucarestia, considerata come sorgente e mezzo di grazia dispensata dalla Chiesa (un’idea che egli qualifica come “sacramentalista” e “clericalista” e che attribuisce ad un’influenza della teologia cattolico-romana!), l’eucarestia come “atto pubblico” costitutivo della Chiesa; egli rifiuta il legame tra l’eucarestia e l’ascesi personale considerandolo come “pietista” e “individualista”; più generalmente denuncia “un approccio terapeutico dell’ecclesiologia” che vede nella Chiesa “un luogo terapeutico” («Ecclésiologie eucharistique et spiritualité monastique: rivitalité ou synthèse», in J.-M. Van Cangh (a cura di), L’Ecclésiologie eucharistique, Bruxelles, 2009, p. 80-81, 85). È facile opporgli gli innumerevoli riferimenti patristici che considerano la salvezza come una guarigione dell’uomo malato dal peccato e dalle passioni (vedi lo studio di 850 pagine che abbiamo dedicato a tal soggetto e che riguarda esclusivamente gli insegnamenti dei Padri delle Sacre Scritture e dei testi liturgici: Thérapeutique des maladies spirituelles, V ed., Paris, 2007), e, conseguentemente la Chiesa, luogo in cui si compie la salvezza come luogo di guarigione. Per quanto riguarda l’eucarestia i padri la considerano e la presentano unanimemente come un “medicinale” (vedi ibid, p. 332-333) e le preghiere che la Chiesa chiede ai fedeli da leggere prima e dopo la comunione, per prepararsi e rendere grazie, non cessano d’invocare la “guarigione” da lei procurata. Citiamo a tal proposito anche questa preghiera che si trova nella stessa Liturgia di san Basilio: “ Tu, Sovrano dell’universo, concedi che la comunione al santo Corpo e Sangue del tuo Cristo sia per noi fede che non resta confusa, amore non ipocrita, pienezza di sapienza, guarigione dell’anima e del corpo, fuga di ogni avversario, osservanza dei tuoi comandamenti”.
(31) Citiamo solamente questi estratti delle prime preghiere prima della comunione. Prima pregiera: “Ti ringrazio, o Signore mio Dio, perché non mi hai respinto, benché peccatore, ma mi hai reso degno di comunicarmi con i tuoi santi misteri. Ti ringrazio, perché tu hai voluto che io, benché indegno, fossi partecipe dei tuoi purissimi e celesti doni. Ma tu, Sovrano amico degli uomini, che per noi sei morto e risuscitato e ci hai donato questi tremendi e vivificanti misteri a beneficio e santificazione delle anime e dei corpi, fa’ che essi siano anche per me salute dell’anima e del corpo, vittoria contro ogni avversario, illuminazione agli occhi del mio cuore, pace alle mie potenze spirituali, fede senza rossore, amore sincero, pienezza di sapienza, osservanza dei tuoi comandamenti, aumento della tua divina grazia e possesso del tuo regno. Fa’ che io, da essi conservato nella tua santità, mi ricordi sempre della tua grazia e non viva più per me, ma per te, nostro Sovrano e benefattore. E così, partendo dalla vita presente con la speranza della vita eterna, possa arrivare al riposo senza fine, dove è l’incessante cantico di quanti ti festeggiano e l’infinito godimento di quanti contemplano l’ineffabile bellezza del tuo volto”. Seconda preghiera di san Basilio di Cesarea: “Sovrano, Cristo Dio, Re dei secoli e Creatore di ogni cosa, ti ringrazio per tutti i beni che mi hai elargiti e per la partecipazione ai tuoi purissimi e vivificanti misteri. ti prego dunque, o buono ed amico degli uomini: custodiscimi sotto la tua protezione e sotto l’ombra delle tue ali. Concedimi di partecipare degnamente, con pura coscienza, ai tuoi santi misteri, fino all’ultimo respiro della mia vita, per la remissione dei peccati e la vita eterna. Tu sei infatti il pane della vita, la sorgente della santificazione, il datore di ogni bene”.
Terza preghiera, di san Simeone Metafrasta: “Tu che hai voluto darmi la tua carne come cibo e che sei fuoco che brucia gli indegni, no, non consumarmi, o mio Creatore, ma penetra fino alle giunture delle mie membra, negli arti miei, nei reni e nel cuore. Brucia le spine di tutti i miei peccati, purifica l’anima mia, santifica la mia mente, rafforza i miei piedi insieme con le ossa, illumina i cinque sensi miei, tutto inchiodami con il tuo timore. Custodiscimi sempre, proteggimi e difendimi da ogni opera e parola corruttrice. Purificami, lavami, educami, mondami, dammi intelligenza, illuminami, rendimi dimora del tuo solo Spirito e non più ricettacolo del peccato. Divenuto così tua abitazione con la comunione fuggirà come dal fuoco ogni malvagità e passione. [...] o Cristo mio [...] fa’ di me, tuo servo, un figlio della luce”.
(32) «L’eucharistie: quelques aspects bibliques» in J. Zizioulas, J. - M. R. Tillard, J.-J. Von Allmen, L’Eucharistie, Paris, 1970, ripreso in L’Église et ses institutions, p. 288.
(33) J. Zizioulas, «L’ordination est-elle un sacrement?», Concilium, 74, 1972 ripreso in L’Église et ses institutions, p. 347.
(34) Vedi «Christologie, pneumatologie et institutions ecclésiales Un point de vue orthodoxe”, in Les Églises après Vatican II, Paris, 1981, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 38; «L’eucharistie: quelques aspects bibliques», ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 288 (“È importante che la nozione di ʻordine’ e di ministero sia liberata da un sacramentalismo oggettivante che considera il dono di un carisma o l’ordinazione al ministero come dei “sacramenti” essi stessi”); «Les groupes informels dans l’Église. Un point de vue orthodoxe», in R. Metz e J. Schlick (a cura di), Les Groupes informels dans l’Église, Strasbourg, 1971, ripreso in L’ Église et ses institutions, p. 324 (“L’ordinazione fa di ciasciun ministro un’entità relazionale”), p. 324-326 (l’autore scrive particolarmente “l’autorità che accompagna ogni ministero nella Chiesa è essenzialmente condizionata [sottolineato da noi] dalla nozione di comunione. Questo significa che nessuna autorità proviene dallo stesso ministero, come sua conseguenza ontologica […] ma che essa consiste giustamente nella relazione nella quale è posto il ministro attraverso la sua ordinazione nella comunità»); «L’ordination est-elle un sacrement?», Concilium, 74, 1972 ripreso in L’Église et ses institutions, p. 341-347 (p. 347, l’autore scrive che nel quadro della sua concezione “la questione di sapere se l’individuo ordinato differisce dal laico essentia [differenza d’essenza] o semplicemente gradu [differenza di grado] diviene priva d’importanza. Bisognerebbe piuttosto considerare la differenza in termini d’una specificità di relazione all’interno della Chiesa”); «L’évêque selon la doctrine théologique de l’Église orthodoxe», in G Routhier e L. Villemin (a cura di), Nouveaux apprentissages pour l’Église, Paris, 2006, ripreso in L’Église et ses institutions, p. 378 (“L’ordinazione è prima di tutto una realtà relazionale”), 385 (“L’ordinazione significa prima di tutto fare entrare qualcuno in un ordo particolare”).
(35) Cfr. «L’ordination est-elle un sacrement?», Concilium, 74, 1972 ripreso in L’Église et ses institutions, p. 347: “L’ordinazione non è un sacramento. La grazia del mistero di Cristo, ossia l’amore stesso di Dio, ha l’aspetto d’una relazione e, conseguentemente, è decisiva in senso esistenziale”. Questo concetto che proviene da un gergo esistenzialista, è di un’estrema indecenza riguardo a quanto si può leggere, ad esempio, ne La Gerarchia ecclesiastica di Dionigi l’Areopagita e nel trattato Sul sacerdozio di san Giovanni Crisostomo.
(36) Qui Zizioulas è manifestamente meno vicino ad un concetto personalista propriamente detto rispetto che ad un concetto di tipo sociologico strutturalista secondo il quale, in un insieme strutturato, ciascun elemento non ha senso e valore se non per la sua relazione con gli altri elementi e per il suo posto in rapporto a loro.

3 commenti:

  1. A leggere questo testo (che ha sorpreso pure me!) si nota una straordinaria somiglianza con le posizioni cattoliche più "avanzate" (ossia protestanti). Forse non è un caso che questi due teologi, soprattutto Zizioulas, partecipino ad assemblee ecumeniche e alla commissione mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.
    Mi chiedo: su quale base le due parti discutono? Forse su una base assolutamente ridotta ossia protestante?
    Il concetto di sacramenti come segni "per far comunità" mi fu ben presente nella mia adolescenza, nella parrocchia cattolica. La stessa cresima, per il parroco di allora, era un segno di accettazione e di appartenenza alla comunità (sic!). Non avrei mai pensato di trovare concetti simili nella testa di un metropolita ortodosso del patriarcato ecumenico! Evidentemente anche in quella direzione la decadenza è ben presente e accomuna la maggioranza delle Chiese oramai!
    La tradizione è sempre lì. Non attende che di essere praticata.

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  2. La decadenza è ben presente e accomuna la maggioranza delle Chiese,lei dice,giustamente. Un certo cristianesimo, o il cristianesimo si sta spegnendo? È finita la nostra ora? Sono spariti gli dei antichi, sparirà anche il cristianesimo? Ha senso essere cristiani mentre le chiese crollano? Ha senso essere l'unico cristiano rimasto?

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    1. Sì anche essere l'ultimo dei mohicani ha senso perché la Chiesa, pur vivendo nel mondo, non è del mondo ma di Cristo-Dio.
      Per questo pure sant'Atanasio, isolato, perseguitato, nonostante avesse l'impressione di combattere contro i mulini a vento, in un certo momento, rimaneva sereno. La Chiesa è di Dio.

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