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mercoledì 15 aprile 2015

Sul dovere di seguire la Tradizione



I post precedenti mi hanno ampiamente dimostrato che non è assolutamente facile esporre certi temi. Oggi più che mai non è scontato nulla, neppure l'ABC del Cristianesimo!

Ricevere certe risposte non mi ha reso felice e questo non per un motivo personale ma per aver visto una volta di più la lontananza di molti dalle cose essenziali.
Il mio blog è visitato prevalentemente da persone con una sensibilità cristiana tradizionale, in grandissima parte da cattolici. C'è poi qualche persona in sincera ricerca di fede o che si pone delle serie domande. Qualcuno, ma si tratta di numeri irrisori, riesce a capire quanto sto dicendo e non mi equivoca mettendomi in un facile ma assurdo schema di contrapposizioni.

D'altronde il blog è nato cercando di cogliere i lati comuni tra Oriente e Occidente, dal punto di vista liturgico, e non inizierò certamente ora a cambiare stile.

Esaminare la liturgia impone sia da parte di chi scrive, sia da parte di chi legge, una visione un poco profonda.
Ci sono fin troppi libri con noiosissime informazioni religiose generiche. Anche il web ne è pieno

Perché la liturgia è stata stabilita in un certo modo, cosa c'era sotto, che uomini lo hanno voluto, sono domande sulle quali dobbiamo sempre tornare.

E, come ogni cosa stabilita su questa terra da mano umana, inizieremo a intuire il “tipo” di uomini che ci stavano dietro. Soprattutto inizieremo a capire la loro mentalità, qual'era lo stile di questo Cristianesimo.

Uso il verbo al passato non per disprezzare il presente ma per indicare che è con il passato che il cristiano si deve sempre confrontare per non creare rotture e rimanere nella continuità (cosa tutt'altro che scontata o data magicamente una volta per tutte!).

Ora, questo metodo non è automaticamente osservato e non lo è affatto neppure tra chi crede di essere “tradizionalista”.

“Vogliamo la santa Messa di sempre”, gridano a gran voce alcuni cattolici nel web. “La nostra è una liturgia antica di cui andiamo fieri”, affermano alcuni cristiani-ortodossi. Ebbene, i tempi sono tali che spesso sia i primi che i secondi non riescono ad infrangere la pura forma o superficialità. L'Occidente ha fatto coriandoli delle sue tradizioni, l'Oriente no ma entrambi sono diffusamente malati di superficialità.

Riguardo ai secondi, una volta un docente mi invitò a presentare ad una scolaresca il significato di un edificio cultuale ortodosso. Mi fece contemporaneamente conoscere una ragazza (forse moldavo-ortodossa) tra gli allievi di quella classe. Feci la mia esposizione e ci riuscii così bene che tutti i ragazzi ne furono affascinati. Con mia sorpresa non notai il medesimo risultato nella ragazza ortodossa che sembrò addirittura indisposta. Mi chiesi: che educazione religiosa avrà ricevuto? In cosa realmente credeva? Perché si sentiva infastidita della mia interpretazione che seguiva, seppur assai semplificata, quella della Mistagogia di Massimo il Confessore? Anche in Oriente possono, dunque, esserci cristiani che, come forse questa ragazza, sono lontani dall'essenziale e adagiati su una certa formalità. Potrei fare altri esempi...

I cattolici a loro volta si adattano in gran parte ad una visione che, francamente parlando, è molto insoddisfacente. Nei post scorsi l'ho notato ed è solo questo ad aver creato una grande incomprensione tra me e chi non capiva le mie tematiche. Perché è insoddisfacente tale visione? Perché la cosiddetta prospettiva “spirituale” sfugge o è mal compresa. Perché il modo di concepire l'uomo in alcuni non appartiene al Cristianesimo (lo vediamo dalle risposte ricevute).
Nonostante tutto, tali persone hanno un attaccamento alla liturgia tradizionale.

Passi il paragone: è come se io fossi affezionato ad una bella automobile ma, di fatto, non la sapessi utilizzare per viaggiare.

Per prendere vantaggio della liturgia non è solo necessario parteciparvi ma trovare il modo di esserci nelle condizioni migliori.
Questo non comporta solo una conoscenza banale dei testi, una partecipazione formale o esteriore, una adesione a semplici dettami morali, ma un lavoro interiore, quindi spirituale che comporta una vera e propria fatica corporale: non si può credere di pregare davvero standosene comodi su una poltrona, ripeteva qualche asceta recente.

Se è vero che nella liturgia sono coinvolte tutte le facoltà dell'uomo (il corpo con i suoi sensi, una certa comprensione razionale) è molto più vero che la sua funzione profonda è quella di attivare l'interiorità umana, altrimenti chiamata spirito con la quale s'intuisce il mondo spirituale al di là dei sensi e della nostra piccola ratio.

Ma ecco la meraviglia: affermare ciò con l'invito a staccarsi dalla formalità e dal piacere esteriore derivante dai sensi o dalla ratio, non è assolutamente capito ed è pure fieramente osteggiato!
Ebbene, qui è svigorito e sviato il senso profondo della liturgia stessa.

Al contrario, nella tradizione antica tutto ciò era chiaro come il sole.

Gregorio di Nissa ricorda che:

Colui nel cui palmo è contenuto tutto il cielo e nel cui pugno sono compresi la terra e il mare, ha reso l'uomo capace di Lui, tanto che abita nell'interiorità [= spirito] dell'uomo stesso. Per cui Gregorio lo ammonisce: “Come puoi ammirare i cieli, o uomo, quando guardi te stesso che sei più stabile di essi? Essi infatti passano mentre tu permani in eterno assieme a Colui che sempre è”.
L'uomo è visto da Gregorio come casa di Dio, per la vastità del suo spirito (*).

C'è da ricordare che se la liturgia ha la funzione di fare emergere la grazia della presenza divina nello spirito dell'uomo (= l'uomo è casa di Dio), illuminando la sua interiorità e facendogli vedere la sua grandezza, questo non potrà mai avvenire se l'uomo stesso assolutizza la sua realtà naturale così come sta e non si mette su un cammino di ascetica salita (per crucem ad lucem).

Avviene qualcosa di simile a chi si tuffa in piscina per imparare a nuotare. Fintanto che costui si attacca ai bordi della piscina non potrà mai capire che l'acqua lo sostiene. E l'acqua lo sostiene solo se l'uomo sa muovere il suo corpo in un determinato modo, faticandoci, senza irrigidirlo, altrimenti andrà a fondo come un sasso.

Gli antichi asceti cristiani, forniti di una concreta esperienza, sanno che se ci si rinchiude nella pura razionalità e nella pura sensibilità corporea assolutizzandoli, si rimarrà semplicemente attaccati al bordo della piscina e non si avrà mai una reale esperienza di nuoto, per riprendere il semplice esempio.
Padre Paisios del monte Athos, da poco canonizzato, vissuto santamente e conosciuto per i suoi oramai molti miracoli, diceva: "Bisogna mettere la testa nel frigo!", per indicare che la razionalità da un certo punto in poi deve tacere altrimenti si sovrapporrà all'interiorità e non la farà parlare, come gli allievi di una classe rumorosa si sovrappongono alla voce del maestro.
Passioni disordinate e pensieri vaganti (le immaginazioni dette anche logoismoi), sono come questi allievi chiassosi che impediscono al maestro di parlare. O c'è la loro voce o c'è la sua! E come la voce di tale maestro è tutt'altro che "eterea ed iperuranica" agli allievi diligenti che stanno in silenzio, così lo è la spiritualità vera a chi pratica l'ascesi.

Di qui nasce tutto un atteggiamento nell'affrontare la preghiera (spirituale, non psicologico!), nel vivere senza essere offuscati dalle passioni negative (poiché l'uomo naturale è malato e tende a sfuggire dal divino), nel tenere aperta la porta dell'interiorità affinché, quando Dio vorrà, essa possa venir purificata e trasfigurata.
In questa prospettiva i precetti morali non diverranno mai puro moralismo, come potranno rischiare di divenire se sganciati da tutto ciò, considerandoli, magari, "monete" per comperare il paradiso.

La liturgia è per tutto questo e invocare la tradizione liturgica dimenticandolo o sentendolo addirittura estraneo a se stessi e alla propria religiosità, dimostra palesemente la più drammatica delle lontananze dal fine essenziale del Cristianesimo: l'unione con il Divino.

Le forme liturgiche per quanto nobili e tradizionali non devono, infatti, essere assolutizzate e tanto meno idolatrate o viste per se stesse. Se non sono viste come un puro momento di passaggio, un semplice strumento, diventano feticci, cosa che di fatto oggi può ben accadere!

La liturgia è infatti come uno strumento da utilizzarsi in modo conveniente. Non ha senso amarla se, poi, non cambia la persona nel modo sopra esposto.

Spesso i cosiddetti tradizionalisti ripetono una frase comune all'Oriente: si deve seguire la tradizione!

Questo è giusto ma bisogna intenderlo bene perché la tradizione deve portare alle soglie dell'Ineffabile, dell'esperienza spirituale, non ad un semplice piacere estetico-affettivo che, alla fine, lascia il tempo che trova e, in quanto tale, si può trarre pure da un concerto di musica classica. 
La tradizione, in questa dimensione, si motiva per un motivo esclusivamente "carismatico" ("Aspirate ai carismi più alti!", ammoniva san Paolo), non per sostenere unicamente istituzioni umane (**).

Seguire la tradizione deve portare alle soglie del Cielo, non far ripiombare l'uomo sulla terra richiudendolo nella sua sola ratio o nel suo eudemonismo.

Viviamo in tempi in cui se non si gettano le radici in queste profondità, qualsiasi “santa intenzione” sarà divelta e svigorita. O si è cristiani in questo senso o non lo si è affatto e si sarà solo espressione di questo mondo secolare che, tra le sue vetrine, ama pure avere quelle religiose e tradizionaliste. La vetrina, però, non da alcuna vita né mai l'ha data ad alcuno: è pura apparenza.

Nota

(*) Voce “Antropologia”, L.F. Mateo-Seco – G. Maspero, “Gregorio di Nissa – Dizionario”, Cittanuova, Roma 2007, p. 82.

(**) Aver sostituito il "carisma" in senso paolino con semplici realtà istituzionali è, invece, una radicata tendenza nel Cristianesimo attuale. Il Cielo è dunque sostituito dalla terra, lo Spirito dall' homo religiosus, sentimentale e/o razionalista. La pietra stabile di fondamento della fede, che può sussistere nel cuore di ogni uomo che vive il "carisma", è vista come qualcosa di esteriore a se stessi e di puramente istituzionale. Chi vive in questo stato, invece di volgersi alla sua interiorità, come avveniva anticamente, è continuamente proiettato nella molteplicità della contingenza che lo disperde e lo allontana dal vero essenziale.
Ricordo, alla fine, che ciò avviene specialmente nel clericalismo, ossia in una visione secolarizzata e orizzontale di Chiesa. Sul clericalismo mi sono trattenuto qualche mese fa in questo blog.


14 commenti:

  1. Le sue sono parole edificanti, ma niente di più. Nella pratica si sciolgono al sole. Lei avrà sicuramente studiato ed approfondito la spiritualità ascetica e monastica orientale che è santa, utile, bella e interessante per chi decide di abbracciare un tale stato di vita. E per tutti gli altri cristiani che sono la maggioranza e che vivono nel "mondo"? Polarizzando la visione della vita cristiana su questi temi che le stanno a cuore, lei rischia di vedere in modo deformato l'esperienza dell'uomo cristiano sulla terra in attesa di essere ricongiunto a Dio nel cielo. Le faccio una domanda: ma secondo lei i cristiani devono sforzarsi di costruire una civiltà cristiana su questa terra? Devono ritirarsi tutti nelle kellie atonite o nel deserto ignorando tutto e tutti aspettando la morte? Preciso che non ho niente contro i monaci e gli eremiti di cui ammiro e stimo le diverse forme di vita. Ma qui il discorso è un altro. Il cristiano in quanto uomo nuovo nato in Cristo e quindi portatore di una nuova visione del mondo e delle cose, celesti e terrene, può portare il suo contributo per migliorare la vita su questa terra affinché sia più evangelicamente rispettosa dei comandamenti di Dio e della creazione divina? E' lecito per il cristiano impegnarsi (attraverso l'arte, la cultura, la scienza, il lavoro, la religiosità, la carità, ecc.) per edificare una civiltà cristiana? La quale non sarebbe altro che un anticipo della perfezione celeste del regno eterno di Dio? Anche la liturgia eucaristica è un anticipo di quella celeste. E la liturgia cristiana, non deve essere fine a se stessa, ma produrre un cambiamento nell'uomo, delle ricadute spirituali e sociali, infatti deve essere la fonte della koinonia che unisce il cristiano a Dio e il cristiano ai suoi fratelli nella fede. Una volta che l'uomo si è convertito a Cristo, ha abbandonato il peccato, e vive cristianamente poi dovrà pure comunicare agli altri questa gioia, dovrà contagiare il prossimo con i mezzi a lui più prossimi che possono essere molteplici quanto sono molteplici i carismi e le abilità di ogni uomo. Se gli apostoli, dopo avere conosciuto Cristo e dopo avere coltivato interiormente la loro spiritualità divenendo perfetti agli occhi di Dio, non avrebbero comunicato la loro conversione al mondo allora non ci sarebbe il cristianesimo. Tutto ciò non significa essere materialisti, ma realisti. Il cattolicesimo venera schiere di Santi sociali che hanno saputo coniugare la più alta spiritualità e rettitudine con il più alto servizio al prossimo in variegate forme. Evidentemente le cose si possono conciliare, senza estremizzare e polarizzare la questione come sembra fare lei, con tutto il rispetto ovviamente.

    Roberto

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    1. Gentile Roberto,

      pubblicando le sue perplessità e rispondendole non lo faccio tanto per lei, poiché temo che non sarà nella disposizione ideale di capirmi, quanto per chi mi legge.

      Mi sono preso un poco di tempo per risponderle perché il suo intervento richiederebbe, come quello di Urban, un nuovo post che però in questo caso non faccio.

      Nelle sue frasi ci sono cose imprecise, alcune piuttosto confuse, altre decisamente sbagliate. Sono come davanti ad una matassa di nodi per cui, con un poco di pazienza e tempo, proverò a scioglierne almeno alcuni.

      Premetto dicendo che quanto esprime non mi pare una “colpa” poiché, al pari di quanto sostenuto da Urban, tali affermazioni sono le opinioni correnti dell'uomo della strada e influenzano chiunque non abbia un po' di attenzione alla realtà cristiana.

      Il riferimento ascetico del monachesimo, che io riprendo in parte in questa sede, non è invenzione dei monaci ma è presente nella rivelazione neotestamentaria e nella tradizione primitiva del Cristianesimo. L'ascesi – che non è una dottrina moralistica – rappresenta uno stile che, in definitiva, si può attribuire a Cristo stesso.

      Ora, lei definisce tale insegnamento come “parole edificanti, ma niente più”.

      L'insegnamento di Cristo se al più edifica ed è “santo, utile, bello e interessante” rimane solo per chi si apparta dal mondo non per chi ci vive il quale reputa tutto ciò INUTILE.

      Dunque Cristo avrebbe perso il suo tempo per dedicarsi solo a qualche “mosca bianca”, non per offrire un insegnamento ed aprire una via di salvezza universale!

      Allora quale sarà la via veramente UTILE a chi vive nel mondo? Una via che prescinde da tutto ciò o, detto diversamente, una via mondana. Tertium non datur!

      Per lei è urgente che il cristiano s'impegni in questo mondo per lasciarne un segno. Dopo 2000 anni di Cristianesimo abbiamo visto molti modi di “impegno” in questo mondo: quello dei vescovi che entrano nei palazzi degli imperatori (visto con gran timore da alcune voci profetiche), quello di vescovi che cominciano a prenderci gusto nello stare a corte, quello di imperatori cristiani che fanno il braccio destro dei vescovi e convertono con la spada seminando sangue, quello di papi che fanno esattamente come gli imperatori e si credono superiori ad essi …

      Questa non è una pagina gloriosa ma assai problematica ed è storicamente appurato. Forse lei la definirà “incarnazione del Cristianesimo”.

      Io più realisticamente la chiamo “secolarizzazione” dello stesso poiché se Cristo avesse voluto fare altrettanto sarebbe di certo andato alla corte di chi comandava al suo tempo e non avrebbe chiamato a sé dei pescatori ignoranti, come gli apostoli, ma si sarebbe circondato di saggi farisei e sadducei, i teologi del tempo.

      Invece non fu affatto così, egli non si è voluto “incarnare” in questo senso! È tanto strano che non lo si veda.

      Il monachesimo, dinnanzi ad un momento di rilassamento della Chiesa, ha rilanciato le antiche esigenze evangeliche vivendole. Il monachesimo non era uno “stato particolare e separato” ma dei semplici laici che vivevano il vangelo “sine glossa”, diremo. In questo modo, fintanto che il monachesimo era sano, almeno una parte della Chiesa continuava a trasmettere realmente il vangelo. Tutti gli altri finirono lentamente per assumere un'altra mentalità, proprio come chi, al mulino, non può se non infarinarsi. ....

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    2. ...
      Le due mentalità sono coesistite nella Chiesa per lungo tempo, fintanto che il monachesimo non si è a sua volta corrotto (ne parla con toni assai preoccupati San Simeone il Nuovo Teologo attorno all'XI sec.). C'erano, così, due mentalità: una “ibrida” del clero cortigiano al quale pareva possibile sposare la mondanità con il vangelo e un'altra decisamente evangelica del monachesimo. Crollando il monachesimo in Occidente rimase la prima, nonostante i tentativi del Poverello di Assisi di “riedificare” la Chiesa.

      Questo lo vediamo pure nel modo differente di evangelizzare. Se in Occidente si finisce per usare la spada secolare, in Oriente il monachesimo, incaricato anche delle missioni, ha un altro comportamento: la prima cosa che fa quando si stabilisce in un paese non cristiano è aprire un monastero e continuare la vita monastica in esso.

      Se nel primo caso evangelizzare è sinonimo d'imposizione e violenza, nel secondo avviene come un naturale assorbimento.
      È vero che dietro a questi secondi missionari ci poteva essere l'imperatore con i suoi interessi, ma è altrettanto vero che lo stile monastico non fu certo quello di far violenza alle persone ma di attrarle a sé.

      Un grande storico del monachesimo, Leo Moulin che ho avuto la fortuna di conoscere, sintetizza così la storia monastica: i monaci sono un paradosso vivente; fuggono il mondo ma lo attraggono a sé, vivono poveramente ma nel mediovevo sonodei veri e propri motori dell'economia, si dedicano all'ascesi e alla privazione ma attorno a loro fiorisce l'arte ecclesiastica in tutte le sue forme...

      È esattamente questo lo stile cristiano!
      La società non si cambia con il progetto diretto di cambiarla ma, prima di tutto, cambiando se stessi e, addirittura, appartandosi per farlo, come per secoli è stato fatto dal monachesimo. Il vero impegno non nasce dall'idea di “buttarsi nella mischia” assieme a tutti gli altri e, con lobbies, mafie, politici più o meno corrotti e intrallazzi vari, influenzare la società (come succede in Italia).

      Il vero impegno nasce appartandosi e dal deserto nasce il miracolo che ha ben mostrato Leo Moulin. "Cercate prima il Regno di Dio", ammonisce Cristo!

      Se non si assume questo stile da “lievito nascosto”, come indica precisamente Cristo e che noi non siamo affatto disposti a capire e ad applicare, l'eventuale spiritualità che il cristiano dice di avere (e che lei mi descrive) è una pura illusione, è una realtà psicologica, non spirituale.

      Lei mi ricorda l'attività evangelica degli apostoli e dice che essi andarono in ogni dove per convertire e cambiare il mondo di allora.

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    3. Purtroppo temo che non vediamo affatto questo evento nello stesso modo e questo proprio perché per lei il fatto spirituale sarà forse edificante ma non serve al mondo (lo dice all'inizio).

      Gli apostoli non fanno discorsi come gli evangelizzatori protestanti. Non mostrano nella loro persona un uomo psichico ma un uomo spirituale, quello che per lei di fatto “non serve”.

      È l'uomo spirituale che fa miracoli, che giunge direttamente al cuore delle persone (senza usare sentimentalismi), che mostra una prospettiva non terrena, che capisce, come Filippo, dove Dio lo vuole inviare. Ed è questo il motore che cambia le cose. Questo spiega come sia stato possibile che un manipolo di poche persone abbiano diffuso in tutto l'impero la “novità” l' “eyangelion” di Cristo.

      Al contrario, oggi in nome del vangelo si ha una mentalità assolutamente secolarizzata: l'evangelizzatore usa mezzi d'impatto psicologico, fa leva sull'affettività o sulle carenze affettive del prossimo per insinuarsi, usa discorsi razionali per competere con la “sapienza di questo mondo”, ecc. Lo stile riservato, umile, appartato di chi sa che Dio non parla nella tempesta ma nella brezza leggera del mattino come ricorda la Scrittura, è cosa assai rara oggi e non fa “cassa”.

      Ad un popolo drogato da emozioni forti e dipendente psichicamente da esse non può interessare. Ma il vangelo è l'esatta alternativa a tutto questo ed è questo il realismo cristiano (lei usa la mia stessa definizione ma la piega in tutta un'altra direzione!).

      A lei tutto ciò pare una estremizzazione. Purtroppo chi ha iniziato a estremizzare le cose non è il sottoscritto ma Cristo stesso. Il vangelo è lì a ricordarcelo, se lo leggiamo senza tante precomprensioni e senza occhiali secolaristici.

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  2. Confesso che nei precedenti post, più che dai contenuti (sui quali concordo in toto), sono rimasto un po' colpito dal tenore con cui sono stati esposti (e difesi)... Mi riferisco anche al botta e rispota con Maria Guarini.

    Ad ogni buon conto, questo ultimo post mi fa pensare a quel che un mio carissimo amico mi ripete spesso: i "tradizionalisti" (o buona parte di loro) sono i peggiori nemici della Tradizione.

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    1. Gentile Simone,

      purtroppo nei post precedenti c'è stata un po' di battaglia sui contenuti e sui metodi, non a livello personale. Spero che questo sia chiaro.

      Personalmente non riesco a rassegnarmi riguardo ad un certo mondo cattolico che urla la sua fedeltà alla tradizione "di sempre" ma poi quando si trova dinnanzi ad una prospettiva realmente antica e tradizionale (non invenzione dei monaci o degli "scismatici orientali" ma d' indubbia derivazione apostolica), arricci il naso e faccia mille distinguo con i quali, di fatto, butta tutto in spazzatura.

      E quale migliore "prova provata" di questa per mostrare che nei secoli, volenti o nolenti e nonostante mille eccezioni e tendenze contrarie, nel Cristianesimo, passando da adattamento ad adattamento, si abbia sfocato certi punti essenziali da me evidenziati?
      Certo non è sempre stato così, non ovunque e non da parte di tutti, ma c'è stato e oggi si è imposto!

      Nel momento in cui non c'è reale tensione spirituale ma solo tensione etico-ideale e un certo attaccamento a determinate forme devozionali (liturgiche o no), si ha già fatto implodere l'edificio, che ci si accorga o meno.

      Il problema, infatti, non è dato da chi più di tanto non può capire o non ce la può fare, da chi in buona fede ha una vita religiosa psicologica e non spirituale, per usare il linguaggio da me utilizzato. Certamente il 90% dei cristiani nella storia non si sono brillantemente distinti ma non è ancora questo il punto problematico.

      Il vero problema c'è quando si ritiene che una media non eccellente sia la regola fondante, il "top" da raggiungere o, detto diversamente, quando si scambia lo spirituale con lo psicologico.

      Il vero problema inizia quando, sentendo i discorsi da me trattati, si dice: "Questo non ci appartiene, appartiene al più ai monaci" (come se anticamente tale distinzione fittizia fosse mai esistita!), o si dice ancora: "Tutto ciò è irreale e questa non è una spiritualità incarnata", non vedendo o facendo finta di non accorgersi che qui si scambia "incarnazione" per secolarizzazione.

      Il Cristianesimo deve vivere nel mondo, si afferma dunque. Ma l'unico modo di vivere nel mondo del Cristianesimo è quello di non appartenere alla logica del mondo altrimenti diventa mondo con il mondo come di fatto succede.

      L'attività sociale è sempre esistita nel Cristianesimo. Si pensi al semplice fatto che a Costantinopoli molti ospedali erano gestiti da monaci. Ma questo beneficare se non è aperto alla prospettiva spirituale, nel senso da me indicato (che poi è il senso apostolico e patristico), diviene pura beneficenza mondana e qui nasce un problema perché non si capisce più la differenza tra filantropia massonica e carità cristiana.

      Ognuno giustamente deve fare quello che può e riesce a capire. Ognuno opera con i mezzi che ha a sua disposizione. Viceversa, bloccare la possibilità di progresso ed elevazione dei singoli è un crimine, in qualsiasi modo lo si faccia.

      Ci sono di quelli che non possono andare oltre le elementari (un tempo, soprattutto). Ci sono di quelli che si fermano alle medie. Diversi terminano le superiori e non frequentano l'Università.
      Ciononostante le Università non chiudono perché c'è chi non ci può o non ci vuole andare e, al contrario, si invita i giovani a iscriversi. Nessuno chiuderebbe le Università perché almeno una fetta della società non è portato a frequentarle.

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    2. Ma se, da un certo punto in poi, si pensa che le Università non servono a nulla, che vanno bene solo ad una piccola èlite di gente che non conosce la vera vita del mondo, che gli atenei NON DICONO NULLA alla gente comune e che si deve stornare la gente dall'iscriversi, ecco il vero crimine!

      Ed ecco perché certi tradizionalisti sono i peggiori nemici della Tradizione anche se non sanno di esserlo!

      Se io non capisco l'Università (leggasi la spiritualità) non posso sparagli contro e dire che è inutile perché o prima o poi ci sarà sempre uno su mille (mettiamo) che lo capirà e ci farà grandi progressi.
      Se lo faccio sono socialmente pericoloso. Nel nostro caso si è ecclesialmente pericolosi.

      Se poi si scopre che quanto dico non sono dettagli ma è la reale tradizione apostolico-patristica, allora chi spara contro tutto ciò non può che allarmare!

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  3. Se lei non pubblica significa che non accetta il confronto ed il dialogo, il che non mi sembra molto cristiano, anzi è modo di comportarsi molto psichico (come lo chiamerebbe lei). I padri e i dottori della Chiesa che lei cita spesso, non si sono mai sottratti al confronto, anche con chi era molto distante dalle loro posizioni. Se lei dice di volere seguire il loro esempio, allora lo dimostri nei fatti, altrimenti le sue sono solo belle parole, ma vuote.

    Roberto

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    1. Come fa ad essere così precipitoso? Pensa che non abbia altro nella vita che stare attaccato al pc per risponderle? Se la pubblico le faccio una cortesia alla quale non sono obbligato, come aprire la mia casa ad uno sconosciuto ed è perfettamente inutile che lei metta i miei concetti contro me stesso. Potrei essere psichicissimo, per dirla con i miei propri termini, ma questo non significa che sono disonesto verso le fonti distorcedole e facendole dire quello che esse non dicono affatto solo perché a me non sta bene.
      Inoltre se il dialogo da un certo punto in poi non serve che ad esacerbare gli animi (quindi non solo è inutile ma pure dannoso) è saggio sospenderlo per non farsi male vicendevolmente, non le pare?

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  4. Grazie Pietro,
    l'analogia mi pare perfetta.

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  5. Io non rinnego e non sminuisco la dimensione spirituale, ma dico che essa deve trovare anche un'attuazione per trasformare tangibilmente la vita del cristiano. Cristo non mi pare abbia vissuto una vita appartata e nemmeno gli apostoli che hanno viaggiato in lungo e in largo per annunciare il Vangelo condividendo la vita, le gioie e i dolori delle prime comunità cristiane. Gesù non era un eremita e non operava avvolto in un manto di segretezza. Era uno che si mescolava apertamente con le persone nei villaggi e nelle città. Predicava e insegnava pubblicamente perché voleva che la gente sapesse la verità su di lui. Partecipava a matrimoni, pranzava con i peccatori, i ladri e le prostitute. Aiutava il padre nel lavoro, andava a pescare con gli apostoli, visitava i parenti, frequentava il tempio e le feste religiose. Quando Gesù parla in parabole, incarna la spiritualità nella vita quotidiana. Infatti non usa un linguaggio astruso, iperuranico, dotto, esoterico, ma un linguaggio che fa continuamente riferimento alla vita dell'uomo: i pastori e il gregge, il seminatore, gli uccelli, i gigli, gli alberi, gli oggetti di uso quotidiano, la donna che svolge i lavori casalinghi, i pescatori, i bambini che giocano. Dunque Gesù stesso ci insegna che la spiritualità e la volontà di Dio possono essere vissute e sperimentate nella vita di ogni giorno. La vita quotidiana viene così santificata e diventa una sorta di "liturgia" in cui ogni gesto deve essere offerto a Dio in obbedienza e conformità ai suoi comandamenti. La vita del cristiano deve manifestare la fede ricevuta, la conversione. Purtroppo è lei che persiste nel distinguere i due ambiti nel solco del dualismo platonico. Forse lei ha conosciuto solo un modo di vivere il cristianesimo che è quello orientale e monastico, infatti quando altri utenti le hanno indicato, in altri post, alcuni grandi Santi cattolici come Giovanni Bosco ha detto chiaramente di non conoscerli. Giovanni Bosco, ad esempio, è uno di quei grandi Santi che hanno unito una profonda spiritualità ad una sconfinata carità. Concludo con le parole del Concilio Vaticano II: «Poiché in lui [Cristo] la natura umana è stata assunta senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata innalzata anche in noi a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Gaudium et Spes, n. 22).

    Roberto

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  6. Vede, a parole lei non rinnega la cosiddetta spiritualità ma a fatti poi la discioglie nella mondanità ispirandosi, per giunta, al vangelo (Cristo stava in mezzo alla gente, predicava, pranzava con i peccatori...).
    Si dimentica - e non a caso - che Cristo sale sul monte Thabor, si apparta a pregare, si ritira addirittura nel deserto.
    I vangeli non ci dicono tanto altro ma una cosa è sicura: Cristo non è un agitatore sociale e un filantropo inteso in senso mondano (tanto è vero che il suo Regno NON E' di questo mondo!) ma un Rabbì, ossia un maestro spirituale.

    I padri ci narrano che il ritirarsi nel deserto di Cristo non era indispensabile a lui, Figlio di Dio, ma lo fece per indicare che lo dobbiamo fare noi.
    Se i padri della antica tradizione di TUTTA LA CHIESA (non della Chiesa d'Oriente soltanto) ci dicono questo, è segno che è in quella direzione che si deve marciare ed è in quella direzione che si deve improntare pure le relazioni con il mondo. Questo, si badi bene, non è dualismo platonico (che affetta Agostino, non tutti gli altri padri e tanto meno quelli greci). Sarebbe ora di finirla con la balla del "dualismo platonico" ripetuta a papero via perfino da alcuni accademici italiani!

    La realtà, invece, è che questo è Vangelo, Punto e basta!

    Francesco d'Assisi lo sapeva benissimo tant'è vero che un giorno si reca con frate Leone nelle piazze di una città per predicare Cristo. Frate Leone si attende che il poverello iniziasse a fare dei discorsi e invece.... nulla! Il Poverello con lo sguardo a terra, vestito di sacco e con il capuccio sulla testa passa tra la gente del mercato, attraverso la confusione delle vie cittadine, rimanendo in silenzio e umile.

    Al ritorno frate Leone gli chiede come mai non avesse predicato e si sente rispondere da Francesco che è questa la predica più profonda che può fare il cristiano. Quella, bene inteso, di non uscire dalla cella del cuore. Quella di non disperdersi nella molteplicità mondana.
    A nulla vale conquistare il mondo e perdere la propria anima, dice Cristo nel vangelo.

    Non impugni le mie parole per quanto riguarda la mia ritrosia a parlare sui santi occidentali-
    Non lo faccio per vari motivi, uno dei quali è quello di non proferire giudizi che potrebbero ferire alcune persone.
    Preferisco non farlo anche perché, siccome le fonti antiche sono sempre valide ed è con quelle che ci si deve confrontare, mi rivolgo all'antico piuttsto che alle epoche moderne dove, nonostante la buona fede di molti, c'è stato un po' di tutto e non sempre di edificante...

    La citazione di Gaudium et Spes non è sbagliata ma per essere equilibrata (non dimentichi che era invasata dall'ottimismo degli anni sessanta!) deve essere accostata al fatto che l'uomo ha bisogno di continua conversione e di lottare contro le sue passioni altrimenti .... buonanotte "dignità sublime" simile a Cristo!!!!
    E questo non è platonismo è purissimo Cristianesimo!

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    1. L'occidente ha dimenticato cosa significhi la parola ASCESI mentre si rifugia in una sorta di orizzontalismo sociale caritativo che da solo non puo' bastare a elevare il cristiano a quella deificazione cara ai Padri della Chiesa...ma purtroppo se fai un discorso del genere oggi ti accusano di essere un disincarnato o peggio uno che vive tra le nuvole...questo secondo me e'il nocciolo della questione...forse la pongo in modo troppo semplicistico, ma di fatto e'così

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  7. Ha centrato l'argomente e temo che purtroppo siamo dinnanzi ad un punto senza ritorno!

    Roberto in questi interventi da un lato ammette - forse "obtorto collo" e perché da me costretto - che la spiritualità ha la sua importanza e la loda.
    Poi di fatto non gli interessa poiché bisogna mescolarsi nel mondo e "avere l'odore delle pecore", come direbbe il papa argentino.

    Uno può fare le scelte che vuole, bene inteso, ma dev'essere perfettamente cosciente dei rischi che queste comportano. Se le fonti cristiane antiche sono molto prudenti è perché sanno che ci si può lasciar prendere la mano e perdere di vista l'essenziale divenendo dunque puramente psichici.

    Perciò, se un monaco si affeziona al suo lavoro, è prassi che il saggio abate glielo tolga!

    Il fine per un cristiano (e quindi per un monaco) non è tanto fare un certo lavoro materiale, stabilirsi nella società, costruire determinate istituzioni per influenzarla, ma cambiare il suo cuore e ciò può non avvenire se si antepone l'attenzione al molteplice mondano a quella spirituale.

    Ecco il significato del passo in cui Cristo rampogna Marta che s'impegna in molte cose mentre Maria sta ai suoi piedi! (Vangelo che evidentemente non può che sfuggire a Roberto e a chi pensa come lui ma che s'iscrive PERFETTAMENTE nella tradizione ascetica da me individuata, questo per dire che Cristo non si può incasellare nella mentalità attivistica odierna).

    Purtroppo nelle nostre parti ciò non è affatto chiaro e i valori evangelici sono stati capovolti con il risultato di essersi allontanati (o di aver rifiutato) le basi del Cristianesimo stesso (in nome del vangelo, per di più!). Gli ultimi post non hanno fatto altro che dimostrarlo AMPIAMENTE.

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