Parlando
di grazia, come ho fatto nel post precedente, si è determinati a
parlare di un vero e proprio contatto con il Divino. La potenza
guaritrice (dynamis)
che esce da Cristo e sana l'emorroissa non opera una semplice terapia
ma stabilisce un contatto immediato, per quanto fugace, tra la realtà umana e quella divina.
Nonostante
non possa essere espresso dalla logica, tale contatto è chiaramente
avvertito dalla natura umana come qualcosa di totalmente altro e di
assolutamente inesprimibile. Il fenomeno avviene in un determinato
momento, al punto che la persona guarita si ricorda l'ora e la data
dell'avvenimento, ma, scaturendo dalla sfera
divina, proviene contemporaneamente da una dimensione atemporale. Il contatto dell'uomo
con il Divino testimoniato dai Vangeli si prolunga nella Chiesa ma
solo sotto determinate condizioni che già il Vangelo mette in bocca a
Cristo: “Credi nel Figlio dell'uomo?” (Gv
9, 35); “Non ti ho detto che se
credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv
11, 40). Gli Atti degli Apostoli
ribadiscono lo stesso concetto: “Filippo disse: 'Se tu credi con
tutto il cuore, è possibile'. L'eunuco rispose: 'Io credo che Gesù
Cristo è il Figlio di Dio'” (At 8,
37). La fede incrollabile in Cristo
rende possibile il contatto tra la dimensione eterna e quella
temporale, la realtà increata (o divina) e quella creata (o
creaturale).
Il
fatto è ampiamente evidenziato nella Rivelazione perché lo si possa
mettere in dubbio e lo si può testificare in particolari momenti
della vita di certi santi.
La
fede cristiana non è un bagaglio di concetti intellettuali da
conservare e tramandare. Per quanto la si possa esprimere anche in
termini discorsivi, la sua vera natura è spirituale: la fede è un
atteggiamento dello spirito umano che si appoggia su un “sentire”
interiore che viene attivato dalla grazia. In effetti un
tempo si diceva popolarmente: “Credere è una grazia di Dio”.
Infatti, ad un
ateo potremo parlare fino a domattina dell'esistenza di Dio, magari
facendo leva sulle cosiddette prove filosofiche di Tommaso d'Aquino, ma non
crederà. Quello di cui l'ateo, e in fondo ognuno di noi, ha bisogno
non sono i remata
(le parole come puri suoni) ma i logia
(le parole che danno vita). Cristo è il Logos
per eccellenza: quello che dice immediatamente compie, che sia la
maledizione del fico sterile, che sia la resurrezione di Lazzaro.
La
grazia, dunque, effettua un contatto dell'umano con il Divino,
essendo la grazia medesima “sangue”, se così si può dire, di
Dio stesso.
È
attraverso questo contatto che gli asceti erano resi sapienti, pur
senza aver fatto particolari studi. È per cercare questo contatto
che essi vivevano con grandi rinunce: “Il regno dei cieli è simile
a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato,
nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha,
e compra quel campo” (Mt 13, 44).
È
attraverso questo contatto che chi ne usufruisce, magari anche un
solo istante, comprende il valore della Scrittura e della Tradizione
in un modo che non è dato a tutti perché consiste nel vedere le
cose “all'interno” di loro stesse.
Fatta
questa premessa, si può ora ben capire perché nei primi secoli
cristiani era auspicabile l'esperienza monastica, soprattutto per chi
avrebbe ricoperto una carica episcopale. Il vescovo, infatti, non
deve giudicare con la mentalità del sindaco, in modo legale,
esteriore, mondano (come oramai avviene). Il vescovo, come padre
della diocesi, deve giudicare con l'occhio di Dio e questo è
possibile solo in un'atmosfera autenticamente monastica. Se ciò non
avviene, la Tradizione immediatamente si rinsecchisce e diviene un
mero elenco di cose da fare “perché
si è sempre fatto così”
fino al giorno in cui qualcuno ha il coraggio di buttare tutto per
aria (come oramai avviene nel Cattolicesimo e come è avvenuto nella Riforma
protestante).
A
questo formalismo che porta all'iconoclastia e alla desacralizzazione si è poi aggiunta la mentalità illuministica
che ha letteralmente imbevuto tutto il nostro Cristianesimo
occidentale.
Ad
esempio ciò lo vediamo in un'intervista del generale dei gesuiti
Arturo Sosa il quale dichiarò che le parole di Gesù non sono state
tramandate da un nastro, o disco che sia, per cui noi non sappiamo
esattamente ciò che Egli abbia detto.
L'affermazione
ha fatto giustamente rizzare i capelli a molti ma chi ha protestato si è limitato a contrapporre a questa dichiarazione, che finisce per relativizzare il valore delle affermazioni di Cristo, l'idea che l'autorità dei Vangeli è sufficiente a
fondare se stessa e quindi non dev'essere scalfita: “è
così perché è così”.
Da
quando la dichiarazione sosiana è stata fatta, lo scorso febbraio,
non ho trovato una riflessione, che sia una!, che mi spiegasse le
cose in modo alternativo, un po' più profondo. E anche questo,
ovviamente, indica come la fede cristiana, almeno in Occidente, si
sia fin troppo intellettualizzata.
Detto
diversamente: si è alterato quel movimento circolare che i Padri
stessi della Chiesa ci mostrano e gli asceti ci confermano. Il
movimento circolare è questo: si parte dalla Scrittura, si crede in
Cristo, ci si converte a lui, si è toccati dalla grazia, si legge
con la grazia la Scrittura nella Chiesa e, nell'esperienza mistica,
si ha la prova provata della sua validità. È ovvio che tutto questo
non è istantaneo al punto che può richiedere molto tempo, ma è
l'unico modo autentico di approcciarsi alla Scrittura che io conosca.
Oggi
questo movimento circolare si è da tempo alterato: messa da parte la
Chiesa e ritenuto un mito la grazia e la vita spirituale, si legge la
Scrittura con il solo intelletto, un intelletto razionale che i Padri
definirebbero “pieno di passioni” e quindi portato a cercare,
nella lettura, conferma anche alle proprie debolezze. Il movimento
circolare tradizionale è dunque stato sostituito con un altro
movimento circolare: si parte da se stessi, si arriva alla Scrittura
e, attraverso la ragione logica individuale si trae un significato razionale per poi tornare a se stessi, magari con diversi dubbi in più, come mi
sembra di capire dalla risposta del gesuita.
Le
parole di Gesù in quanto semplice scritto non significano nulla se
non diventano vita della Chiesa, una vita in contatto reale (non
ideale!) con l'Eternità. Quando ciò non avviene, sia perché
richiederebbe un ascetismo ritenuto repellente, sia perché non si è
mai creduto davvero, il vangelo diviene campo di esercizio per le
opinioni più arbitrarie, tra cui quelle di padre Sosa.
Si
comprende bene come qui oramai non possa più esservi spazio per
alcun contatto con il Divino poiché non si può imparare veramente
nulla di utile, visto che si pongono ragionamenti simili o peggiori
di Peppone contro don Camillo.
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