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lunedì 24 febbraio 2020

L'assenza di sacro - parte 2



Quando l'uomo non riconosce più la presenza del sacro nella vita, in un luogo, in un insegnamento, è indice che in lui si è consumato e portato a compimento quel processo che abbiamo riassunto nello schema sopra riportato: il dominio della ragione, con le sue possibilità ma pure con i suoi evidenti limiti, oramai lo definisce totalmente. L'intuizione e la spiritualità non gli dicono più nulla. L'intuizione, per quanto ancora gli rimanga in stato larvale, è resa impotente come un muscolo non più adoperato. In pratica è inesistente.

Tutto questo ha molte conseguenze. Ne abbiamo ricordate alcune. Ora ne ricordiamo altre.

In una religiosità razionalistica la chiesa non è un luogo sacro ma un'aula di raduno sociale. In assenza di raduno, non ha senso che la chiesa rimanga aperta. L'edificio, infatti, è concepito privo di profondi significati spirituali. Questo lo si può vedere in certi paesi luterani dove, al di fuori del culto, la chiesa è chiusa. Nel mondo cattolico molte attuali chiese sono oramai divenute così.

Nel periodo moderno, nel cattolicesimo c'era ancora la prassi dell'adorazione in chiesa o esisteva, almeno, un'idea didattica: l'interno, attraverso raffigurazioni e opere artistiche, istruisce i fedeli. La chiesa deve dunque rimanere aperta come un libro per istruire ed edificare chiunque vi entri. 

La simbologia, che più propriamente caratterizza l'edificio sacro, continuava a permanere nella liturgia latina e nei suoi gesti ma era, in un certo senso formalizzata, più che vissuta. Era la reliquia di un tempo passato che in qualche modo continuava a permanere in un contesto in progressivo cambiamento. Questo diffuso formalismo e l'incomprensione di tale tradizione sono state la causa scatenante delle successive riforme da cui si sono dipartite le dissoluzioni liturgiche attuali.

L'idea di un incontro con Dio, attraverso la simbologia di un'iconografia, rimaneva confinata in certi santuari mariani. Nella maggior parte delle chiese si praticava l'adorazione alle specie eucaristiche, cosa attualmente in gran decadenza.

L'attuale negazione del sacro, da parte di molto clero cattolico, ha portato a cambiamenti radicali nell'edificio ecclesiastico e nel comportamento dei fedeli. Ha determinato pure una concezione puramente sociale di Cristianesimo, dov'è inconcepibile qualsiasi tipo di spiritualità tradizionale.

Precedentemente, la moralità, ossia il seguire determinati canoni morali, faceva la differenza tra il cristiano degno di Dio e l'indegno. Il primo, a differenza del secondo, era meritevole della grazia sacramentale eucaristica e del Paradiso.
Lo stesso santo era detto tale proprio perché aveva raggiunto un grado eroico di esercizio delle virtù finendo quindi per divenire degnissimo agli occhi divini e a quelli degli uomini.

C'è da dire che questo concetto di moralità, che ha un vago sapore mercantilistico, non ha alcun profondo collegamento con il mondo spirituale da me ricordato. Lutero avrà, dunque, gioco abbastanza facile ad abbandonarlo asserendo che vi si nasconde, in modo neppur tanto velato, un certo orgoglio o presunzione spirituale. Invece di conservare la prassi tradizionale ma con fondamenti più solidi, oggi un gran numero di laici e chierici cattolici ha seguito le orme luterane. I riferimenti morali sono, di fatto, disattesi.


In realtà l'obiettivo della cosiddetta moralità non è quello di giungere ad essere degni ma quello di preparare il terreno a Dio o, per dirla più precisamente, quello di sensibilizzare la nostra sfera intuitiva. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, non è un'affermazione insensata o squilibrata, com'è giunto ad affermare incredibilmente papa Bergoglio, ma presuppone esattamente la rinuncia a qualcosa per poter conseguire qualcos'altro. E' un po' come uno studente che rinuncia al divertimento per occupare il tempo allo studio e giungere a sostenere un buon esame. In tutto ciò c'è una profonda logica, una preparazione, l'esercizio della libertà personale, non certo uno squilibrio!

Il monachesimo antico non aveva per scopo quello di divenire “degni” o “santi” davanti a Dio. Il suo scopo era preparare l'interiorità o, come si diceva, praticare la purificazione dalle passioni. Le passioni cattive attivano energie dispersive che oscurano l'intelletto spirituale. Nella misura in cui dominano l'uomo, il suo intuito diviene sempre più impotente: “Se dunque il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è malvagio, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, quanto grandi saranno le tenebre!” (Mt 6, 22-23).

E' evidente che qui si parla dell'occhio spirituale, ossia della facoltà intuitiva dell'uomo, del "nous", com'è stato ribadito.

Una volta che avviene la preparazione, e che quindi l'invitato assume la veste bianca, per dirla con la parabola evangelica, può avvenire l'invito a nozze quando e come lo Sposo vorrà.

Ma se tutto questo è negato, incompreso, stravolto, il vangelo diviene una raccolta di detti insensati, squilibranti, come direbbe Bergoglio, e il razionalismo finisce per deformarlo per poi rifiutarlo.

Ne consegue che il monachesimo, ultimo rifugio per una corretta prassi evangelica, viene a sua volta rammollito, modificato e gradualmente abolito.

La diffidenza verso il monachesimo, il secolarismo dei chierici e il formalismo liturgico è quanto, oramai, caratterizza pure una parte del mondo ortodosso che si prepara, così, ad abbracciare quel Cristianesimo che lo ha preceduto in tal avvilente percorso storico.

La verità evangelica, come abbiamo visto, sta in un orientamento totalmente differente e si caratterizza per la sua somiglianza con le scelte e gli stili che la Chiesa aveva nella sua antichità e che ha cercato di mantenere diffusamente finché ha potuto.

domenica 23 febbraio 2020

L'assenza di sacro


Il mondo tradizionalista cattolico ha notato più volte l'invasione del secolarismo all'interno della Cattolicità. Quest'invasione si è concretizzata in opposizioni più o meno evidenti alle forme tradizionali del culto antico, all'adorazione e, di conseguenza, agli antichi ordini religiosi che fondavano la loro identità su una solida vita liturgica e contemplativa.

Il Cattolicesimo, invaso nel suo interno da forze a lui eterogenee, si è trasformato in qualcosa di molto distante da quanto potevano immaginare le stesse generazioni dei cattolici praticanti di soli settantanni fa.

Oggi, con un pontificato romano a dir poco strano, gli è stata data una più forte accelerazione in direzione secolaristica.

In tal modo, si sta finendo di compiere l'aspirazione di quel seminarista da me conosciuto che, negli anni ottanta, desiderava una Chiesa più vicina al mondo, seminarista che oggi insegna nei seminari cattolici in qualità di docente e sacerdote in Friuli. Si può solo immaginare che tipo di insegnamento e “formazione” darà ai suoi poveri alunni!

In realtà, il Cattolicesimo che oggi si sta confezionando non è un adattamento della sua perenne identità ad un nuovo mondo ma una realtà totalmente nuova e quindi in rottura, più o meno profonda, con il suo passato.

Questo, dal punto di vista religioso, rappresenta un suicidio poiché con la Rivelazione, il Cristianesimo ha ricevuto per sempre anche il modo di intenderla, il senso di se stesso e della sua missione.

Oggi, quanto si sta perdendo, è proprio il modo di intendere la Rivelazione (ossia il contenuto della tradizione) e, di conseguenza, il senso e la missione del Cristianesimo.

Una delle conseguenze fatali di tutto ciò è esattamente la perdita del sacro, più volte denunciata dal mondo tradizionalista cattolico.

Molte volte abbiamo detto che il sacro non dev'essere inteso banalmente, come lo intendono certi “progressisti” cattolici che, perciò, lo combattono. Il sacro è il senso del trascendente, la sensazione dell'Alterità in un determinato contesto poiché, se Dio regge tutto il mondo, non ovunque l'uomo lo può intuire anche perché ci troviamo in una realtà ferita dalla cosiddetta disobbedienza adamitica.

La perdita del sacro comporta un'infinità di aspetti che i nostri amici “tradizionalisti” non sempre notano a causa dei loro presupposti religiosi di carattere prevalentemente razionale.

Se nella coscienza religiosa prevale l'aspetto razionale, determinato non di rado dall'ambito culturale moderno, si oscurano senza saperlo altri aspetti tutt'altro che secondari. Si tende a dimenticare, ad esempio, che il Cristianesimo antico non pone la semplice razionalità al centro di tutto ma ha un concetto di uomo molto più ampio e profondo, un concetto che oggi facciamo difficoltà a comprendere perfino nello stesso ambito ecclesiale e che si definisce “spirituale”.

L'ambito della spiritualità, ossia quello di una dimensione più profonda e dimenticata ma insita da sempre nell'uomo è connesso con la tradizione e, in un certo qual modo, con il cuore della stessa successione apostolica che, così, non è una semplice trasmissione del potere di ordine dal vescovo ordinante al vescovo ordinato ma della giusta dimensione spirituale nella quale si colloca quel sacramento e quel potere stesso.

In tal modo, se avviene una consacrazione episcopale, anche con corretti presupposti dogmatici e con una liturgia ortodossa, ma non è più chiara la corretta dimensione spirituale con la quale si esercita il sacramento dell'Ordine sacro, possiamo trovarci dinnanzi ad un'ordinazione valida ma di fatto inefficace.

È come dare ad un medico l'abilitazione di esercitare la sua professione, dopo corretti studi teorici, ma nella totale ignoranza di come si applica tale professione. Non a caso, nel caso del medico, si può esercitare la professione solo dopo un adeguato tirocinio poiché la sola formazione intellettuale non basta affatto.

Cosa succede nei seminari cattolici odierni, mi riferisco a quelli che hanno in orrore la loro stessa antica tradizione (e sono la stragrande maggioranza)? Non è solo progressivamente deformata la formazione intellettuale ma pure la corretta dimensione spirituale con la quale si dovrebbe esercitare il sacramento dell'Ordine sacro.

Il laico non può rimanere indifferente. Infatti quanto qui inizia ad essere messa a repentaglio è esattamente la successione apostolica, ciò che fa in modo che quel vescovo sia un reale vescovo, quel sacerdote un reale sacerdote.

Già da tempo abbiamo compreso che la gran maggioranza del clero cattolico sembra esprimersi sempre più come dei laici che “fanno” i preti, non come degli uomini che “sono” preti. La differenza non è da poco poiché qui è semplicemente stato svuotato il sacerdozio del Nuovo Testamento.

Il frutto che genera questa nuova comprensione di Chiesa e di sacerdozio, infatti, non è quello evangelico che infonde una sana inquietudine dinnanzi a Dio per la nostra personale indegnità. Il frutto è un orgoglio per essere ciò che si è per cui non ha senso alcuna conversione. L'unica conversione possibile è, allora, quella compresa dal mondo, tipo quella ecologica, quella sociale, quella semplicemente filantropica, ecc.

Si tratta, qui, di una spiritualità invertita che rimanda, a sua volta, ad una formazione invertita e ad un sacerdozio invertito o, in una sola definizione, ad una assenza di successione apostolica.

L'assenza del cosiddetto “sacro” nelle nuove liturgie cattoliche e il modo essenzialmente mondano o nevrotico di vivere il tempo, la razionalizzazione o banalizzazione del mistero, non sono che semplici conseguenze di un'assenza o inoperatività della successione apostolica.

Quando la dimensione spirituale è incompresa o combattuta siamo dinnanzi alla cecità spirituale o, detto diversamente, al dominio e allo schiacciamento dell'intuizione da parte del razionale.

L'intuizione presente nell'uomo ci è testimoniata dalle stesse Sacre Scritture in modalità differenti (vedi, ad esempio, At 8, 26 oppure Lc 24, 32). Si tratta di una sfera dell'umano sensibile a realtà di tipo spirituale che la mente è impotente ad afferrare. È quello che i padri greci chiamano “nous”, ossia l'occhio spirituale, l'intelletto spirituale, cosa ben distinta e diversificata dalla razionalità.

Quanto, nella Rivelazione o nel dono di grazia, appare al “nous” può, in un certo senso, essere espresso razionalmente ma solo limitatamente. L'intuizione riesce ad attraversare il tempo e a trovare in un suo solo istante la dimensione dell'eterno, è quanto trasforma l'uomo in un contemplativo, in un essere che comunica con l'Altro mondo o ne è toccato coscientemente. Il vero veggente è l'uomo nel quale l'intuizione lavora. Perciò la Scrittura riporta: “Io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”(Gioe 3,1).

Gesù Cristo comanderà ai suoi discepoli di “farsi come bambini” proprio perché nell'infante non domina la sfera del razionale ma, piuttosto, quella dell'intuizione, seppur ancora ad un livello iniziale. Se ciò non avviene, “non entrerete nel Regno dei Cieli”, ossia non sarete toccati dall'Eternità fin da quaggiù.

Se tutto questo è oscurato, incompreso, dimenticato, combattuto, per un certo tempo rimane l'interpretazione razionale della Rivelazione. Poi si finisce per considerarla inutile e contraddittoria e si sposano categorie sempre più mondane: la religione viene compresa nei limiti dell'umana ragione! Da quel punto in poi, si trasformano la Chiesa, la liturgia i sacramenti i dogmi. L'uomo si nevrotizza e non sopporta più pregare o assistere a lunghe liturgie. Di conseguenza queste vengono abbreviate o semplicemente soppresse.

Ed eccoci ai giorni nostri dove tutta questa preparazione ha generato agnostici e atei. Non illudiamoci: nelle strutture ecclesiastiche mondanizzate odierne è perfettamente logica la presenza di preti e vescovi agnostici e atei!

L'assenza di sacro, dunque, non è che il frutto finale e più maturo di un percorso dove tutto è stato invertito e l'uomo è stato rinchiuso nella sua unica razionalità, una razionalità per giunta non più illuminata dalla più elevata facoltà intuitiva.

Le strutture ecclesiastiche, a quel punto, non servono più poiché non sono più in grado di compiere il lavoro che dovrebbero, per loro natura, fare.

Mi impressiona non poco osservare che alcune realtà della Chiesa ortodossa, un tempo gelose custodi di tale prospettiva antropologica e spirituale, si stiano “modernizzando” e iniziano a produrre quello stesso vuoto di senso che vediamo nella maggioranza delle strutture ecclesiastiche attorno a noi. Esse sono oramai pronte ad unirsi con un certo mondo “cristiano” occidentale poiché hanno la sua stessa e identica atmosfera interiore!


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Schema riassuntivo