Il
mondo tradizionalista cattolico ha notato più volte l'invasione del
secolarismo all'interno della Cattolicità. Quest'invasione si è
concretizzata in opposizioni più o meno evidenti alle forme
tradizionali del culto antico, all'adorazione e, di conseguenza, agli
antichi ordini religiosi che fondavano la loro identità su una
solida vita liturgica e contemplativa.
Il
Cattolicesimo, invaso nel suo interno da forze a lui eterogenee, si è
trasformato in qualcosa di molto distante da quanto potevano
immaginare le stesse generazioni dei cattolici praticanti di soli
settantanni fa.
Oggi,
con un pontificato romano a dir poco strano, gli è stata data una
più forte accelerazione in direzione secolaristica.
In
tal modo, si sta finendo di compiere l'aspirazione di quel
seminarista da me conosciuto che, negli anni ottanta, desiderava una
Chiesa più vicina al mondo, seminarista che oggi insegna nei
seminari cattolici in qualità di docente e sacerdote in Friuli. Si
può solo immaginare che tipo di insegnamento e “formazione” darà
ai suoi poveri alunni!
In
realtà, il Cattolicesimo che oggi si sta confezionando non è un
adattamento della sua perenne identità ad un nuovo mondo ma una
realtà totalmente nuova e quindi in rottura, più o meno profonda,
con il suo passato.
Questo,
dal punto di vista religioso, rappresenta un suicidio poiché con la
Rivelazione, il Cristianesimo ha ricevuto per sempre anche il modo di
intenderla, il senso di se stesso e della sua missione.
Oggi,
quanto si sta perdendo, è proprio il modo di intendere la
Rivelazione (ossia il contenuto della tradizione) e, di conseguenza,
il senso e la missione del Cristianesimo.
Una
delle conseguenze fatali di tutto ciò è esattamente la perdita del
sacro, più volte denunciata dal mondo tradizionalista cattolico.
Molte
volte abbiamo detto che il sacro non dev'essere inteso
banalmente, come lo intendono certi “progressisti” cattolici che,
perciò, lo combattono. Il sacro è il senso del trascendente,
la sensazione dell'Alterità in un determinato contesto poiché, se
Dio regge tutto il mondo, non ovunque l'uomo lo può intuire anche
perché ci troviamo in una realtà ferita dalla cosiddetta
disobbedienza adamitica.
La
perdita del sacro comporta un'infinità di aspetti che i nostri amici
“tradizionalisti” non sempre notano a causa dei loro presupposti
religiosi di carattere prevalentemente razionale.
Se
nella coscienza religiosa prevale l'aspetto razionale, determinato
non di rado dall'ambito culturale moderno, si oscurano senza saperlo
altri aspetti tutt'altro che secondari. Si tende a dimenticare, ad
esempio, che il Cristianesimo antico non pone la semplice razionalità
al centro di tutto ma ha un concetto di uomo molto più ampio e
profondo, un concetto che oggi facciamo difficoltà a comprendere
perfino nello stesso ambito ecclesiale e che si definisce
“spirituale”.
L'ambito
della spiritualità, ossia quello di una dimensione più profonda e
dimenticata ma insita da sempre nell'uomo è connesso con la
tradizione e, in un certo qual modo, con il cuore della stessa
successione apostolica che, così, non è una semplice trasmissione
del potere di ordine dal vescovo ordinante al vescovo ordinato ma
della giusta dimensione spirituale nella quale si colloca quel
sacramento e quel potere stesso.
In
tal modo, se avviene una consacrazione episcopale, anche con corretti
presupposti dogmatici e con una liturgia ortodossa, ma non è più
chiara la corretta dimensione spirituale con la quale si esercita il
sacramento dell'Ordine sacro, possiamo trovarci dinnanzi ad
un'ordinazione valida ma di fatto inefficace.
È
come dare ad un medico l'abilitazione di esercitare la sua
professione, dopo corretti studi teorici, ma nella totale ignoranza
di come si applica tale professione. Non a caso, nel caso del medico,
si può esercitare la professione solo dopo un adeguato tirocinio
poiché la sola formazione intellettuale non basta affatto.
Cosa
succede nei seminari cattolici odierni, mi riferisco a quelli che
hanno in orrore la loro stessa antica tradizione (e sono la
stragrande maggioranza)? Non è solo progressivamente deformata la
formazione intellettuale ma pure la corretta dimensione spirituale
con la quale si dovrebbe esercitare il sacramento dell'Ordine sacro.
Il
laico non può rimanere indifferente. Infatti quanto qui inizia ad
essere messa a repentaglio è esattamente la successione apostolica,
ciò che fa in modo che quel vescovo sia un reale vescovo, quel
sacerdote un reale sacerdote.
Già
da tempo abbiamo compreso che la gran maggioranza del clero cattolico
sembra esprimersi sempre più come dei laici che “fanno” i preti,
non come degli uomini che “sono” preti. La differenza non è da
poco poiché qui è semplicemente stato svuotato il sacerdozio del
Nuovo Testamento.
Il
frutto che genera questa nuova comprensione di Chiesa e di
sacerdozio, infatti, non è quello evangelico che infonde una sana
inquietudine dinnanzi a Dio per la nostra personale indegnità. Il
frutto è un orgoglio per essere ciò che si è per cui non ha senso
alcuna conversione. L'unica conversione possibile è, allora, quella
compresa dal mondo, tipo quella ecologica, quella sociale, quella
semplicemente filantropica, ecc.
Si
tratta, qui, di una spiritualità invertita che rimanda, a sua volta,
ad una formazione invertita e ad un sacerdozio invertito o, in una
sola definizione, ad una assenza di successione apostolica.
L'assenza
del cosiddetto “sacro” nelle nuove liturgie cattoliche e il modo
essenzialmente mondano o nevrotico di vivere il tempo, la
razionalizzazione o banalizzazione del mistero, non sono che semplici
conseguenze di un'assenza o inoperatività della successione apostolica.
Quando
la dimensione spirituale è incompresa o combattuta siamo dinnanzi
alla cecità spirituale o, detto diversamente, al dominio e allo
schiacciamento dell'intuizione da parte del razionale.
L'intuizione
presente nell'uomo ci è testimoniata dalle stesse Sacre Scritture in
modalità differenti (vedi, ad esempio, At 8, 26 oppure Lc 24, 32).
Si tratta di una sfera dell'umano sensibile a
realtà di tipo spirituale che la mente è impotente ad afferrare. È
quello che i padri greci chiamano “nous”, ossia l'occhio
spirituale, l'intelletto spirituale, cosa ben distinta e
diversificata dalla razionalità.
Quanto,
nella Rivelazione o nel dono di grazia, appare al “nous” può, in
un certo senso, essere espresso razionalmente ma solo limitatamente.
L'intuizione riesce ad attraversare il tempo e a trovare in un suo
solo istante la dimensione dell'eterno, è quanto trasforma l'uomo in
un contemplativo, in un essere che comunica con l'Altro mondo o ne è
toccato coscientemente. Il vero veggente è l'uomo nel quale
l'intuizione lavora. Perciò la Scrittura riporta: “Io
effonderò il mio Spirito
sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre
figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno
visioni”(Gioe
3,1).
Gesù
Cristo comanderà ai suoi discepoli di “farsi come bambini” proprio perché nell'infante
non domina la sfera del razionale ma, piuttosto, quella
dell'intuizione, seppur ancora ad un livello iniziale. Se ciò non avviene, “non entrerete nel Regno dei
Cieli”, ossia non sarete toccati dall'Eternità fin da quaggiù.
Se tutto questo è oscurato, incompreso, dimenticato, combattuto, per
un certo tempo rimane l'interpretazione razionale della Rivelazione.
Poi si finisce per considerarla inutile e contraddittoria e si
sposano categorie sempre più mondane: la religione viene compresa
nei limiti dell'umana ragione! Da quel punto in poi, si trasformano
la Chiesa, la liturgia i sacramenti i dogmi. L'uomo si nevrotizza e
non sopporta più pregare o assistere a lunghe liturgie. Di
conseguenza queste vengono abbreviate o semplicemente soppresse.
Ed
eccoci ai giorni nostri dove tutta questa preparazione ha generato
agnostici e atei. Non illudiamoci: nelle strutture ecclesiastiche
mondanizzate odierne è perfettamente logica la presenza di preti e
vescovi agnostici e atei!
L'assenza
di sacro, dunque, non è che il frutto finale e più maturo di un
percorso dove tutto è stato invertito e l'uomo è stato rinchiuso
nella sua unica razionalità, una razionalità per giunta non più
illuminata dalla più elevata facoltà intuitiva.
Le
strutture ecclesiastiche, a quel punto, non servono più poiché non
sono più in grado di compiere il lavoro che dovrebbero, per loro
natura, fare.
Mi
impressiona non poco osservare che alcune realtà della Chiesa
ortodossa, un tempo gelose custodi di tale prospettiva antropologica
e spirituale, si stiano “modernizzando” e iniziano a produrre
quello stesso vuoto di senso che vediamo nella maggioranza delle
strutture ecclesiastiche attorno a noi. Esse sono oramai pronte ad
unirsi con un certo mondo “cristiano” occidentale poiché hanno
la sua stessa e identica atmosfera interiore!
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Schema riassuntivo
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