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mercoledì 18 agosto 2021

Culto tradizionale e sua demolizione

Questo scritto nasce come un tentativo di risposta a quanto sta accadendo in questo ultimo periodo nel mondo Cattolico con il documento Traditionis Custodes, voluto fortemente da papa Francesco I. 

Chi pensa che m'intrattengo solo su questioni interne al mondo cattolico e che esse non hanno alcun contraccolpo nelle antiche liturgie orientali, si dimentica che in ogni periodo ci sono state influenze e adattamenti tra le più svariate liturgie. Nulla si conserva intatto e privo di cambiamenti, positivi o negativi che siano. E se i cambiamenti non toccano l'apparenza, la forma esterna, possono toccare lo spirito con il quale si fanno, la mentalità con la quale si valutano. 

Nessuna meraviglia, dunque, che certe riflessioni che innervano il documento Traditionis Custodes (d'ora in poi TC) non possano avere ricadute ben oltre il mondo cattolico stesso. Può essere solo questione di tempo. 

TC, in pratica, annulla le concessioni date da Benedetto XVI a chi voleva liberamente celebrare con il messale latino tradizionale e cerca di rendere tale liturgia sempre più impraticabile a favore del cosiddetto “Messale Romano” rinnovato dopo il Concilio Vaticano II. 

I liturgisti più preparati ammettono giustamente che tra il Messale tradizionale e quello rinnovato esiste uno stile completamente differente. I più espliciti parlano di “rottura” tra il passato liturgico cattolico e il presente, cosa che credo anch'io verosimile. 

Ora, poiché nella Chiesa non si possono introdurre situazioni di rottura che creerebbero, di fatto, un'altra Chiesa nelle strutture dell'antica, Benedetto XVI proponeva una sorta di “continuità”: la coesistenza dei due messali, la loro possibile reciproca contaminazione e il definitivo sbocco in una futura unica forma cultuale. 

In ciò si vede in Ratzinger qualcosa della mentalità hegeliana, in particolare la formulazione della tesi e dell'antitesi per poi giungere ad una sintesi. 

La sua lettura era più teorica che vera: chi pratica il rito romano tradizionale normalmente non ne vuole sapere di essere “contaminato” dal nuovo ed è vero anche il suo contrario. 

TC giunge come una spada di Damocle per tagliare tutte quelle situazioni che, a detta dell'estensore, non sono più sopportabili: non si può avere due forme di un unico rito poiché ciò crea una dicotomia, un corpo con due teste. 

A dire il vero pure io ero perplesso dinnanzi alla soluzione ratzingeriana ma, dinnanzi alla caoticità di una situazione storicamente inedita nel Cattolicesimo, mi pareva essere l'unica proposta concreta, per quanto instabile. La Chiesa deve, dunque, avere un'unica forma di un solo rito. Su questo indubbiamente concordo. 

TC, però, parte da una situazione scontata: quella creata dai liturgisti che hanno cambiato il culto cattolico dopo il concilio Vaticano II. Parte da tale situazione e le apre la strada. Per tali liturgisti la liturgia tradizionale (a questo punto ogni liturgia tradizionale?) è un elenco formale di cose da fare, quasi meccanicamente, azioni senza anima e vita.

Le ripetizioni sono viste come cose francamente noiose e inutili. La ieraticità e la compostezza possono essere equivocate come delle forme di assurda rigidità, identificate come comportamenti difficilmente spiegabili in un luogo, la chiesa, che dovrebbe essere la “casa della festa”. E, proprio perché la chiesa è tale, si dovrebbero promuovere improvvisazioni, acclamazioni, canti vivaci e ritmati e, perché no?, delle danze. 

Vero è che per lungo tempo la cosiddetta “Messa tridentina”, l'ultima “versione” della messa latina romana di Gregorio Magno, fu celebrata con il terrore di fare qualche errore poiché, se il prete sbagliava, lo si sarebbe considerato un peccato; con un'attenzione rubricale che scadeva nel maniacale, insomma, poteva finire per essere una celebrazione più attenta alla forma che alla sostanza.

Ma, nonostante questa verità o tante altre simili, si continuava a veicolare un modus celebrandi che, se riscoperto patristicamente, avrebbe fatto apprezzare una spiritualità e un'ascesi, avrebbe fatto valutare la sua simbolicità. 

La Chiesa che, nel primo millennio cristiano, aveva la comunione di tutti i Patriarcati conservava una liturgia a Roma che, nonostante limiti umani ovunque riscontrabili, non impediva la concelebrazione con un vescovo bizantino orientale. Nell'Athos fino al XIV secolo esistevano benedettini latini con la loro liturgia. Perfino nel Monastero bizantino di santa Caterina, sul Sinai, si narra dell'esistenza fino al XIV secolo di una cappella latina per i pellegrini latini di passaggio con i loro sacerdoti. 

Questo, perché non è affatto difficile ricondurre la liturgia latina tradizionale alla liturgia bizantina, almeno nel suo stile di fondo che si esprime in preghiere “verticali”, nel sacerdote che “dialoga” con Dio, nel ruolo simbolico di parole e atti, nella ieraticità esterna che dovrebbe spingere ad una ascesi spirituale ad un timore reverenziale, alla contrizione. In breve: le forme esterne indicano o dovrebbero indicare un modus operandi di tipo spirituale, quindi totalmente all'opposto da quanto sembra si auspichino i liturgisti moderni per le “messe rinnovate” i quali richiedendo una “partecipazione attiva” sono più attenti al fenomeno esteriore, sociologico, psicologico, che all'evento interiore. 

Andando al fondo di tutto, in questa vicenda liturgica non si discute tanto sui testi, sulla lingua usata, sulle sue modalità espressive, quanto sulla sua “anima”: la liturgia cristiana ha un'anima che chiede di essere costantemente mantenuta. Laddove quest'anima non si percepisce più, anche se tutto pare essere simile a prima, è avvenuta una variazione fondamentale. Ecco perché anticamente potevano coesistere diversi riti in una unica Chiesa: l'anima celebrativa era la stessa! Il problema che apre il “Nuovo Messale”, quindi, non è una questione materiale o formale, ma una questione essenziale dove, chi assiste, ha l'impressione che si sia persa esattamente l'anima della liturgia! Questo spiega perché, nel Cattolicesimo, diversi fedeli continuano a sostenere imperterriti la liturgia tradizionale indisponendo gli studiosi e inasprendo quei chierici che ne sono avversi forse perché fin troppo secolarizzati. I primi, pur non avendo spesso i termini per esprimersi, sentono quell'anima più nei riti antichi che nei nuovi, i secondi, ai quali probabilmente sfugge il sentire interiore, credono di aver a che fare con cultori di forme “passate e morte”. 

È bene che, deposte le armi della polemica, ci si apra alla riflessione, il che darà la possibilità a tutti per un'auspicata maturazione e una coscienza più elevata. 

Per quanto riguarda le Chiese ortodosse mi auguro che non si sentano privilegiate, esentate magicamente da tali problematiche: il formalismo liturgico che si vedeva nel mondo latino negli anni cinquanta oggi sta ammalando molte di loro e non ne sono ancora perfettamente coscienti! 

Questo indica un'inevitabile separazione tra la spiritualità e la liturgia con un quasi totale estraniamento dalla prima. Potrebbe proprio essere l'anticamera in cui tutto l'ordinamento liturgico tradizionale crolla, come successe nel mondo Cattolico una cinquantina di anni fa.

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