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martedì 7 dicembre 2021

La simbolica liturgica e la spiritualità


Una delle basi imprescindibili del Cristianesimo, oltre alla resurrezione di Cristo, è la sua incarnazione in quanto Dio nella nostra stessa umanità. La maggioranza dei cristiani professa questa verità senza rendersi conto delle profonde implicazioni da essa comportate. In tal modo, la si declama nel Credo come uno dei tanti punti a cui prestare riferimento mentale, senza la minima coscienza del suo impatto pratico.

Eccezioni a parte, pure il clero, che dovrebbe formare i laici, si trova nella stessa situazione per cui tale principio rivelato è ridotto a qualcosa di puramente formale. Tra i preti alcuni giungono alla logica conseguenza alla quale porta tale professione formale: il mettere in dubbio o addirittura negare il Credo stesso: “Io al Credo non credo”, disse con un'incredibile disarmante ingenuità un anziano sacerdote torinese nel corso di una Messa natalizia, qualche anno fa.

Contrariamente a tutto ciò, l'incarnazione della seconda Persona trinitaria, Gesù Cristo, indica la modalità ordinaria attraverso la quale, per la rivelazione cristiana, Dio agisce e questo è ben lungi dal riguardare solo Cristo stesso. L'azione di Dio si concretizza in quella di uomini che si sono perfettamente sintonizzati sulla Sua volontà adeguando, dunque, la loro umana volontà a quella divina, esattamente come avvenne in Cristo in cui la sua volontà umana semplicemente seguiva quella divina. Ma c'è molto più. Cristo ha mostrato che l'umanità è posta in profonda comunione con la divinità attraverso di Lui, sotto determinate condizioni che sono quelle della preparazione ascetica dell'uomo stesso. L'uomo, cioè, non dev'essere giusto e seguire i comandamenti per un fine puramente etico, per sentirsi a posto con la sua coscienza. Lo fa per prepararsi a ricevere già qui le primizie che la comunione con Dio comporta. Questo giunge a creare una vera e propria comunicazione tra il nostro mondo e quello dell'Al di là. Seppur tali fatti straordinari non sono da ricercarsi, tuttavia possono accadere in chi ha il cuore pronto per recepirli. Questo non è il semplice “privilegio” di particolari santi ma è per tutti i cristiani a cui Dio lo voglia concedere ed è stabilito, appunto, dal modo ordinario con cui Dio interviene: il divino si rivela nell'umano, pur rimanendo intangibilmente con le sue caratteristiche.


Ci troviamo, così, con due realtà: quella naturale, il nostro mondo ordinario, a cui facciamo parte, e quella spirituale, il mondo di Dio che si può manifestare nell'umanità.

La via normale attraverso la quale l'uomo si sintonizza con Dio è la preghiera. Nella Chiesa esiste una preghiera che possiamo definire “ufficiale”: la liturgia. Ora, perché una liturgia sia veramente tale, è necessario che abbia una “forma simbolica”. Cerchiamo di spiegarci. Il simbolo è tale quando opera un'unione di due realtà tra loro e lo possiamo immaginare come un ponte che unisce due sponde.

A me interessa un ponte nella misura in cui mi è necessario, dovendolo attraversare per raggiungere l'altra sponda. Se non lo considero i significati sono due: o è impraticabile o non devo attraversare l'altra sponda perché non mi interessa. Abbiamo detto che nell'uomo, grazie a Cristo, si può creare una comunicazione tra due mondi: quello naturale e quello soprannaturale o spirituale. La preghiera, dunque, per tal fine deve assumere una forma simbolica, ossia un linguaggio particolare che comporta atteggiamenti del corpo. Non è un caso che, sin dai suoi primordi, la preghiera cristiana abbia assunto un linguaggio ieratico e composto. Il linguaggio simbolico nella liturgia è fatto di discrezione, umiltà, interiorità, rifugge da manifestazioni sensazionali, eventi eclatanti, situazioni rumorose ed eccitanti, tipiche al mondo dello spettacolo. Si tratta, infatti, di disporre l'uomo in rapporto con Dio. Facendo un altro esempio, se io devo riempire una brocca d'acqua, oltre ad assicurarmi che l'acqua scorra, la devo inclinare in modo da poterla riempire e devo fare in modo, nel trasportarla, che l'acqua non si versi a terra. Dunque i miei movimenti devono essere attenti e ponderati. Nella preghiera liturgica Dio effonde la sua grazia, ossia la sua forza spirituale, in chi vi si dispone, esattamente come fosse a sua volta una brocca, un “vas electionis”!

I testi della liturgia devono dunque necessariamente considerare l'Al di là, pur non distogliendo l'attenzione dai nostri bisogni terreni. Il sacerdote dialoga con Dio per portare l'Acqua della grazia ai fedeli assicurandosi, così, che tale acqua scorra abbondante.

Ogni azione, testo, movimento, che ci distolga dall'interiorità è di suo dispersivo e porta lontano da quelle che sono le vere intenzioni della Chiesa, intenzioni salvifiche.


Bisogna, purtroppo, dire che, da diverso tempo, quanto sopra spiegato non è affatto vulgata corrente nella maggioranza dei cristiani e nel mondo cattolico in generale. La liturgia in Occidente finisce per avere una forma simbolica solo in pochi momenti, pure quelli interrotti da mille discorsi, se non da azioni spettacolari. Tali interventi non solo sono poco opportuni, possono essere semplicemente antiestetici ma soprattutto sono dispersivi, ossia non portano ad alcun genere di lavoro interiore. E' come se uno studente, invece di cercare il silenzio esterno e interiore per poter studiare in biblioteca, cercasse continuamente una distrazione, pur con le migliori intenzioni!

È vero che tutto ciò è in buona parte prodotto del nostro tempo dove la spettacolarità e l'intrattenimento hanno la meglio e dove, credendo di parlare di Dio, alla fine ci si concentra solo sull'uomo e le sue mire etiche.

L'esecuzione formale della liturgia in alcuni, ha portato non pochi sacerdoti ad allontanarsi dalla spiritualità, se mai è stata coltivata, con l'inevitabile conseguenza di non comprendere più le forme simboliche nella liturgia. Questo problema era chiaro già negli anni '50 dello scorso secolo e ha prodotto, nel clero cattolico, un rifiuto quasi totale delle tradizionali forme simboliche. Neppure molti tra i migliori si sono accorti di non essere davanti ad un semplice adattamento ma ad un totale capovolgimento delle espressioni liturgiche, attuato gradualmente.

Oggi, dunque, ci troviamo dinnanzi a liturgie sempre più alterate che, per riprendere l'esempio precedente, non hanno quasi più bisogno di alcun ponte (ossia di alcuna forma simbolica) per entrare in comunicazione con un'Altra realtà. Tutto si “confeziona” e si realizza su un'unica sponda: quella umana.

A questo punto, una liturgia siffatta, se ancora dobbiamo chiamarla tale, non è solo indice di un cattivo gusto, di una inopportuna spettacolarità, di una totale mancanza di estetica. È prima di tutto indice di una volontaria, seppur non chiara a se stessi, auto esclusione dal mondo spirituale o, detto più approfonditamente e chiaramente, dall'aver ridotto la salvezza cristiana a qualcosa di esclusivamente intramondano, come se Cristo da Dio-uomo, si fosse ridotto unicamente ad un semplice uomo. Per altro non è un caso che proprio negli ambienti in cui la liturgia è così alterata non di rado si pensa a Cristo come ad un semplice uomo etico e illuminato. Tutto si richiama, come sempre!

Si deve, inoltre, aggiungere che un Cristianesimo in cui il Divino si trova così separato dall'umano e l'umano si nutre di esclusivi principi etici senza concepire alcun possibile rapporto con Dio, è oramai pronto per una sua eventuale conversione all'Islam dove, per l'appunto, Cristo è un semplice uomo illuminato.

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